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Sabato, 20 Aprile 2024
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La cara vecchia prevenzione e il rischio di nuovi business: le lezioni del Covid

Giovanni De Filippis è il direttore di un dipartimento della Asl poco noto ai più, ma ritornato strategico nell'emergenza sanitaria per l'epidemia da nuovo coronavirus. L'importanza di alcune semplici regole

LECCE – L’importanza dell’igiene delle mani, il rischio del business della sanificazione, la necessità di far ripartire le attività economiche ma anche del cambiamento di alcuni comportamenti, l’importanza dell’informazione prima ancora che della sanzione, la speranza di una riscoperta delle politiche di salute pubblica.

Giovanni De Filippis è il direttore del dipartimento di Prevenzione di Asl Lecce. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio in via Don Minzoni, in uno di quei posti la cui ubicazione è sconosciuta alla maggior parte dei cittadini, convinti che il sistema sanitario non vada oltre il triangolo formato dal medico di base, dai laboratori per gli esami e dagli ospedali.

L’emergenza imposta dall’epidemia di Covid ha, però, rimesso al centro del discorso pubblico il concetto di prevenzione, bistrattato e schiacciato da una logica finalizzata alla forzatura fino al limite di tutti gli aspetti della vita sociale, salvo scoprire i pericoli che si corrono e che talvolta ci travolgono senza essere attrezzati a sufficienza.

Direttore, si parla molto in queste settimane del paradosso della prevenzione: ci siamo davvero comportati così bene da sottovalutare ora i rischi di un ritorno alla normalità? Che consigli si sente di dare ai cittadini in questa fase?

“Bisogna evitare sia la banalizzazione che l’eccesso nel rispondere a questa domanda. Non possiamo fare a meno delle misure igienico sanitarie di base che servono per la prevenzione di qualsiasi patologia infettiva, sia essa di natura batterica che di natura virale. Il Covid-19 ha la caratteristica di essere nuovo, con manifestazioni patologiche gravi in una fetta limitata, per fortuna, di popolazione ma resta un virus che si trasmette per via aerea, con le famose goccioline che vengono emesse con la respirazione, con la tosse, peggio ancora gli starnuti. È importante la pulizia frequente delle mani: il virus può resistere qualche ora in ambiente esterno, per cui se uno tocca una superficie con una carica virale significativa, può infettarsi portando le mani alla bocca, al naso, agli occhi, può infettarsi”.

De Filippis apre poi una parentesi molto importante per chi è alle prese con la riapertura della propria attività: “Attenzione, perché in questo periodo si parla tanto di sanificazione degli ambienti e si è innescata subito una logica speculativa perché in tempi di crisi c’è chi cerca il business. Logica e tecnica ci dicono che il virus muore con soluzioni idroalcoliche, con la varichina diluita, per cui non c’è bisogno di far spendere centinaia e centinaia di euro ai poveri cristi. La sanificazione ha un senso negli ambienti ospedalieri, laddove c’è stato un malato, come nelle ambulanze e questo noi lo facciamo nell’attività ordinaria”.

Chiarito il punto, il direttore torna poi ribadire la centralità delle misure di carattere generale e della ventilazione degli ambienti: “Distanza di sicurezza, non alitarsi in faccia, evitare gli ambienti confinati con scarsa ventilazione perché in questi ambienti il droplet viaggia di più. La ventilazione forzata può fare da veicolo, nei luoghi di lavoro è decisiva: esistono i parametri di areazione naturale che nei locali interrati, nei sottotetti non vengono quasi mai rispettati. Oggi stiamo recuperando l’importanza della ventilazione naturale. Quella artificiale, anche tramite impianti importanti, con ricambi d’aria esterna, con filtri, con climatizzazione, non potrà mai sostituire quella naturale. In questo periodo gli impianti che riciclano l’aria interna sono assolutamente sconsigliati. Il rapporto adeguato di ventilazione naturale è di uno a otto tra superficie fenestrata apribile e pavimentazione, lo dicono le norme di igiene di mezzo secolo fa e più. È chiaro che se facciamo cubicoli, mettiamo il condizionatore a split e pensiamo di climatizzare, creiamo le condizioni per una serie di patologie, come la legionella o altre di tipo allergico. Con il Covid, insomma, stanno venendo a galla tutti i limiti di una certa concezione di sviluppo”.

Protocollo è un altro termine molto ricorrente in questa emergenza. Ogni aspetto della vita economica e sociale viene associato a un protocollo, a un gruppo di esperti. Cosa ne pensa?

“Non ce la faccio più con i protocolli e con le circolari, questo lo scriva, perché non riusciamo a starci dietro per quanti sono. L’epidemia ha avuto una sua evoluzione e grazie al lockdown abbiamo modificato in meglio la curva. Non possiamo negare questo così come di essere in una fase diversa, lo dicono i numeri e non tanto quello dei positivi, che dipende da quanti tamponi vengono fatti. Noi sappiamo che il virus circola in modo differenziato nel Paese, ma non abbiamo ancora conoscenze adeguate: le misure adottate sono state quindi sacrosante, così come è giusto ora riprendere. Lo dico da medico, ma anche da nonno: qualcuno ha detto che non possiamo morire di fame e in questo c’è del vero. Noi abbiamo bisogno di rimettere in piedi il sistema, ma mantenendo le abitudini cui siamo stati costretti durante il lockdown. Andare allo stadio e saltarsi quasi addosso senza nessuna cautela, oppure andare in discoteca, sono senza dubbio occasioni che aumentano il rischio di contagio tra le persone. Non possiamo dire che non ci sarà la ripresa del contagio, perché questo è possibile che avvenga, ma è sicuro che non sarà più quello contro il quale abbiamo impattato all’inizio”.

Ma non si è ceduto troppo rispetto alle linee guida? Si parte da quattro metri e si finisce a uno.

“Guardi, a me viene da ridere quando si parla di cinque metri, quattro metri: è un po’ come costituirsi parte civile: anche grazie al fatto che dietro ogni cittadino c’è un avvocato, oggi il medico davanti a un raffreddore prende tutte le cautele chiedendo magari il tampone e la radiografica toracica. Questo serve per non prendersi responsabilità. In una situazione come quella attuale, gli stessi scienziati, i consulenti si sono attestati su misure cautelative perché tu non puoi sapere qual è la compliance delle persone. Oggi abbiamo sperimentato che, messi di fronte allo stato di necessità, i cittadini hanno risposto positivamente. È chiaro che ora le misure prescrittive possono essere allentate con la collaborazione dei singoli”.

Importante dunque la responsabilità individuale, ma non è forse una presunzione: come si possono fare controlli efficaci?

“In prefettura è stato costituito un nucleo, di cui facciamo parte come Spesal (servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro, ndr), che si occupa dei controlli per la ripresa delle attività produttive. Se un’azienda è stata ferma due mesi e deve riprendere, fare un’azione troppo repressiva è dannoso rispetto all’utilità di fare informazione. La gente non comprenderebbe il perché: se ti fanno la multa perché passeggi in spiaggia da solo, dal punto di vista della prevenzione del contagio è una giusta sanzione di un comportamento non consentito, ma va anche valutato il profilo di rischio legato a quel comportamento. Le aziende che subiscono l’ispezione devono capire che l’irregolarità reca un danno, per sé e per gli altri. Ma per le condotte difformi solo sul piano teorico deve prevalere l’informazione. I controlli ci sono e sono forti, in campo ci sono molte unità, ma li stiamo facendo in modo oculato. All’inizio abbiamo anche diffuso un questionario in modo che le persone sappiano cosa noi andiamo a verificare durante un controllo”.

Qual è la lezione di questi mesi molto duri?

“Il Covid ci sta insegnando, o almeno spero che sia così per i decisori politici, che la prevenzione primaria, cioè impedire l’insorgenza della malattia, deve avere un ruolo fondamentale. Poi c’è quella secondaria, come lo screening diagnostico. Prevenzione primaria è anche l’educazione alla salute, è anche rispetto delle misure igienico sanitarie sin dal momento della progettazione sia dei luoghi residenziali, sia di quelli di lavoro. Il tempo in cui si consente di ricavare un appartamentino su un terrazzo dovrebbe essere considerato concluso, perché il prezzo si paga anche in termini di salute, di sicurezza antisismica per esempio. La sanità è anche prevenzione, oltre che diagnosi e cura. Se non si comprende questo, il sistema sanitario nazionale non reggerà perché oggi i costi della medicina sono altissimi. È banale, ma se non riusciamo a prevenire, che significa anche fare un piano pandemico, allora poi si paga un prezzo. Io credo che la vicenda del Covid spieghi molto bene questo concetto”.

E poiché per prevenire bisogna conoscere, De Filippis ci congeda anticipando la previsione di test sierologici con finalità epidemiologica, cioè per capire la diffusione dell’infezione. Saranno di due tipi, oltre a quello per lo studio di prevalenza deciso a livello nazionale su un campione di 150mila italiani: il primo, riservato alle aziende e ai loro dipendenti su base volontaria, prevede il prelievo venoso e la valutazione degli anticorpi, con eventuale tampone; il secondo consisterà in un test rapido su cluster prestabiliti, come i detenuti e i lavoratori stagionali impiegati in agricoltura.

Il dipartimento di Prevenzione ha istituito un numero verde - 800069300 attivo dal lunerdì al venerdì dalle 8.30 alle 12 e dalle 15 alle 17 e il sabato mattina dalle 8.30 alle 11.30

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