Da territori dell'abusivismo al futuro sostenibile: al Politecnico le marine leccesi
Un folto gruppo di studenti è stato ospite a ottobre del Comune di Lecce. Da quell'esperienza una dozzina di progetti esposti in due giornate di studio, a Milano
LECCE – Il nuovo piano urbanistico generale, atteso per aggiornare quello del 1989, sarà lo sfondo principale della campagna elettorale per le amministrative leccesi. Probabilmente non se ne parlerà molto, ma senza dubbio è una questione in grado, da sola, di segnare il futuro della città: la pianificazione dell’estensione verso aree oggi rurali con nuove volumetrie per le abitazioni civili, la riqualificazione di quelle esistenti, la previsione di zone destinate agli insediamenti produttivi, commerciali, sportivi, sono i catalizzatori di interessi molto diffusi e variegati.
In questo contesto, il litorale, con i suoi oltre 20 chilometri di costa rappresenta uno snodo essenziale. Lecce, come molti altri comuni pugliesi, ancora non ha il suo Piano delle Coste. L’amministrazione Perrone, nonostante il tempo a disposizione, è rimasta ad una fase embrionale della pianificazione, perché ritenuta lacunosa da parte di entri sovraordinati, tra cui la Soprintendenza.
La giunta Salvemini, nell’anno e mezzo di attività, ha rivisto le basi della programmazione precedente ed è ripartita fino ad arrivare a dicembre con la presentazione del documento pronto per essere inviato alla Commissione Ambientale Strategica della Regione, passo necessario prima dell’adozione da parte della giunta e dell’approvazione in consiglio comunale. L’iter si è però interrotto con lo scioglimento del consiglio comunale, il 7 gennaio, ma, circa un mese prima, l’allora assessore Rita Miglietta aveva confezionato il provvedimento.
In quella impostazione era declinata la risposta alla domanda principale: quale futuro per le marine leccesi? Il quesito del resto aveva impegnato molti addetti ai lavori, tra questi gli studenti della Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano nell’ambito di una convenzione stipulata tra il Comune di Lecce e il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani. In circa 70 sono stati a ottobre in visita sul litorale del capoluogo salentino per ripensare Torre Rinalda, Spiaggiabella, Torre Chianca, Montegrappa e Frigole.
Nell’ambito dei laboratori di Urbanistica (coordinato da Christian Novak e Francesco Curci) e di Built Environment and Landscape Design Studio (coordinato da Federico Zanfi, Sara Gangemi e Laura Daglio) lo hanno studiato e poi hanno redato una dozzina di progetti che sono stati presentati la scorsa settimana a Milano nel corso di un workshop proprio dedicato alle marine leccesi. Vi hanno partecipato, tra gli altri, anche il sostituto procuratore Ennio Cillo, uno degli esperti del pool per i reati ambientali della procura della Repubblica di Lecce, oltre all’ex assessore all’Assetto del territorio della Regione Puglia, Angela Barbanente e alla stessa Miglietta.
Zanfi, raggiunto telefonicamente, ha descritto brevemente da una parte le caratteristiche dell’abusivo edilizio riscontrato, dall’altra le specificità del territorio. Il primo risponde, come in altre zone costiere del Mezzogiorno, a una edificazione di piccole abitazioni, accompagnate spesso da spazi pertinenziali e da un muro di cinta, costruite su piccoli lotti conseguenti alla parcellizzazione seguita, a partire dagli anni Settanta, al tramonto della riforma fondiaria avviata nei primi del Novecento. Una lunga stagione priva di qualsiasi pianificazione. Le seconde attengono proprio all’origine umida del litorale che riaffiora prepotentemente soprattutto nella stagioni invernale dalla falda ma anche con rientri d’acqua dovute allo sventramento del cordone dunale. Quindi, ha spiegato il docente, se le forme dell’abusivismo sono quelle comuni, particolare è invece la collocazione dei manufatti. In alcuni tratti, come emerge dal raffronto con mappe datate di qualche decennio, la dividente demaniale – la linea che separa un lotto privato dalla spiaggia, per capirsi – si trova oramai in mare perché intanto l’arenile è sparito a causa dell’erosione costiera.
In questo quadro oggettivo gli studenti hanno raccolto la sfida di un tema importante ma completamente trascurato. “Abbiamo provato a leggere il territorio – ha detto il professor Zanfi-. La presenza di torri costiere e di luoghi di grande naturalità lo rendono adatto ad una fruizione che non è solo balneare, ma anche sportiva e legata ai percorsi per il trekking e il cicloturismo. Il nostro tentativo è stato quello di mettere in connessione questi luoghi, costruendo sistemi e reti. Per quanto riguarda il patrimonio edilizio abusivo non abbiamo seguito un’idea astratta di demolizione come esclusivo ripristino della legalità, ma come restituzione di un guadagno collettivo: laddove si prevede una demolizione, è per preservare la continuità naturalistica”.
Insomma, il litorale non solo come piattaforma per la stagione balneare, ma come ambito per attività articolate e più continuative: “Io sono tra quelli che ritengono – ha spiegato Zanfi - che se c’è un futuro legato al turismo per queste porzioni di Mezzogiorno, tra cui questo pezzo di Salento, quel turismo è motivato dalla ricerca di maggiore naturalità e salubrità. Il visitatore non vuole più il waterfront, il lungomare classico con gli stabilimenti, che già da decenni dimostra di essere sotto stress in molte zone d’Italia. Lo stabilimento fondato, stabile è una cosa che deve essere ripensata. L’idea del contenimento delle parti fisse è molto condivisibile ed è stata anche sviluppata in alcuni progetti che hanno puntato a una sorta di doppia stagionalità: proiettata verso il mare nei mesi estivi, verso le aree naturalistiche e rurali in autunno e primavera”.