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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca Squinzano

Accusata di infanticidio: il giudice valuterà la messa alla prova della ragazza

La giovane di Squinzano risponde anche di occultamento di cadavere in concorso con sorella e cognato. Ma per lei si apre lo spiraglio di uscire dal processo

LECCE – Caso rinviato. Prossima udienza, 28 giugno. Al centro della vicenda, la ragazza di Squinzano oggi 18enne (minore all’epoca dei fatti), sulla quale pendono le accuse di infanticidio e occultamento di cadavere in concorso con la sorella e il cognato.

Breve excursus: rimasta incinta, il feto, morto, fu nascosto in un armadio dell’abitazione che condivideva con i suoi famigliari. Una vicenda controversa, visto che l’accusa d’infanticidio è stata portata avanti anche dopo che una perizia medico legale ha riscontrato una morte dovuta a soffocamento da cordone ombelicale, riscontrato di una lunghezza anomala. Insomma, il bimbo sarebbe morto già in grembo.

Potrebbe estinguersi il reato

Ebbene, la novità di oggi è questa: si affaccia la possibilità di un’estinzione del reato. Per lei, almeno. Il primo passo verso questa soluzione dipenderà dall’accoglimento o meno della richiesta di messa alla prova avanzata dal pubblico ministero della Procura minorile, Anna Carbonara, al giudice Aristodemo Ingusci. Se il giudice deciderà per la sospensione del processo, la ragazza sarà avviata verso un percorso di riabilitazione. In caso di superamento, visto che si è nella fase dell’udienza preliminare, sarà emessa una sentenza di non luogo a procedere; viceversa, se l’istituto della messa alla prova fosse disatteso, il procedimento riprenderebbe dal momento stesso in cui è stato interrotto.

Lei, la protagonista,  era assente questa mattina nell’udienza preliminare davanti al giudice Ingusci. C’era solo il suo avvocato, Fabrizio Tommasi. Il giudice avrebbe dovuto accogliere la richiesta di rinvio a giudizio, ma il pubblico ministero stesso ha chiesto di valutare se vi siano gli estremi per la messa alla prova. Partendo da un presupposto: le relazioni dei servizi sociali, fin qui, sono risultate ottime.

Così fu scoperto tutto

La storia, maturata in un contesto famigliare di disagio, emerse il 9 febbraio del 2017, quando la ragazza fu costretta a recarsi presso l’ospedale “San Giuseppe di Copertino” con un’emorragia in corso. I medici capirono subito la natura del problema. Informati i carabinieri della stazione di Squinzano, nell’abitazione che condivideva con sorella e cognato, fu trovato quel corpicino chiuso in una busta di plastica. Era stato riposto in un armadio.

Da quella vicenda è scaturita l’inchiesta che corre su due binari paralleli, riguardante da un lato la partoriente, dall’altro il ruolo giocato nella vicenda dalla sorella di 27 anni e dal compagno di quest’ultima, 46enne. Sugli ultimi due il caso è al vaglio della Procura ordinaria (il fascicolo è in mano al sostituto procuratore Donatina Buffelli).

L'autopsia svelò alcuni dettagli

L’autopsia al feto fu eseguita il 21 febbraio e la perizia depositata alla fine di aprile. A occuparsene furono il medico legale Ermenegildo Colosimo per la Procura e il consulente Cosimo Lorè, docente di medicina legale presso l’Università di Siena, per la difesa (la ragazza è rappresentata dall’avvocato Fabrizio Tommasi, gli altri due dall’avvocato Maurizio Scardia).

Stando a quanto rilevato dagli esperti, il neonato sarebbe venuto al mondo già privo di vita, poiché soffocato dal cordone ombelicale, riscontrato di una lunghezza anomala. Ma l’accusa d’infanticidio è rimasta in piedi. L’11 ottobre scorso la ragazza si avvalse della facoltà di non rispondere nel corso dell’incidente probatorio. Ora, per lei, forse la possibilità di uscire lentamente dal processo. Eventuale sorte che, però, non toccherà agli altri due accusati.   

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