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Sabato, 20 Aprile 2024
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Anno 2020, la resistenza della stampa locale sta salvando la democrazia

In un mondo massificato, i piccoli giornali raccontano verità nascoste e sono veri portavoce delle istanze. Nonostante le difficoltà. Ma il dibattito nazionale è ormai diviso fra pochi temi e spettacolarizzazione

La stampa locale non è di serie B.

Arranca, a volte sbaglia, non sempre è gradevole da leggere, apprezzabile nello stile, interessante a livello nazionale, internazionale, galattico o universale, ma porta nel Dna qualcosa di profondo. Si chiama orgoglio. Noi, come parte di questo piccolo angolo di mondo, ne abbiamo da vendere.

Spirano venti di crisi economica. Non è un mistero per nessuno, ed è così anche per una buona fetta dell’editoria. Paese che vai, usanze che trovi: in Italia, la crisi è tradizione, come il Natale. Per inciso, l’editoria, non gode di buona salute da tempi immemori, ma in quest’avvio di anni ’20 del nuovo millennio, il declino è diventato visibile a occhio nudo. Ci sono colleghi di altre testate che stanno vivendo un incubo concatenato, di quelli in cui pensi di esserti svegliato, e invece è solo un altro capitolo, cui ne seguiranno un terzo, un quarto, altri ancora.

Eppure, la stampa locale, intesa come le singole pedine che si muovono fra i gangli della cronaca, si piega senza spezzarsi, resiste nella convinzione che esista una missione da assolvere, sempre, ed è quella di raccontare. Perché una pagina non scritta è un vuoto immenso nel libro della storia umana, che non è composto solo dai fatti eclatanti destinati al titolo cubitale, ma anche dalle briciole di cronaca spicciola. Raccolte tutte insieme, narrano in modo organico di uno spicchio di terra, degli uomini che la abitano, delle loro paure e aspirazioni, dei loro vizi e delle loro virtù, concorrono a formare un quadro più complesso della società.

E’ solo da quando la scrittura ha preso il posto della tradizione orale, qualche migliaio di anni or sono, che siamo riusciti a cristallizzare i fatti, dare un volto concreto alle singole civiltà, metterle in correlazione e paragonarle, trovare punti di contatto e peculiarità che le rendono uniche. E se in tutto questo meccanismo non esistesse la stampa locale, il mondo di oggi, sempre più omologato anche a causa del web (che porta con sé, innate, croci e delizie), vivrebbe forse davvero nella convinzione che tutto, almeno in Italia, possa ridursi alla grigia equazione di “salvinismo” versus “sardinismo”. Non ci dormo la notte, solo al pensiero.   

La stampa locale non è di serie B.

Scrivo questo, oggi, oltre l’ostacolo della concorrenza, quel regime dittatoriale che mi contrappone a tanti colleghi (persino amici, ma pur sempre avversari), ricordando il giorno in cui ho lanciato questa frase di getto, come provocazione, su un gruppo di Whatsapp. Trasformandola poi nel mio status di Whatsapp. Era  l’istantanea di un momento di sconforto davanti ad alcune incomprensibili chiusure istituzionali che, purtroppo, e va detto o non ne usciamo più vivi, stanno diventando sempre più frequenti. Rendendoci difficile il lavoro, che è svolto per voi, lettori, per la vostra consapevolezza e non certo (o non solo, siamo umani e intellettualmente onesti) per appagamento, soddisfazione personale nel poter dire: ho la notizia, è mia.

Quella, la soddisfazione, dura lo spazio di un minuto. L’importante è altro, che la mia notizia diventi il vostro dominio pubblico, sia materia di tutti, fonte di consapevolezza, conoscenza, anche dei fatti più crudi, duri da masticare e digerire. Senza le mistificazioni dei social, dove troppo spesso le vicende si bruciano in una sovrapposizione di falsità, gonfiature, diffamazioni, calunnie, letture superficiali. Se non sappiamo cosa succede dietro l’angolo di casa, non capiremo mai, veramente, come gira il mondo. E la stampa (tutta, non solo quella locale) serve a porre un filtro, con la sua (si spera sempre) rigorosa verifica dei fatti contro speculazioni e storture.    

La stampa locale non è di serie B.

Ho interiorizzato questa frase, trasformandola in un binario sul quale instradare energie che hanno bisogno di esplodere, urlare al mondo che significa molto di più. Significa: la mia terra non è di serie B. Ed è con questo spirito che LeccePrima, ogni giorno, dal 2007, prova a raccontarvi il Salento. Non abbiamo mai raggiunto la perfezione e non tutti ci amano; anzi, una componente di naturale astio è la normale pillola quotidiana da ingoiare. In fin dei conti, anche se con tentativo di raggiungere sempre il lato oggettivo delle cose, un giornale finisce per parlar male di tanti, troppi conterranei. Ma è così, nonostante tutto. Siamo arrivati dove forse nemmeno immaginavamo il giorno del nostro primo vagito: alle soglie del 2020.

Ed per questo che, stavolta, invece del solito editoriale, ho deciso di parlarvi soprattutto di noi, di come intendiamo la nostra missione. Del perché la ritenga una difesa forte, tenace, della democrazia. Perché la stampa locale, a volte forse persino senza volerlo, assolve meglio di tanta parte politica e dei media globalizzati il ruolo di sentinella di un territorio, megafono delle legittime esigenze.

La lente deformata è evidente, ma forse non tutti se ne accorgono. E ve la racconto partendo da una piccola esperienza recente, di un pranzo domenicale, che ha ispirato oggi la mia penna. Gli occhi verso il piatto, le orecchie captano i suoni provenienti dalla tv. Su un telegiornale nazionale ascolto la scaletta. C’è l’attentato da New York con il machete nella sinagoga, si parla del premier Conte riguardo non so cosa (non si capisce mai bene su cosa, quando si parla di “Giuseppi” Conte), poi spunta Salvini che chiama a sé gli italiani (“se processano me, processano tutti”; penso che, per quanto mi riguardi, non mi senta affatto sotto inchiesta; passino le normali denunce che accumula un giornalista nella vita, ma per ora non sono comunque mai stato accusato di aver sequestrato qualcuno; dimenticavo, sono italiano, a dispetto del cognome), poi la mia attenzione cade su un dettaglio, la notizia “bomba”, quella che sicuramente tutti aspiravano a conoscere, da Lampedusa ad Aosta: pullman in fiamme a Roma, di notte, l’autista era solo, si è fermato, rogo spento, saluti e baci. Aveva 17 anni d’attività, il pullman. E’  il 23esimo in fiamme a Roma dall’inizio dell’anno. Ricordo tutto, a memoria.

Ah, però. Noi leccesi sappiamo ormai davvero tutto dei guai dell’Atac, ma anche delle buche nelle strade di Roma, e persino degli incidenti sulle strade Roma, visto che subito dopo, nel tiggì, si parla per l’ennesimo giorno di fila dell’investimento delle due ragazze di cui non faccio il nome, tanto lo sapete meglio di me chi fossero e di dove fossero. Una disgrazia indicibile, ma non dissimile da centinaia di altre ovunque, persino qui, a Lecce e nella sua provincia, parola di articolista che ne ha scritte e ne ha scritte, senza mai trasformare, per innata forma di rispetto, una tragedia in un’agghiacciante saga da telefilm. E, mi chiedo, mentre il cucchiaio affonda nel piatto, visto che quello stesso giorno ho da poco finito di scrivere di un attentato (il quarto): ma i romani, sanno cosa succede a Lecce?

Quattro gravi episodi in pochi giorni fra Cavallino e Galatina, pochi mesi prima, battaglia in stile atto terroristico a Casarano, con tanto di indagini serrate e manette per mettere un freno alla riemersione dei clan (e Dio solo sa cos’altro non ci sia ancora), ma tutta la faccenda resta inter nos. Nessun passaggio nelle cronache nazionali. E, riflettendo ancora, mi viene in mente il mega blitz nel vicinato calabrese, oltre 300 arresti con epicentro a Vibo Valentia, cosa (nostra) mai vista da tempi immemori. Passata nelle cronache nazionali per un giorno, sì e no timidamente a metà pagina. E, ancora, si affastellano immagini, fatti sentiti o scritti di mio pugno, l’ecatombe di Galatone (quattro morti), gli sbarchi di disperati, continui, da decenni, le indagini della guardia di finanza salentina per smantellare un’organizzazione transnazionale italo-greca.

Cosa? Gli sbarchi? Esistono solo quando di mezzo di sono le Ong e, quindi, motivo di polemica che oltrepassa il dramma stesso. E nelle acque salentine, non navigano Ong. Giusto qualche volta, si farfuglia di Xylella, e poi si resta in attesa del prossimo capitolo. Se la stampa locale non avesse svolto reportage, a monte, oggi a stento qualcuno saprebbe cos’è un ulivo, lontano dal Salento e dal Meridione. 

Tutto mai passato, dunque, o giusto per pochi istanti, nel flusso costante di notizie scelte altrove, dove ormai sono scomparsi i fatti, quelli che riguardano le comunità, e domina solo la sterile diatriba politica a senso unico, lo spettacolo, in sostanza, con due o tre temi da cavalcare, sempre gli stessi. Salvo, poi, di tanto in tanto, qualcuno ricordarsi che c’è un dramma, e questo dramma si chiama Sud, con le sue esigenze, le sue disgrazie, le sue necessità. E scatta per un giorno – uno, a uso e consumo del già citato dibattito vuoto di veri contenuti – il titolaccio. Impossibile, così, formarsi un’idea vera del Paese nella sua interezza.

Ecco perché la stampa locale non è di serie B. Perché se non ci fossero i soldati nelle trincee lontane dall’epicentro, armati di volenterosa penna, le istanze dei territori periferici sarebbero già morte e sepolte da tempo. Mentre, ancora, ci si nutre quantomeno di speranza. Non si sa mai: passando su LeccePrima o su altri giornali locali, salentini e meridionali in generale, qualcuno potrebbe accorgersi veramente che il mondo è molto più vario di come viene dipinto. Perché troppo spesso si viaggia per curve d'interesse, per cui il dramma di Venezia sotto i colpi del maltempo - per dirne un'altra - è stato il piatto centrale della portata per settimane. Il Salento e altre zone, non meno martoriate, pura insalata di contorno. Non è provincialismo, è analisi reale di un fenomeno insidioso, perché rischia nel concreto anche di determinare il modo in cui avviene la ripartizione di finanziamenti e ristori, con l'eventuale, ingiusto, sbilanciamento. E qui s'intravede l'ombra del peso politico.

E allora, no, fatevene capaci. La stampa locale, sia incarnata da noi o da altri, non è di serie B.

P.S.: Un ringraziamento sincero va a tutti i lettori, molti dei quali, sempre più spesso, sono i primi a segnalarci fatti che altrimenti, forse, non emergerebbero. Perché ciò accada, come si sia innescata questa distorta dinamica, è un’altra storia nella storia. Ognuno si formi un’idea su questo tema. Gli spunti li ho dati. Una cosa è certa. Noi, finché avremo forza, continueremo a vigilare. Con le nostre voci dall’eco limitata, certo, ma schiette, e con l’obiettività che ci siamo imposti come scopo da perseguire.

P.P.S: anno 2020; giuro che non ho mai pensato realmente a tale data fino a quando non ho iniziato a impostare questo testo, vedendola forse inconsciamente come qualcosa di talmente lontano da rasentare le fantasia di qualche libro di fantascienza in stile Philip K. Dick, salvo scoprire che i treni e gli aerei continuano ad accumulare ritardi anche in questo presente, qui tutt’altro che avveniristico. 

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