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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Giornata mondiale contro l'omofobia, Rocco Longo: “Io sono gay e va bene così”

Il messaggio del consigliere comunale di Miggiano che ha dichiarato la propria omosessualità a 48 anni in piazza durante un comizio politico: “Non aspettate tanto tempo come ho fatto io. Le parole vi renderanno liberi”

MIGGIANO - Mentire o tacere, il confine è labile, ma in ogni caso oltre i muri di ipocrisie o segreti c'è la verità. E la verità rende liberi. Rocco Longo ha deciso di diventare un uomo libero a 48 anni. Ha trattenuto la voce a lungo, prima di lanciarla come una freccia nella piazza di Miggiano, durante un comizio politico, in occasione della campagna per le amministrative dello scorso anno in cui era candidato e dove poi è stato eletto come consigliere comunale di opposizione: “Io sono gay e va bene così”. Quella freccia ha avuto il benestare di Cupido: è entrata come un fulmine nel cuore di un piccolo paese del profondo sud, aprendo “porte” finora tenute chiuse.

Rocco racconta che a guidarlo nella vita ci siano stati due uomini: un solitario e tormentato Ludwig Van Beethoven e un combattente e visionario Napoleone Bonaparte. Ed è anche grazie alla sintesi di queste anime così diverse, ma a loro modo audaci, che Rocco ha trovato il coraggio di nascere una seconda volta, vincendo contro quella maschera indossata a lungo per paura del giudizio e del pregiudizio.

“Ho scelto di rivelarmi in modo così plateale perché sentivo l’esigenza di mandare un messaggio a chi come me vive la stessa condizione: non aspettate tanto tempo come ho fatto io. La vita è una sola. Parlatene”, il suo appello. Ma ci sono parole che salvano, altre che feriscono più di un’arma.

Tre mesi dopo il suo coming out, un commento (sebbene senza diretta menzione) da parte di un avvocato ad un post su Facebook su un evento organizzato da un assessore lo ha apostrofato come “esimio cons. scotulapizze”; il riferimento poi è stato eliminato, l’offesa invece è rimasta. Rocco ha denunciato l’accaduto con un post ritenendo che a ferire non fosse tanto il significato della parola, quanto l’acrimonia, la becera ironia e l’assoluta mancanza di sensibilità. L’effetto sul social è stato virale: seimila like e 250 condivisioni, con manifestazioni di stima e affetto, a partire dal sindaco di Lecce Carlo Salvemini, dal vice Alessandro Delli Noci, dal presidente della Provincia Stefano Minerva e da tante altre persone sparse in tutta Italia. Rocco non si è fermato, sottoponendo la vicenda all'attenzione dell'autorità giudiziaria.

Oggi è la giornata mondiale contro l’omofobia. Era il 17 maggio del 1990 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò che l’omosessualità non è una malattia. Da allora sono stati fatti tanti passi in avanti, ma pensi ci sia ancora confusione sulla diversità di genere?

“C’è tanta ignoranza e ancora un diffuso pregiudizio. In molti continuano a credere che un gay vorrebbe essere una donna e, per questo, vada in giro con lustrini e paillettes. C’è ancora una certa rigidità mentale, e qui entrano in causa la Chiesa e quella politica che sponsorizzano un modello di “famiglia cuore” oramai insistente, ammesso sia mai esistita. Il 5 percento della popolazione mondiale è omosessuale oltre ad un esercito di finti etero, e se la società non prende consapevolezza di ciò cosa deciderà di fare? Ci manderà al rogo?”.

C’è stato o no un momento, diciamo topico, in cui hai capito di essere omosessuale?

“L’ho sempre saputo. Da quando ho contezza di me, della mia fisicità, del mio corpo, ho sempre percepito questa mia condizione. Quindi se proprio dovessi fare un riferimento temporale, direi gli anni delle elementari, nel confronto con gli altri bambini che avevano la fidanzatina o corteggiavano le amichette mentre io non ci pensavo neppure. La comprensione e la comprensione di sé si matura con il tempo e con le esperienze.”Rocco Longo-3

Quali sensazioni ti ha provocato questa consapevolezza?

“Non posso dire sia stato facile per una serie di ragioni: culturali, antropologiche, geografiche, storiche ma comunque non ne ho mai fatto un dramma. Non mi sono mai sentito figlio di un dio minore. Sono profondamente credente, sebbene poco praticante ma non mi sono mai sentito lontano o abbandonato da Dio. Trovo meschina e poco misericordiosa la Chiesa quando si ostina in delle incomprensibili discriminazioni, l’amore è universale e se lo dice Cristo nel vangelo non c’è papa o cardinale o vescovo che mi possa far cambiare idea”.

Qual è stata la prima persona a cui l’hai raccontato?

“A un amico, una decina d’anni fa. Fino ad allora non l’avevo detto a nessuno ma di questo non me ne sono mai fatto una colpa perché il processo è talmente intimo e personale che non ci sono tempi prestabiliti. Accade quando senti che è il momento giusto.

Il mio coming out è stato un caso: ero a cena a casa di amici e incontrai una persona che non vedevo da anni e con la quale continuai a chiacchierare in chat su facebook al ritorno a casa. Parlammo per ore e a un certo punto mi scrisse: “Va bene Rocco, gettiamola questa maschera”. Io mi irrigidii ma capii non avrei potuto mentire, lui era un omosessuale dichiarato e mi sarei sentito un verme se lo avessi negato, così con la sua stessa naturalezza gli risposi: “Sì, gettiamola questa maschera”.

La cosa più bella che mi disse - che non scorderò mai per quanto fu profetica - è che da quel momento non avrei più avuto paura di parlare della mia omosessualità; non che dopo abbia affisso manifesti in paese ma da allora mi è stato più facile scegliere le persone con le quali aprirmi.

E’ iniziato così il mio coming out ed è ancora in corso perché è un cammino senza fine anche a causa dei limiti della nostra società.”

Il tuo percorso ha raggiunto il climax, lo scorso maggio, durante il comizio in occasione delle amministrative, nella piazza affollata del tuo paese…

“Aggiunsi una pagina all’inizio del discorso che avevo scritto e condiviso il giorno prima con i miei amici candidati e sul palco esordii con la frase che Klaus Wowereit pronunciò subito dopo la sua elezione a sindaco di Berlino, in conferenza stampa davanti ai giornalisti :“Ich bin schwul, und das ist auch gut so”. PrL'abbraccio con la sorella-2ima di tradurla rimasi in silenzio qualche secondo tra l’incredulità dei miei concittadini in una piazza gremitissima: “Io sono gay e va bene così”. Non so da dove mi sia venuto quel coraggio. So solo che non dimenticherò mai quegli applausi e la delicatezza di tantissima gente che, una volta sceso dal palco, non osò avvicinarsi lasciando fosse mia sorella la prima ad abbracciarmi (nella foto, ndr). Così come non dimenticherò le tante persone anziane, di cui più temevo il giudizio, che nei giorni seguenti mi fermavano per strada per darmi la mano e incitarmi: “Rocco, quello che hai detto in piazza non passerà inosservato, hai aperto delle porte che non potranno richiudersi e dalle quali sarà impossibile tornare indietro”.

Perché hai scelto di rivelarti in modo così plateale?

“Perché volevo squarciare il velo di ipocrisia che purtroppo appesantisce la vita sociale anche e soprattutto in una piccola comunità e perché sentivo l’esigenza di lanciare un messaggio forte a chi come me vive la stessa condizione: “Non aspettate 48 anni come ho fatto io. La vita è una sola. Parlatene prima”.

E’ così necessario dover parlare della propria diversità di genere per essere se stessi?

“Non lo so. So solo che quando ho deciso di farlo i miei rapporti interpersonali sono migliorati, anche in famiglia. E’ come se grazie alle parole venisse meno quella maschera “stupida” utilizzata per proteggersi. Oggi mi sento autentico, libero e continuo a chiedermi perché non l’abbia fatto prima.

Se non avessi potuto comunicarlo in una piazza vera sicuramente l’avrei fatto sui social che nel mio percorso hanno avuto un ruolo importante; non nego che nel leggere le storie degli altri spesso ho provato molta ammirazione ed una certa invidia”.

Ma proprio su Facebook hai ricevuto l’offesa che si è poi rivelata un boomerang nei riguardi di chi l’ha mossa.

“Sì, tre mesi dopo il mio coming out in un commento ad un post sono stato definito “esimio cons. scotulapizze”.

Non avrei mai immaginato che il mio post successivo avrebbe potuto scatenare quell’oceano di solidarietà che mi ha travolto. Sono ancora colpito dall’affetto che mi è giunto da ogni parte, dal sindaco di Lecce Carlo Salvemini al vicesindaco Alessandro Delli Noci al presidente della Provincia Stefano Minerva fino a quello ricevuto da centinaia di persone sconosciute”.

Oltre al post di denuncia su Facebook ti sei rivolto all’autorità giudiziaria?

“Sì. Ci ho pensato a lungo e non è stato per niente facile ma alla fine ho maturato la decisione di azionare la tutela legale procedendo con formale querela. L’ho fatto perché ritengo che le parole debbano essere scelte e usate con cura, rispetto e sensibilità e l’ho fatto pure per lanciare un segnale concreto a chi crede che sia “normale” scherzare o ironizzare sulla dignità delle persone. Non è stato il mio caso ma sappiamo bene come certe frasi, sovente pronunciate senza dar loro il giusto peso, possano uccidere.”

Quale persona o personaggio ha ispirato le tue scelte?

“Ludwig Van Beethoven ma magari tra mezz’ora alla stessa domanda risponderei Napoleone Bonaparte. Beethoven perché sono musicista. Diplomato al Conservatorio, ho studiato e suono il pianoforte da quando avevo sette anni, e nonostante la musica mi abbia fatto soffrire molto costringendomi a tante rinunce se non l’avessi studiata non sarei la persona che sono oggi. Beethoven in questo mio percorso di formazione artistica, musicale e umana è un caposaldo. Una delle personalità più tormentate del mondo della cultura di tutti i tempi, un genio che, un po’ come Leopardi, si caricò un fardello che lo spinse all’incomunicabilità perché non si riteneva capace di relazionarsi con il genere umano, e finì per chiudersi in sé stesso paradossalmente creando dei capolavori assoluti. La cosa che più mi sconvolge è che la sua ultima produzione, penso alla Nona sinfonia, risale al periodo della sua totale sordità.

Lui mi accompagna spesso nelle mie giornate, nella mia vita. Il suo Testamento di Heiligenstadt, uno degli ultimi scritti con il quale si congeda dal mondo, lascia all’umanità un’eredità spirituale impressionante. Credo dovrebbero leggerlo tutti: non soltanto i musicisti ma chiunque abbia voglia di emozionarsi”.

Nella sua solitudine, ti sei sentito meno solo?

"Sì. La solitudine è una condizione dell’animo che mi appartiene, spesso per scelta, e nella musica di Beethoven trovo spesso la chiave per varcare alcune soglie. Lui per me è davvero un compagno fedele senza il quale posso ben dire vivrei molto male”.

E Napoleone?

"Napoleone perché fu un visionario folle e un uomo vero. Una vita spesa con l’idea di conquistare l’Europa per unificarla sotto la sua brillante egida e conclusa invece con una cumulo di macerie. Di Napoleone amo l’idea grandiosa di mettere insieme i popoli d’Europa, dopo che in qualche modo già aveva già pensato anche Carlo Magno, e prima ancora del Manifesto di Ventotene, ed amo l’audacia temeraria che fa di lui una delle personalità più controverse della storia”.

Quindi quel giorno in piazza, in te ha prevalso Napoleone?

“Non sbaglio se dico che prevalsero entrambi: Beethoven col suo intimismo e col suo timore del mondo e Napoleone con la sua intrepida spavalderia”.

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