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Pascoli, fondi Ue, mafia: intervista all’uomo che non voleva essere eroe

Era un funzionario di banca. Poi, da presidente di un parco in Sicilia, ha dichiarato guerra alle famiglie mafiose. Nel 2016 è sfuggito ad un attentato, vive sotto scorta e davanti casa ha sempre l'Esercito

MARTIGNANO – Giuseppe Antoci ha lo sguardo fiero e ostinato, ma non ostentato, di molti siciliani. Il 18 maggio del 2016 è sfuggito, grazie all’auto blindata e all’intervento degli agenti di scorta, a un attentato mafioso. Solo pochi anni prima era un comune funzionario di banca. La criminalità organizzata che imperversa nella Sicilia nord orientale non gli ha perdonato di aver smascherato, in qualità di presidente del Parco dei Nebrodi, quel sistema di finanziamento illecito architettato attraverso i fondi europei all’agricoltura. Dal suo impegno personale è nato un protocollo che è diventato legge dello Stato. Terminato il mandato, Antoci, che è sposato ed ha tre figlie, gira l’Italia per incontrare studenti e associazioni. Il livello della protezione che gli è stata attribuita è molto alto, la sua casa è costantemente presidiata dall’esercito. A giugno Melpignano gli ha attribuito la cittadinanza onoraria e venerdì è tornato nella Grecìa Salentina per un incontro promosso dall’associazione Prendi Posizione. In questa occasione è nata l’intervista che segue e che è stata possibile grazie alla collaborazione di Valentina Avantaggiato.

Nei giorni scorsi, con la denuncia del sindaco di Troina, è tornata d’attualità la vicenda dell’occupazione mafiosa dei pascoli sui Monti Nebrodi, tema che ha segnato la sua vita e di cui si parla nel libro di prossima uscita che si intitola “La mafia dei pascoli”*. Perché le organizzazioni criminali, capaci di commettere oramai reati finanziari ricorrendo alla tecnologia più innovativa, hanno ancora bisogno di mostrare il loro volto ancestrale?

Il tema della vicenda di questi giorni va risolto in modo chiaro: da un mese c’è la norma che prevede per l’invasione dei terreni l’arresto facoltativo. È chiaro che se a commetterla è un incensurato è un conto, quando invece la violazione è fatta da persone che sono state condannate per 416 bis (associazione di stampo mafioso) possono senza dubbio procedere all’arresto. Pare comunque che quegli uomini ora si siano spontaneamente dileguati. Il nodo dei fondi per l’agricoltura è semplice: si dichiarava di essere a posto con le norme antimafia e si incassavano milioni di euro. Un’attività che riesce a fruttare quasi il 2mila per cento di quanto investito, cosa che non è possibile nemmeno sul mercato della droga, è chiaro che attira la mafia. Solo in Sicilia, nella programmazione precedente, questo settore è valso 5 miliardi di euro. L’ultima operazione fatta a valere sul protocollo della legalità e sulla conseguente legge ha fatto sì che venissero arrestati, circa un mese fa, tutti i componenti della famiglia Gallico, in Calabria, ed è venuto fuori che il patriarca, che è al 41 bis (carcere duro) da dieci anni, percepiva i fondi per l’agricoltura direttamente con bonifici sul suo conto corrente bancario. Era un sistema oliato, che non faceva morti se non eccezionalmente e che si è protratto per anni portando le mafie a individuare nei fondi per l’agricoltura una fonte di sostentamento primaria. Non dimentichiamoci che i dodici fiancheggiatori di Messina Denaro sono stati arrestati in questo clima e che la latitanza del boss è stata finanziata con quei soldi. Non è un tema siciliano o nazionale, ma europeo: ne abbiamo avuto contezza anche attraverso l’omicidio del giornalista Jan Kuciak e della fidanzata: stava indagando sulla presenza della ‘ndrangheta in quelle zone, si occupava del protocollo Antoci. Ci sono focolai in Corsica, si presume in Germania, ma la differenza è che in Italia abbiamo la migliore legislazione antimafia: il protocollo è stato devastante per le famiglie mafiose che si sono sempre adeguate ai tempi: ci sono intercettazione di capi che dicono ai loro uomini di non fare rapine o estorsioni, perché tanto i soldi sarebbero facilmente arrivati dall’Europa. Mentre noi commemoravamo le vittime di mafia, lo Stato bonificava denaro pubblico nei conti correnti di questi mascalzoni.

Negli anni Ottanta parte del sistema giudiziario nonché dell’opinione pubblica non ammetteva nemmeno l’esistenza della mafia come articolata organizzazione criminale. Da allora ad oggi sono stati definiti cornici legislative e misure repressive molto forti, eppure le consorterie mafiose sembrano resilienti a tutto e si riorganizzano ogni volta.

Le ultime attività che hanno bloccato la costituzione di una nuova cupola intanto hanno dimostrato che la mafia non è in difficoltà. Stavano ricostituendo un sistema perché c’era la necessità, perché le commissioni evidentemente servono a decidere qualcosa: la sottovalutazione di questa capacità di rigenerarsi è molto rischiosa perché quando si abbassa la guardia, loro arrivano.

In questa provincia sono tre i Comuni commissariati per infiltrazioni mafiose. I clan sono pervasivi, si camuffano e ottengono affidamenti e appalti. Cosa manca nel sistema di contrasto per mettere la mafia nell’angolo?

Il tema di quanto le mafie entrino nella politica e tra i colletti bianchi è enorme. Il giro di boa è favorire la percezione da parte dei cittadini di uno Stato che interviene e che aiuta le persone a denunciare. L’esercizio della denuncia da parte di coloro che vogliono cambiare rotta è l’elemento fondante. Io la invito a vedere quante volte alcuni comuni sono stati sciolti per mafia e quanti comuni non riescono ad attivare procedure elettorali perché non si trovano candidati. Quando si perde la speranza, accadono queste cose, il segnale negativo va dritto al cittadino perbene che a quel punto si ferma, perde le speranza. Lì vince la mafia, mentre lo Stato invece si afferma quando è consapevole che questa terra non ha bisogno di simboli ed eroi, ma di impegno quotidiano, di normalità, di gioco di squadra. Con tutte queste cose si attiva un circolo virtuoso dove ognuno si può sentire più coraggioso, anche magari quando non lo è.

Appunto, parliamo di normalità. Nei giorni scorsi è stato uno dei protagonisti della programma “I nuovi eroi” della Rai, che racconta le storie di trenta cittadini insigniti dal Capo dello Stato con l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Non crede però che la retorica dell’esempio possa diventare un alibi per gli altri, una sorta di invito alla delega della lotta alla mafia solo a poche, determinate, persone, in grado di fare scelte di vita così radicali?

Da una parte sono stato molto contento, il presidente Mattarella mi è stato molto vicino: lui è il fratello di Piersanti, lo ha tirato fuori dall’auto crivellato di colpi. Lo dico con grande pudore verso le istituzioni, ma ho pensato all’uomo Mattarella che scriveva la motivazione che mi riguardava. Dall’altra, quando ho saputo di questa idea, mi sono veramente preoccupato del titolo della trasmissione perché io tento sempre di dire che fare il proprio dovere è normale. Per me gli eroi sono coloro che mi hanno salvato quella notte: il dottore Daniele Manganaro, Salvatore Santostefano, Tiziano Granata, Sebastiano Proto hanno rischiato la loro vita per la mia. Seguire una persona come me perché si è fatto un giuramento alla Repubblica, per una paga che spesso non è nemmeno adeguata, forse qualcosa di eroico ce l’ha. Ma ancor più sono eroi i loro familiari che sanno che chi va con Antoci non va a fare una passeggiata: spero che questi uomini possano avere stima di quello che faccio ed essere orgogliosi di accompagnare un uomo che rifarebbe tutte le sue scelte, consapevoli che il futuro non è dato saperlo. La vita va vissuta educando con quello che si è, più che con quello che si dice, e io spero di essere un buon padre, di dare alle mie tre figlie il modo di dire di essere orgogliose di chi sono. Se questo seme della normalità, si diffonde le mafie avranno davvero tempi duri”.

*Il libro "La mafia dei pascoli" sarà presentato il 6 febbraio presso il Tempio di Adriana a Roma, alla presenza del procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho. Il ricavato delle vendite andrà a sostenere l'associazione per le vittime delle mafie

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