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Riapre tutto, non gli stadi: ma il pubblico non è comparsa, è protagonista e garante

Un protocollo di sicurezza frutto di un contesto di emergenza lascia completamente fuori dagli impianti ciò che ancora differenzia un evento sportivo da uno spettacolo, dove tutto è già scritto: la passione

LECCE – La riapertura di cinema e teatri, pur nel contesto di capienze ridotte a causa del distanziamento, è un’ottima notizia. Quella paventata di sagre, fiere e discoteche amplierà presto la possibilità di riappropriarsi di opportunità di socialità e di lavoro. Le strade sono tornate a brulicare di persone, la maggior parte delle quali - va detto - indossano la mascherina. È stato ripristinato l’accesso libero a parchi e giardini e per la fruizione delle spiagge ci si affida alla responsabilità individuale. Insomma, con opportuni accorgimenti e senza alcuna certezza sul domani, la normalità si sta riaffacciando nella nostra vita individuale e collettiva dopo l'esperienza inedita del lockdown a causa dell'epidemia di Covid-19.

Allo stadio però, per il momento non si può andare: fatta salva una lista che comprende squadre, staff, dirigenti, sponsor (main, top e altri), sanitari, forze dell’ordine, addetti alla manutenzione, televisioni e radio che detengono diritti e un manipolo di dieci giornalisti - 300 persone in tutto - per il pubblico comune, gran parte del quale ha già sottoscritto un abbonamento a inizio stagione, l’interdizione è categorica.

La Figc e la Lega di serie A hanno fatto di tutto per ripartire, sapendo che l’interruzione del campionato avrebbe comportato il mancato pagamento dell’ultima tranche dei diritti televisivi, sui quali si basa la sopravvivenza finanziaria di un numero significativo di club. Per questo il presidente federale Gravina ha aperto una faticosa trattativa con le autorità politiche al fine di ottenere il via libera che, alla fine, è arrivato. Ma il protocollo che è scaturito dal fatidico accordo è figlio di una situazione vecchia di almeno un mese, quando il contesto epidemiologico era diverso e il Paese ancora bloccato.

Sia chiaro, il tema non è solo italiano perché le gare a porte chiuse sono la norma in tutti i principali campionati europei. Eppure gli stadi, luoghi all’aperto per definizione, potrebbero accogliere senza troppi sforzi un numero adeguato di spettatori, per dare colore e senso a un torneo che rischia di passare in archivio come uno spettacolo – uno di quelli che si fanno per non perdere soldi – più che come un evento sportivo. I componenti di una famiglia potrebbero comunque sedere accanto, così come i congiunti in genere, e con un adeguato distanziamento si potrebbero fare entrare comunque migliaia di persone negli impianti. Rilevamento della temperatura all’ingresso e qualche accorgimento logistico: non è impossibile, ma bisogna volerlo. Possiamo sedere gli uni vicini agli altri sulle poltroncine di un aereo, su quelle di un treno a intervalli, sulla sabbia possiamo stendere un asciugamano senza troppi problemi, ma sugli spalti, per ora, non c'è posto.

Non si può immaginare di disputare 12 giornate senza una componente fondamentale, la passione dei tifosi che è anche garanzia di regolarità: le gare disputate prima del lockdown (nel turno in cui si doveva per forza giocare Juventus-Inter) sono state un’offesa ai principi della competizione sportiva, scontate nell'esito e imbarazzanti nello svolgimento.

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