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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Il suolo restituisce memoria e verità: nel Salento picchi di morte per tumore

I dati recenti saranno pubblicati a giorni, LeccePrima ve ne offre alcuni in anteprima. Nel 2013, l'ultimo anno analizzato, hanno perso la vita 2mila e 330 salentini. Aumentano le patologie correlate ai danni ambientali

LECCE – Non bastano le lucine colorate per l’anno bisestile che se ne va ad oscurare la verità che la terra, unica, vera custode di memoria, ha risputato ai salentini. Non soltanto fusti tossici, ma il boccone amaro che troppe famiglie del Tacco hanno dovuto mandare giù per almeno una volta: quello relativo alla morte per tumore. I dati parlano chiaro e sono noti: il Tacco inverte la tendenza nazionale e fa schizzare l’indice di mortalità in alto rispetto al resto d’Italia dove, invece, l'incidenza sembra diminuire lievemente. Due curve che si toccano appena, una che sale, l’altra che scende, che si distinguono nettamente nelle statistiche che la Lilt, la Lega italiana lotta ai tumori, pubblicherà a giorni e che la redazione di LeccePrima vi offre in anteprima.

Nel Salento, intanto, si continua a morire. Si stanno verificando, sempre più velocemente, non soltanto casi di tumori a tutti gli organi, con picchi al polmone e alla vescica. Ma questa è cosa nota. Ma si registra anche un'impennata di infertilità tra uomini e donne, poiché l’inquinamento sta avendo impatti sugli ormoni, provocando endrocinopatie e malattie neurodegerative croniche. E non è finita.  "Sempre più spesso, negli ultimi anni in particolare, persino i cardiologi fanno riferimento all’impatto ambientale come possibile causa di patologie cardiovascolari”, dichiara Giuseppe Serravezza, medico e responsabile scientifico della Lilt di Lecce. Le tragiche conseguenze correlate ai danni ambientali sono anche tante altre: si parla di leucemie e linfomi, provocati soprattutto dai pesticidi maneggiati in agricoltura dai lavoratori. O i sarcomi, dei tumori a ossa e muscoli, che invece sono una conseguenza di chi si trova vicino ad aree con presenza di Pcv, come a Burgesi.

A partire dal 1994, la Lilt ha dato il via a un registro tumori in collaborazione con l’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale per studiare le ripercussioni sulla salute provocate dagli effetti ambientali. Il punto è che, ad allarmare, in quegli anni, erano soltanto le due province confinanti: quelle di Taranto e Brindisi. Il settore siderurgico e quello chimico erano gli unici spauracchi del momento: inserire la provincia di Lecce nelle statistiche serviva soltanto come sorta di “contraltare”, come conferma delle emergenze tarantina e brindisina. E invece, la sorpresa gelò tutti. Da quel report emerse un elevato tasso di mortalità a causa del tumore al polmone e alla vescica si cittadini di sesso maschile in provincia di Lecce.

Una notizia scioccante che, purtroppo, è stata via via confermata anche nel corso degli anni successivi, mostrando persino un lieve incremento. Tanto che si è reso necessario scomporre la stessa provincia di Lecce, per analizzarne meglio il fenomeno. Prima di quelli in uscita a giorni, relativi al 2013, i numeri su cui le istituzioni si sono basate fino ad ora sono quelli relativi al 2011 e sono sempre estrapolati e analizzati dall’Istat, e confrontati con quelli dell’Organizzazione mondiale della Sanità e con i vari osservatori regionali.  A partire da febbraio, il progetto “Geneo”, condotto da Lilt Lecce, guidata dal dottor Giuseppe Serravezza, Asl, Provincia e Università del Salento, analizzerà un campione di 32 comuni del Leccese, indicati come “a rischio” o, al contrario, con un tasso inferiore di mortalità per tumore. Cominceranno dei carotaggi sui terreni non soltanto per monitorarne la presenza di metalli pesanti, ma anche di Pcv e pesticidi: le “sentinelle” del terreno. I ricercatori dell’ateneo eseguiranno test genotossici sui lombrichi, per attestare la presenza di inquinanti.

 Dopo il “Caso Brugesi”, l’attenzione balzato agli onori delle cronache negli ultimi giorni, stupirà sapere che quell’area del basso Salento non risulta tra quelle finite nella “zona nera” della classifica dei comuni. Ugento, così come Acquarica e Presicce, infatti, si trovano in una posizione intermedia, vale a dire intorno al 60esimo posto. I comuni che mostrano dei picchi preoccupanti, per giunta crescenti, sono quelli del triangolo “maledetto” Maglie-Cutrofiano-Galatina.  Zollino e Caprarica di Lecce sul podio della morte.   E poi, lontana, quella del Capo di Leuca, da Salve in giù. Con picchi nella zona di Morciano di Leuca e Patù, ma da cui si “salva”, stranamente, Montesano Salentino. Qui, infatti, così come a Porto Cesareo, i dati lasciano intravedere se non un miglioramento, quanto meno una stabilizzazione del tasso di mortalità. La punta massima di morte per tumore al polmone è stata sfiorata nel 2011, a cui poi è seguita una lieve stabilizzazione e persino un timido calo. Parliamo di tumore al polmone. Sulle restanti tipologie tumorali, al contrario, il Salento ha subito un incremento. Superando anche gli altri capoluoghi di provincia pugliesi: tra le province di Taranto, Brindisi, Bari e Lecce, quella salentina le supera tutte.

Avanti di diversi punti, nella classifica della morte, persino al capoluogo di regione. Nel 2013, l’anno più recente dei dati a disposizione, sono 2mila e 330 i morti di tumore nel Salento. L’anno prima erano 100 in meno, nel duemila e 212 nel 2011.  Nel 1990 sono stati mille e 496.  Su 10mila abitanti, in Salento, nel 2013 i punti percentuali si aggirano su 28,6. Nella provincia di Bari, invece, la percentuale è più bassa: di 22,5. Se nello Stivale si assiste a una graduale riduzione di mortalità, negli ultimi sette o otto anni, il Tacco continua invece a salire. Il trend è preoccupante e riguarda anche il resto del sud Italia. Tuttavia, la Calabria sembra fare eccezione. La provincia di Crotone, in particolare, risultata ultima per vivibilità nella classifica del quotidiano “Il Sole 24 ore”, è quella con un tasso inferiore di mortalità per tumori. Un caso che stupisce poiché, in quanto città del sud non dispone certamente di strutture d’eccellenza o centri di ricerca internazionale, eppure gode di questo “privilegio”.

Per Serravezza della Lilt, il gap è da cercare nel Pil: “Più è alto in determinate zone, più sembra essere alto il tasso di mortalità per tumore”. Un rapporto direttamente proporzionale che fa riflettere, forse tremare, poichè potrebbe non trattarsi di una mera coincdenza. Intanto la scienza, così come la magistratura e la buona politica, può fare soltanto ciò che è già noto: bonificare, e anche con urgenza, certo. Ma quando si tratta di studiare gli effetti ambientali sulla salute, il discorso è piuttosto complesso. Servirebbe anche prevedere. Prevenire. E non andare a tamponare qui e lì, per ricorrere ai rimedi. “Oggi ci preoccupiamo degli inquinanti rinvenuti nell’area di Burgesi – spiega l’oncologo Serravezza – ma prossimamente potremmo imbatterci in altre sostanze nocive di cui oggi ignoriamo l’esistenza”. Ci chiediamo dunque da dove vengano quei fusti, ma è più urgente rimuoverli e poi avviare indagini mirate sui terreni”, dichiara. Alla domanda su che cosa potrà, potenzialmente, accadere in futuro, Serravezza non appare molto ottimista. “Modifiche nel Dna stanno già avvenendo: come dire, trasmetteremo un patrimonio già modificato ai nostri figli”. Peraltro, considerati i tempi di incubazione e della cancerogenesi, nei prossimi anni sono plausibili nuovi picchi di tumore in questa terra martoriata.

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