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Primo olio da ulivi malati con innesti di leccino. Segnale di speranza

A Gagliano del Capo la molitura anticipata ha permesso di raccogliere il primo frutto delle iniziative adottate per impedire la desertificazione del paesaggio olivicolo in provincia di Lecce

GAGLIANO DEL CAPO – Sono state spremute le prime olive cresciute grazie agli innesti su alberi malati di varietà di leccino resistenti alla xylella. A Gagliano del Capo le piante sono tornate a produrre. Secondo i dati in possesso di Coldiretti a causa della batteriosi e del disseccamento tre olive su quattro sono andate perse in provincia di Lecce, con un calo netto della produzione di oltre il 70 per cento.

Il crollo comporta il rialzo dei prezzi e una serie di conseguenze come la svendita dei frantoi che vengono smontati e inviati in paesi come la Grecia, il Marocco, la Tunisia. Per provare a invertire questa tendenza in atto, Unaprol (unione del produttori) consegnerà ad ottobre agli olivicoltori 200mila piantine di leccino: una iniziativa concreta contro il pericolo di desertificazione di un’area che ad oggi interessa circa 180mila ettari. Secondo le osservazioni sul campo, il disseccamento avanza al ritmo di due chilometri per mese verso nord.

È il Salento leccese, dove i focolai si sono accesi e hanno attecchito, a essere ampiamente devastato: la produzione da ulivi di cellina e ogliarola si stima essersi praticamente azzerata. Ecco perché, per Coldiretti, è necessario lanciare un segnale forte: “La prima spremitura di olive ha aperto idealmente la raccolta di olive in Puglia, dove si produce oltre la metà dell’ olio Made in Italy, con la produzione regionale di extravergine stimata nel 2019 in aumento del 70-80% - ha spiegato Coldiretti - dopo il drastico crollo registrato l’anno scorso a causa delle calamità, con una ripresa straordinaria delle aree di Bari, Bat e Foggia con quantità tornate nella media e qualità eccellente, ottime performance di Taranto e Brindisi al netto degli ulivi improduttivi per la xylella, con un aumento produttivo che oscilla a macchia di leopardo tra il 40 ed il 60 percento”. Coldiretti insiste nel chiedere una maggiore semplificazione nell’iter dei reimpianti.

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