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Tifosi bergamaschi “daspati” dal coronavirus: niente trasferta a Lecce

Sul caso c'è stata anche una baruffa politica a livello locale. Alla fine, la decisione adottata dal Consiglio dei ministri

LECCE – In pochi riescono a battere l’Atalanta, ma il nuovo coronavirus riesce comunque a frenare i suoi tifosi. Tutti daspati, se così si può dire, pur non avendo commesso nulla, per timor di Covid-19. A Lecce, dunque, non potranno presentarsi sostenitori lombardi, per seguire le evoluzioni di gioco dei nerazzurri, fra le più apprezzabili del campionato (e nessuno lo può negare). Il motivo è ovvio: evitare, a priori, eventuali contagi.

Così è stato comunciatoa margine del Consiglio dei ministri odierno, protrattosi fino a tarda ora. Da comprendere se vi sarà una risoluzione più ampia sulle gara di campionato di serie A, ovvero se potranno, in generale, essere seguite solo dai tifosi di casa, laddove ancora concepibile, in dipendenza delle regioni e, quindi, dell’attuale diffusione del virus, visto che per molti casi al Nord sono già state disposte le porte chiuse. A Lecce, di sicuro, andare allo stadio per ora è ancora possibile. Ma solo per chi sostiene i giallorossi e abiti nel Salento. Appunto.

Calcio & politica: dibattiti e zuffe

A spendersi molto, nella vicenda, è stato Leonardo Donno, parlamentare del Movimento 5 stelle, che spiega: “Nelle scorse ore mi sono fatto portavoce della preoccupazione manifestata dall’Unione sportiva Lecce in merito alla partita prevista questa domenica al Via del Mare, contro l'Atalanta. Ho fatto presente al ministro dello Sport e delle Politiche giovanili, Vincenzo Spadafora, il silenzio istituzionale lamentato dal presidente della società, Saverio Sticchi Damiani, a fronte della missiva con cui l’Us Lecce ha evidenziato le proprie perplessità sullo svolgimento regolare del match”.

“Dopo un primo incontro che si è tenuto nel pomeriggio - ha scritto Donno in una comunicazione alla stama - , il dossier è finito sul tavolo del Consiglio dei Ministri, ed è stato deciso di tutelare la sicurezza dei tifosi salentini, vietando la trasferta ai supporter bergamaschi. La scelta iniziale di lasciare inalterato lo svolgimento della partita, a porte aperte per tutti, nonostante il contesto di allarme e il quadro critico del Bergamasco, è stato motivo di grande preoccupazione per tutti noi. Non potevo restare indifferente e mi sono adoperato per portare le istanze del nostro territorio ai massimi livelli istituzionali”.

Inevitabilmente, la questione ha avuto strascichi anche a Palazzo Carafa. Nel pomeriggio, prima che la decisione fosse adottata a carattere nazionale, infatti, il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, aveva già spiegato come ogni decisione a riguardo fosse legata a provvedimenti del Governo e della Figc, perché, sulla base dei criteri approvati, ai primi cittadini non è consentito fare ricorso all’articolo 50 del decreto legislativo 267/2000.

“In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere estremamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale [...] negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali”. E Salvemini aveva ribadito: attualmente è in atto una “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”, come scritto nel decreto del governo del 22 febbraio, non un’emergenza di “carattere estremamente locale”. 

Ergo: sulla base del decreto del governo è la Fgci a indicare le partite da tenersi a porte chiuse. Salvemini ha quindi chiarito di non avere in mano strumenti per limitare l’accesso allo stadio alla tifoseria ospite, se non addirittura per disporre lo svolgimento della gara a porte chiuse. Questo, anche in relazione ad alcuni attacchi, fra cui quello del consigliere d’opposizione Andrea Guido, secondo il quale sarebbe stato vero l’opposto, ovvero la possibilità, “come massima autorità sanitaria in città” “di emanare un provvedimento teso a vietare il match o, per lo meno, a imporre che si svolga a porte chiuse”, definendo così “irresponsabile” il sindaco.

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