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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

A lezione di archeologia nei fondali dell'Adriatico

Visita al cantiere didattico subacqueo dell'Università del Salento. Domani, sono previste immersioni nel mare di Torre Santa Sabina, in provincia di Brindisi per visitare il relitto di età romana

Visita al cantiere didattico subacqueo dell'Università del Salento. Una iniziativa piena di fascino per tutti gli amanti del mondo sommerso e dei misteri che esso nasconde. Domani, martedì 26 giugno, con inizio alle 10, avrà luogo presso la località Camerini (Torre Santa Sabina, vicino all'Hotel Mirage, Carovigno, provincia di Brindisi) la visita al cantiere didattico subacqueo dell'Università del Salento.
L'open day sarà l'occasione per illustrare i risultati della campagna di scavo archeologico subacqueo allestita dal 10 al 30 giugno, nell'ambito del corso di formazione per Operatore tecnico in Archeologia Subacquea, organizzato dall'Ateneo salentino, con il contributo della Provincia di Brindisi e il patrocinio del Comune di Carovigno.

Nella mattina sarà possibile vedere, sia in snorkeling sia, per chi ne avesse voglia, in immersione con muta e bombole, il relitto di età romana indagato e rilevato dal gruppo di ricerca che fa capo alla Cattedra di Archeologia Subacquea dell'Università del Salento, ed osservare gli stessi archeologi subacquei al lavoro.
Il pomeriggio, con inizio alle ore 17, avrà luogo presso il salone di rappresentanza del Castello di Carovigno la tavola rotonda dal titolo "Torre Santa Sabina: l'approdo dimenticato. Appunti di scavo".

Interverranno il presidente della Provincia di Brindisi, Michele Errico, l'assessore provinciale alla Cultura Giampietro Rollo, il dirigente ai Servizi Culturali Angela Marinazzo, il soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia, Giuseppe Andreassi, il sindaco del Comune di Carovigno, Vittorio Zizza, il professore Piero Alfredo Gianfrotta dell'Università della Tuscia, il preside della facoltà di Beni Culturali dell'Università del Salento, professor Marcello Guaitoli, il professore Cosimo Pagliara dell'Università del Salento e la dottoressa Rita Auriemma dell'Università del Salento.

Il sito di Torre S. Sabina è noto agli studiosi da tempo, in quanto ha restituito numerose evidenze archeologiche risalenti all'età del Bronzo e consistenti tracce di frequentazione di epoche successive, senza soluzione di continuità dalla protostoria all'età moderna.
Nella baia inoltre sono stati identificati vari relitti, di epoche diverse. Quello meglio conservato, noto da tempo si trova a soli 2,50 metri, proprio nell'insenatura di Camerini, a pochi metri dalla riva. La copertura di lastroni, apposta nel 1998 per preservarlo dalla distruzione e dalla devastazione naturale ed umana è stata parzialmente rimossa nella zona centrale, consentendo così di mettere in evidenza la fiancata di sinistra dell'imbarcazione, per circa otto metri di lunghezza e circa quattro metri di larghezza; la parte messa in luce, a circa metà nave, in corso di documentazione grafica e fotografica, mostra il fasciame esterno, assemblato "a mortasa e tenone", al quale sono fissate numerose ordinate ed alcune tavole del fasciame interno, le poche superstiti agli atti vandalici che hanno reso necessario l'intervento di copertura. È visibile anche il robusto paramezzale con la scassa, cioè l'alloggiamento del piede dell'albero. Il relitto si rivela però di eccezionale interesse per la presenza di elementi del ponte, puntelli, bagli e tavole, che solo eccezionalmente - per l'età antica si conosce solo un altro caso, in Francia - si conservano.

Originariamente la nave doveva superare i 20 metri di lunghezza ed avere un discreto tonnellaggio. Altro dato di grande rilevanza è la sua datazione: alla luce dei materiali ceramici rinvenuti, tra i quali si distinguono un'anfora africana integra ed altre della stessa tipologia, frantumate ma in buona parte ricostruibili, sarebbe riferibile agli inizi del IV secolo d.C. Non si conoscono molte testimonianze di questa fase che è di cruciale importanza per l'evoluzione della costruzione navale.

Nel corso della ricerca si è indagata un'altra area, che negli anni ‘70 e nei primi anni ‘80 (scavi del Museo di Brindisi) aveva restituito abbondantissimo materiale di epoche assai diverse: dalla ceramica di età arcaica alla ceramica a rilievo di età ellenistica (le cosiddette "coppe megaresi"), a quella tardoantica e medievale. Il saggio di scavo, sottoposto ad un puntuale rilievo all'interno di un reticolo di riferimento, ha sinora permesso di individuare l'esistenza di almeno due strati, uno comprendente soprattutto frammenti di anfore sovrapposti inquadrabili tra il II e il I secolo a.C., mentre quello sottostante ha restituito frammenti di epoca più antica, ed in particolare ceramica fine di età arcaica, classica ed ellenistica.

L'intervento stratigrafico pone in discussione l'ipotesi formulata in passato circa l'esistenza di una discarica portuale, e suggerisce invece che si tratti dei resti di uno o più carichi.
L'analisi della documentazione e lo studio dei materiali consentirà di verificare e formulare ipotesi più verosimili.
Al di là di quello che gli addetti ai lavori potranno stabilire, resta la suggestione e l'interesse che queste testimonianze suscitano in chiunque abbia modo di accostarvisi: secoli di storia e di storie che esse racchiudono, ricordando a tutti quanto siano preziosi i segni del passato e quanto una comunità civile, piccola o grande che sia, si debba misurare sull'impegno reale di tutelarli e valorizzarli.

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