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Cronaca

Animali marini velenosi o tossici: ecco quali potreste incontrare nel Salento

Vermi di fuoco, "parasaule", le classiche meduse, i piccoli arpioni delle attinie e altri ancora. Come conoscerli e difendersi

Eccoci alla seconda puntata con i mari del Salento. Dopo aver fatto un po' di chiarezza su alcuni luoghi comuni e confusioni su animali, alghe e persino località, oggi parliamo dei pericoli che si celano nei fondali. Per imparare a difenderci davanti a punture urticanti ed evitare pericolosi morsi. 

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Tra gli animali pericolosi che popolano i mari, spesso, ci ‘vengono in mente’ squali e orche ma tra meduse, coralli e altri organismi marini, sono tante le specie che possono causare seri problemi. Alcune di queste sono originarie dei mari tropicali ma, con l’innalzamento delle temperature è, oramai, usuale trovarle nei nostri mari. In genere, colorazioni vistose e strutture sporgenti appartengono ad animali pericolosi anche se sono belli a vedersi.

Un incontro ravvicinato con questi organismi marini può produrre diversi effetti sull’uomo, non solo per la diversità delle sostanze tossiche e le tecniche di difesa attivate contro aggressori occasionali (e spesso involontari) come subacquei o semplici bagnanti, ma anche in base alla sensibilità individuale. Per nostra fortuna, la maggior parte degli organismi marini velenosi vivono nei mari tropicali (lontani dal Mediterraneo), riducendo la possibilità di incontri ravvicinati nei nostri mari. E’ bene, però, conoscere almeno le specie più comuni che possiamo incontrare più facilmente, in modo da evitare i rischi di un incidente che potrebbe, comunque, comportare complicazioni difficili da gestire. In genere le ferite inferte sono modeste ma il dolore è, a volte, associato ad altri sintomi come gonfiore, abbassamento di pressione, febbre, vomito.

Occhio a meduse, scorfani e attinie

Pelagia-2Nei mari salentini, i principali animali in grado di procurare problemi sono i ricci di mare, alcuni pesci ossei (come la tracina e lo scorfano) e cartilaginei (razze o trigoni) e, non dimentichiamo, le attinie e le meduse!

Le meduse, spesso temute e odiate, non sono proprio pericolose ma i loro tentacoli, che rilasciano sostanze urticanti, sono in grado di provocare, dopo il contatto, dolore e reazioni come gonfiore, eritema e bruciore più o meno intensi.

Le tre specie di meduse più comuni dei mari salentini sono Cotylorhiza tuberculata (dall’aspetto a cespuglio fiorito ma rovesciato a forma di disco) e Rhizostoma pulmo (bianca con bordo blu-viola, conosciuta come ‘polmone di mare’) entrambe poco urticanti; Pelagia noctiluca (rosea-violetta, con tentacoli fini e lunghi, nella foto a lato) è, invece, molto urticante.

La proliferazione di queste specie, come riportato in diverse pubblicazioni scientifiche, è influenzata dal riscaldamento globale che fa aumentare la temperatura dell’acqua favorendo l’abbondanza di plancton, il cibo delle meduse. Anche la pesca eccessiva che rimuove i predatori e alcuni interventi dell’uomo sulle coste hanno favorito la loro diffusione.

Mentre i più conoscono le caratteristiche urticanti delle meduse, pochi, invece, sono a conoscenza che le attinie del fondale marino (come i pomodori di mare, nome scientifico: Actinia equina), hanno, in realtà, lo stesso meccanismo di difesa.

Questi animali (appartenenti al gruppo degli Cnidari) e abitanti della zona intertidale (a pochi metri di profondità), hanno cellule specializzate in grado di ‘sparare’ microscopici arpioni su tutto ciò che toccano. Questi aghetti sono cavi all’interno e contengono una sostanza tossica in grado di paralizzare le piccole prede di cui le attinie e le meduse si nutrono. L’effetto sull’uomo è solo irritante (almeno per le specie presenti nel Mediterraneo).

Quando si esplora il fondale marino, pertanto, è consigliabile indossare i guanti e la muta.

I ricci di mare, invece, esercitano la loro azione tossica (la puntura provoca bruciore e dolore) per effetto della penetrazione di aculei fragili e aguzzi che possono rimanere infissi nei tessuti.

Dalle grandi murene alle piccole "parasalue" 

Negli anfratti delle scogliere, inoltre, si può incontrare anche la murena, pesce anguilliforme dotato di  un’innata aggressività che la spinge ad attaccare, se disturbata, i subacquei in immersione. Può  pesare fino a 15 kg e raggiungere una lunghezza di un metro e mezzo.

Spesso si sente parlare del suo pericoloso morso: in realtà, non è velenosa (non possedendo ghiandole velenifere). La sua pericolosità risiede nei suoi denti aguzzi e ricurvi che sono in grado di provocare brutte ferite che, a loro volta, possono sovrainfettarsi per la presenza di residui di cibo nella loro bocca che costituiscono un terreno di coltura per diversi microorganismi.

Tra i pesci ‘pericolosi’ che popolano i nostri mari ci sono la tracina (conosciuta come ‘parasaula’ nella provincia di Lecce) e lo scorfano, con le loro spine distribuite sul loro corpo, sono in grado di inoculare sostanze tossiche che provocano dolore intenso ed edema. Queste specie di pesci sono dotate di ghiandole in grado di produrre tossine associate ad aculei e spine con diversa localizzazione. In particolare, quando parliamo di ‘parasaula’ non ci riferiamo ad un’unica specie, ma ad una famiglia di animali con numerosi rappresentanti nei fondali sabbiosi a pochi cm di profondità che vivono semiseppelliti nella sabbia. Se il malcapitato bagnante viene punto dalla loro spina dorsale (con raggi veleniferi che inoculano un veleno ad azione neuro- ed emo-tossica) ed è particolarmente sensibile, questo veleno può provocare febbre, vomito, rallentamento cardiaco e difficoltà respiratoria.

Questi pesci sono gregari: questo vuol dire che dove ce n’è uno, ce ne sono sicuramente degli altri.

Gli scorfani dei mari salentini (appartenenti al genere Scorpaena e parenti del pesce pietra, specie velenosa che vive, per fortuna, solo nei mari tropicali) vivono ben mimetizzati tra le rocce e sono dotati di spine velenifere localizzate sugli opercoli e sulle pinne dorsali.

Tra i pesci cartilaginei, i trigoni, simili a razze, hanno un aculeo, posto alla base della coda che, quando l'animale è infastidito, viene conficcato nella vittima inoculando il veleno che può provocare gonfiore e dolore localizzati (a volte anche vomito, diarrea e collasso per vasodilatazione).

Il verme di fuoco arrivato dai mari tropicali

vermocane-2Inoltre, oltre agli animali di cui si è parlato, non bisogna dimenticare la presenza nei nostri mari del ‘vermocane’ (nome scientifico: Hermodice carunculata) chiamato anche ‘verme di fuoco’ o “verme di mare”, che è un verme marino appartenente al gruppo zoologico degli Anellidi proveniente dai mari tropicali e subtropicali. Si tratta, infatti, di una specie termofila (che preferisce le acque calde) e, per questo motivo, può essere considerata ‘indicatrice delle condizioni ambientali’.

Questi organismi sono ricoperti di setole in grado di inoculare sostanze tossiche: quindi è sempre meglio evitare di toccare questi animali a mani nude. Si può trovare a basse profondità, nascosto tra gli scogli: se infastidito o sfiorato, scaglia le sue setole bianche (provviste di tossine), contro l’aggressore. Le setole sono in grado di provocare dolorose irritazioni e la parte interessata si presenta gonfia ed arrossata. Nell’antica Grecia, questo verme marino assumeva le sembianze di un insetto infernale e di un cane senza arti strisciante.

Ecco come fare per difenderci

Ma cosa dobbiamo fare in caso di contatto accidentale con questi organismi?

In generale, per alleviare i sintomi locali, poiché i veleni sono termolabili (cioè si inattivano con il calore), è utile detergere la parte con acqua salata tiepida.

Dopo questo primo intervento, il medico prescriverà il trattamento (con antistaminici o antibiotici) a seconda del caso specifico.

In particolare, in caso di incontro ravvicinato con i tentacoli urticanti di una medusa, non usare mai acqua dolce che potrebbe attivare le nematocisti (strutture urticanti delle meduse) rimaste sulla pelle favorendo la liberazione delle sostanze irritanti in esse contenute.

In ogni caso, è opportuno rivolgersi al più vicino Pronto Soccorso quando sono presenti ulteriori sintomi come nausea, vertigini, vomito, difficoltà respiratoria e tachicardia.

* Cinzia Gravili lavora presso il Laboratorio di Zoologia e Biologia Marina del DiSTeBA, Università del Salento.

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