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Processo per diffamazione, accolta richiesta di “immunità” per il ministro Lezzi

Il giudice di pace della sezione penale di Bari ha deciso di concedere l’insindacabilità parlamentare invocata nel processo per diffamazione promosso nei confronti della senatrice del M5S dall’ex attivista gallipolino Massimo Potenza

BARI – Non sarà per ora giudicata, in applicazione dell’articolo 68 della Costituzione, la senatrice e ministro per il Sud, Barbara Lezzi, accusata di diffamazione nei confronti di un ex attivista del Movimento 5 stelle di Gallipoli, Massimo Potenza, e viene accolta la richiesta formulata dai suoi legali che avevano rilevato l’insindacabilità parlamentare e quindi l’impossibilità dell’esponente politico, e oggi ministro, di essere chiamata a rispondere giuridicamente “delle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni”. E’ quanto è stato definito nell’udienza del 25 giugno scorso dal giudice di pace della sezione penale di Bari, Matilde Tanzi, nell’ambito del processo nel quale era imputata la senatrice pentastellata. Il giudice ha disposto il “non doversi procedere”, in applicazione dell’articolo 68 della Costituzione, e le motivazioni saranno depositate entro i prossimi 15 giorni. Dopodiché si valuteranno anche le contromosse della difesa, che una volta lette le motivazioni, valuterà la possibilità di un nuovo ricorso in appello. Presente nell’udienza il collegio difensivo della parte civile costituito dagli avvocati gallipolini Pompeo Demitri e Gabriele Potenza, e da Giuseppe Tempesta del foro di Bari.

Dopo il rinvio del 29 maggio nell’udienza di martedì presso il palazzo di giustizia di Bari si è decretata la decisione sulla richiesta dei legali dell’attuale ministro, Luca Calò e Giuseppina Vetromile, che nella precedente comparizione del 26 marzo scorso avevano rilevato l’insindacabilità parlamentare, richiamata sulla base dell’articolo 68 della Costituzione, e quindi l’impossibilità dell’esponente politico di essere chiamata a rispondere giuridicamente “delle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni”. La vicenda risale al 2016 quando l’attivista gallipolino Massimo Potenza presentò, preso la stazione dei carabinieri, una querela nei confronti della senatrice del M5S che in diversi dibattiti pubblici si era espressa con frasi ritenute alquanto pesanti e offensive da parte dell’esponente di uno dei meetup di Gallipoli. L’esponente salentina del M5S era stata quindi chiamata in giudizio, imputata per il reato di diffamazione, a seguito della querela presentata il 3 gennaio del 2016 presso i carabinieri di Gallipoli e finita sul tavolo della procura barese e del pubblico ministero Domenico Russo che dopo la fase di indagine ha deciso di procedere in giudizio contro l’attuale ministro. Nell’esposto-denuncia, l’attivista gallipolino, contestava a Barbara Lezzi di averlo pubblicamente offeso e diffamato circa tre anni addietro nell’ambito di un incontro pubblico degli attivisti del movimento politico.

I legali della senatrice avevano chiesto al giudice di accogliere la richiesta sull’immunità parlamentare o in subordine di rimandare gli atti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato. Richiesta sulla quale tanto il pubblico ministero quanto gli avvocati di Massimo Potenza, per la parte civile e offesa, avevano presentato la loro richiesta di rigetto anche in considerazione della tardività della presentazione dell’eccezione sollevata. Il giudice di pace si era quindi riservato di decidere e nell’ultima udienza, richiamando l’articolo 68 della Costituzione, ha disposto l’improcedibilità nei confronti del ministro sollevandola, per ora, da ogni accusa a suo carico.    

L’articolo 68 della Costituzione infatti dispone che “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.

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