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Il Salento brucia nell'indifferenza generale e si trasforma in un deserto

Oggi, almeno 1200 ulivi secchi in fiamme fra Lequile, Copertino e Ugento. Ma istituzioni e cittadini, cosa fanno veramente contro il problema?

Il Salento brucia, nell’indifferenza delle istituzioni, nel silenzio dei cittadini. Il Salento brucia e si trasforma, molto più rapidamente di quanto siamo disposti a credere, in una distesa desertica. Intorno, lo scaricabarile generale. Domina il senso di distacco, come se il territorio non fosse proprietà, interesse, bene di tutti. Da qui, alle prossime generazioni. Ah, un rogo. Chiamiamo il 115, se la vedranno loro.

Il Salento brucia e sembra che il dramma stia cuore solo a chi stringe la manichetta di un idrante e, quando arriva questo periodo, sa solo che dovrà attendere pochi minuti fra una chiamata e l’altra per correre più rapidamente che può, sperando di arrivare in tempo. Brucia la macchia sulla costa, bruciano le campagne, bruciano gli uliveti. Brucia la nostra storia, le nostre radici diventano carbone.              

Gli uliveti. Volete sapere quanti fusti sono andati a fuoco solo oggi? Non meno di 1200, forse di più. Una stima approssimativa. Chissà perché, oggi, sotto un caldo afoso – temperatura fino a 32 gradi -, sembrava che tutti i tronchi mangiati dal demone della Xylella dovessero sparire per sempre. Nelle campagne di Copertino, almeno 200. Un altro centinaio nella zona di Ugento. Attorno a Lecce, fra gli 800 e i 900.

Sì, non è un errore di battitura. Fra 800 e 900 alberi, molti centenari, inceneriti. Vegliavano da sempre nei campi attorno a contrada Caradonna, in agro di Lequile, una vasta area verde di rara bellezza. Intaccati dal batterio, ora pure falcidiati dal fuoco. Come se, invece di curare gli umani colpiti dal coronavirus, si fosse deciso di lasciarli crepare e, anzi, magari velocizzarne il trapasso in qualche modo.

Il Salento, ogni estate che passa, diventa sempre più cenere. E, al di là di timidi proclami, ci si muove poco e male. Alla favoletta dell’autocombustione non crede più nessuno. Ci vogliono condizioni davvero particolari perché gli elementi scatenino un incendio. Quasi sempre è frutto della mano dell’uomo, fin da quando, nella notte dei tempi, ha imparato a governare il fuoco e, quindi, anche a sfruttarlo per i suoi scopi. Compresi i più biechi e oscuri. La questione è controversa, ma a Nerone molte fonti attribuirono il devastante incendio di Roma del 64 dopo Cristo.

Le ordinanze esistono e riguardano privati e Comuni. Ci sono state riunioni specifiche, nel recente passato. Ognuno è stato richiamato a fare la sua parte nella pulizia dei terreni e nel controllo. Come fosse acqua fresca, e non di quella che doma i roghi. La verità è che un’altra estate rovente è già iniziata e da qui fino a settembre sarà tutto un falò pronto ad accendersi ora intorno a Gallipoli, ora nella zona panoramica di Santa Cesarea, ora nella vastità dei campi attorno alle marine di Lecce. La verità è che per combattere il fenomeno le soluzioni sono solo tamponi buttati qua e là. Quello degli incendi estivi sembra essere più un fastidio da tollerare per qualche mese. E un problema da demandare a non meglio precisate generazioni future.

Un po’ com’è stato per l’edificazione selvaggia e abusiva. Per decenni è sorto di tutto, specie sulla costa, fino a quando non si è capito – ai nostri giorni – come si fosse arrivati al punto di non ritorno. E oggi, è tutto un affannarsi di stop, alt, sigilli, tentativi di imporre demolizioni, con cause che continuano a trascinarsi affannosamente da un giudice all’altro, a volte per anni. Ecco, stiamo consegnando a chi verrà, fra venti, trenta, quarant’anni, un territorio che magari, un giorno, non avrà più una villetta abusiva in riva al mare. Evviva. Ma, dietro, nemmeno l’ombra di un alberello per ripararsi dal caldo.

Come sempre, vent’anni di ritardo su tutto. Vent’anni, per essere ottimisti. Lo ameremo, mai, questo Salento, oltre il confine di magliette griffate e proclami?

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