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Cronaca

Armi e documenti rubati: dietro l'operazione inquietanti scenari tutti da sondare

I diciotto arresti mettono fine a presunti gruppi dediti a furti, ricettazione e falsificazione di carte d'identità. Ma tra possibili rapporti con la camorra, infiltrazioni nel Salento, timori legati al terrorismo e all'immigrazione incontrollata, si potrebbe schiudere un mondo più vasto e pericoloso

LECCE – Francesco Criscuolo detto O Pazzo, 42enne di Melito di Napoli, è un leader carismatico che fornisce protezione e consigli ai sodali. Organizza i furti e intesse rapporti d’affari piuttosto stretti con un altro elemento di spicco di una seconda banda, Abdelhabi Marouane, alias Alì, 30enne marocchino con domicilio a Frignano (Caserta). Tutto questo emerge dalle 85 pagine di un’ordinanza che ha messo a nudo due organizzazioni con scopi diversi, intrecciate fra loro, in una vera e propria filiera del crimine in cui sistematico sarebbe il passaggio di mano di armi e documenti d’identità freschi di furto.

Non solo. Nei lati in chiaroscuro, sembra d’intravedere l’esistenza di ulteriori collegamenti di ciascun gruppo con altri ancora, sempre più potenti e solidi, fino ad arrivare agli interessi dei clan camorristici. Non sembra casuale il ritrovamento a Napoli, ai primi di settembre del 2014, di una delle pistole rubate a Gallipoli. per la precisione, nella disponibilità di Raffaele Vastarella, 64enne, elemento di spicco del clan Vastarella–Tolomelli. Vi sono, dunque, ancora ramificazioni in attesa di essere setacciate fino in fondo, con la possibilità di sviluppi molto interessanti, se già quelli attuali non lo fossero.

Molti sono gli elementi che fanno apparire l’operazione “Bingo” fra più le interessanti degli ultimi anni. Il fatto che si sia snodata fuori dal Salento, pur nascendo l’inchiesta proprio in provincia di Lecce, non ha forse provocato la giusta attenzione. Eppure, vi sono implicazioni di stretta attualità, in un momento storico e politico segnato da temi caldi quali flussi migratori incontrollabili e pericolo d’infiltrazione terroristica.

Chi erano i destinatari ultimi di carte d’identità e documenti in genere, comprese patenti, falsificati ad arte? Quanti sono entrati nel territorio italiano giovandosi di generalità fasulle? In quali occasioni sono state (o potranno essere) usate quelle carte? Il rischio che fra i destinatari vi siano personaggi di un certo spessore non è assolutamente da escludere, in un momento in cui il governo stesso alza la soglia dell’attenzione.

Francesco Criscuolo-2Che siano stati i carabinieri e Procura leccesi a puntare l’indice contro bande che avevano base logistica in Campania, ma che agivano in tutta Italia, può essere considerato un lustro, partendo anche dal presupposto che nessuna delle persone coinvolte aveva (almeno in apparenza, e di certo finora non ne sono usciti) rapporti con personaggi della criminalità salentina. E allora, bisogna rendere merito a tutti quegli uomini senza nome, carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo di Lecce, della Sezione investigazioni scientifiche e della Compagnia di Gallipoli, che hanno lavorato sodo, svelando scenari che mettono un brivido.   

Tutto questo, infatti, concorre anche a definire meglio un quadro già tracciato, in linea di massima altre volte, ma più a livello teorico, e forse mai come questa volta con la concretezza del fatto consumato, che ne rappresenta prova sostanziale: nel vuoto di potere criminale generato dal declino della Scu, si stanno verificando infiltrazioni sempre più pericolose da altri territori.

Un passaggio in particolare di cui s’è già scritto è molto interessante: la banda che ha messo a segno i furti negli uffici comunali di Gallipoli e Parabita (e in altre località dello Stivale, bisogna ricordarlo), agiva in piena autonomia, come hanno appurato i militari. Insomma, non aveva bisogno né di basisti locali, tantomeno (almeno, così sembra), di chiedere “autorizzazione” alla criminalità salentina per le proprie trasferte.

Una capacità organizzativa che denota spregiudicatezza e professionalità, seppur non esente da falle. In mezzo si pone sempre un anello debole, il fattore umano, umorale e insondabile. S’è già visto come Giuseppe Barretta, alias Peppe, 35enne di Melito di Napoli, non chiamato rispetto ad altre occasioni a partecipare ai colpi studiati nel Salento, abbia reagito malamente, telefonando alla caserma dei carabinieri della compagnia di Gallipoli e fornendo la dritta, dopo il primo furto, sulla possibilità che ne fosse in preparazione un secondo, sempre nel Leccese.

E dopo che, in effetti, anche il Comune di Parabita ha subito la stessa sorte (pur con un bottino meno importante, essendovi molti meno documenti e nessun’arma) quelle chiamate con accento napoletano, da un cellulare poi risultato intestato alla sua compagna, sono state ritenute molto attendibili.

Dopo la prima intuizione che la strada da seguire fosse giusta, ci sono però voluti tutti gli approfondimenti del caso. E qui s’è insediato il lavoro di cesello dei militari del Reparto operativo e del Nucleo investigativo di Lecce, diretti dal colonnello Saverio Lombardi e dal capitano Biagio Marro. I quali hanno trascorso giorni e notti a sondare celle telefoniche e ascoltare testimonianze. N’esce fuori un quadro per certi versi avvincente, almeno per chi ama l’azione. Ed ecco come sono stati organizzati e messi a segno i furti di pistole e documenti, in ogni dettaglio, anche quelli ancora inediti, ma anche come si sono snodate le indagini che hanno fatto luce sui colpi.  

Gallipoli: sopralluoghi e trattative di finti vacanzieri

Si parte dalla notte del 31 luglio scorso. La storia è nota. Una banda riesce a penetrare nell’ufficio dell’Anagrafe di via Pavia, a Gallipoli, dopo aver forzato porte d’alluminio, e da qui raggiunge anche il comando di polizia locale. Il bottino è notevole, il giorno dopo la stampa si fionda in loco a raccogliere dati: mille 49 carte d’identità in bianco, 3mila euro in contanti e bolli, dodici pistole Beretta modello 98 Fs e 84Fs, duecento proiettili.

I carabinieri trovano gli armadi blindati aperti con una fiamma ossidrica generata da bombole. I ladri non le portano nemmeno via con sé. Abbandonano tutto sul posto. Che si tratti di un piano studiato nel dettaglio da soggetti che lasciano trasparire una notevole capacità organizzativa lo dimostrano alcuni particolari.

Nulla viene lasciato al caso. Per esempio, per evitare che all’esterno qualche passante noti il bagliore della fiamma ossidrica, i ladri oscurano le finestre con vernice nera. Inoltre, solo una delle telecamere esterne del sistema di videosorveglianza, qualche minuto dopo le 4, immortala il passaggio di tre persone sospette, nei pressi della recinzione dell’ingresso principale dello stabile. Le altre, infatti, non rilevano nulla a causa della visuale ostruita dall’impalcatura di una ditta che proprio in quei giorni è all’opera per alcune ristrutturazioni.

I carabinieri sospettano che vi sia un basista, qualcuno che fornisca informazioni, e mettono sotto osservazione - arrivando anche a intercettare -, persone che hanno rapporti di lavoro con il Comune di Gallipoli. Non emerge assolutamente nulla, nemmeno un minimo sospetto. Un buco nell’acqua. E allora, sono quelle telefonate attribuite a Barretta, risalenti alla notte del 22 agosto, in cui preannuncia l’ideazione di un altro furto in zona (senza però indicare il luogo preciso), a fornire un indirizzo da seguire, dopo che anche a Parabita, il 25 agosto, viene consumato un furto.

Quelle chiamate arrivano da Melito di Napoli, Barretta intrattiene molti rapporti con altri soggetti locali e dall’acquisizione dei tabulati telefonici i carabinieri tracciano i movimenti di alcuni fra questi personaggi a Gallipoli proprio in quei giorni.

Attenzione, però. Francesco Criscuolo si cautela in qualche modo, usa carte intestate ad altri per le comunicazioni, fra cui in un caso alla compagna, ma si tradisce quando, intercettato, più volte fornirà indicazioni sulla sua stessa identità, compreso il soprannome di O Pazzo.

Ci sono diverse chiamate in particolare, inoltre, che incuriosiscono i carabinieri. Nel periodo coincidente con i furti, Francesco Criscuolo, che resta sempre a Melito e da lì impartisce ordini, contatta più volte non solo alcuni fra coloro che in seguito saranno ritenuti gli autori materiali dei due furti nel Salento e di altri (Renato Bottone, 32enne; Antonio Criscuolo 37enne; Vincenzo Famà, 51enne; Bernardo Russo, 33enne; tutti di Melito), ma anche un uomo della zona di Gallipoli. Con questi già Antonio Criscuolo aveva avuto alcuni contatti in precedenza nella ricerca di un appartamento. Si cerca di stabilire una data precisa, vi sono alcuni cambiamenti dell’ultima ora, come racconterà lo stesso salentino ai carabinieri. Ovviamente è all’oscuro dei piani e pensa che quei napoletani siano normali turisti che cercano una sistemazione per luglio o agosto.

Si arriva alla notte del furto. In quelle ore, i telefoni di Francesco Criscuolo sono roventi. Molte telefonate e brevi, che agganciano celle della rete telefonica di Gallipoli e proprio in prossimità del Comune. Secondo i carabinieri, parla più volte anche con alcuni fra i complici accertati (fra questi, Renato Bottone), che, guarda caso, dai tabulati risultano essersi spostati da Melito a Gallipoli il giorno prima, per poi rientrare subito dopo che il furto è stato commesso. Qualcosa di molto simile nella dinamica sarà accertato in seguito altri casi, cioè in occasione dei furti negli uffici comunali di Boscotrecase (19 settembre), Castelvolturno (23 settembre) e Amorosi (9 ottobre). E, senza andare così lontano, anche molto prima, a Parabita, il 25 agosto.

Di certo, dopo il colpo di Gallipoli, fanno rientro a Napoli con due auto diverse. E c’è poi un aspetto molto importante, che si ripeterà schematicamente alla fine di ogni furto, a Gallipoli come altrove. Appena la banda rientra a casa, O Pazzo contatta Abdelhadi Marouane, ritenuto il ricettatore dei documenti rubati. E lo fa appena ha la refurtiva fra le mani, in questo caso le carte d’identità in bianco di Gallipoli. Ancora: secondo i carabinieri è Antonio Criscuolo a scovare il luogo adatto al furto, in un sopralluogo. Le testimonianze e i tabulati lo danno per certo a Gallipoli con la moglie dal 27 al 28 luglio, a bordo di una Lancia Y grigia. S’incontra con il già citato salentino per accordarsi su un appartamento che si trova peraltro in via Milano, a distanza molto breve dagli uffici di via Pavia. E se l’occasione fa l’uomo ladro, figurarsi chi già lo è di professione.

Agosto: passaggi ad Alezio e Taviano, ma si opta per Parabita

E non finisce qui. Il 25 agosto nel Municipio di Parabita viene trovata forzata una finestra di legno. I soliti ignoti colpiscono ancora. Ancora una volta c’è la fiamma ossidrica e ancora una volta mancano all’appello carte d’identità in bianco (283), ma anche 180 voucher e poco più di mille e 400 euro in contanti incassati quali corrispettivo per diritti di segreteria.

Già, il furto “presagito” da Barretta che nel frattempo ha chiamato i carabinieri, non avendo certo doti d’indovino, ma (evidentemente) conoscenza diretta del gruppo e delle sue intenzioni.  Fra le altre cose, spicca nel corso di questa nuova indagine la deposizione di un noleggiatore di autovetture che ai carabinieri spiega di aver sottoscritto con tale Vincenzo Famà (uno di coloro che sarebbero stati arrestati, appunto) un contratto per una Toyota Yaris.

Dalla documentazione emerge il ritiro dell’autovettura nella tarda mattinata del 24 agosto con riconsegna alle 9 in punto del giorno successivo, persino in anticipo rispetto all’orario previsto, fissato nelle 19. Questo succede quando la Lancia Y Elefantino presumibilmente usata dalla banda finisce dal 23 al 25 in riparazione presso un elettrauto. E i movimenti della Yaris, ricostruiti in maniera molto dettagliata attraverso i dati del Gps, sono fondamentali.

Abdelhadi Morouane-2La vettura prima passa da Taviano, incrociando largo Sant’Anna, dove si trova l’ufficio anagrafe, poi si ferma ad Alezio, fra via Uzentum e via San Pancrazio, sempre di fronte all’ufficio anagrafe. Infine, ormai a tarda ora, raggiunge Parabita, in via Ferrari, dove si trova (è il caso di dirlo?) l’ufficio anagrafe. Quello che alla fine sarà derubato. Non subito però.

L’auto fa rientro a Gallipoli, per tornare a Parabita poco prima dell’una. Da qui si allontana alle 2 verso la “Città Bella”, per poi spostarsi di nuovo verso Parabita, dove si ferma alla fine per due ore, a pochi metri dell’anagrafe. Rientro definitivo a Gallipoli poco dopo le 5 del mattino.

Se ne deduce che la banda abbia sondato prima gli uffici di Taviano e Alezio, scegliendo alla fine quello di Parabita perché forse più vulnerabile, facendo qui ben due sopralluoghi prima di entrare in azione.

Anche in questo caso, dopo il colpo, si ripete lo schema già visto in occasione del furto di Gallipoli. I tabulati lasciando intendere uno scambio di chiamate tra Francesco Criscuolo da Melito e altri presenti in zona quei giorni, per poi contattare all’alba il solito ricettatore, Abdelhadi Marouane quando ormai le carte d’identità sono evidentemente già state sottratte. Al momento non è chiaro se gli accordi vadano in porto, come in altre occasioni di furti in zone diverse d'Italia, ma il contatto continuo è già indice di rapporti consolidati.  

In tutto ciò, il ritorno a Melito dei sodali giusto il 26 agosto, a “vacanza” ormai finita. E le tante domande che sovvengono riflettendo sulle mille strade che pistole e carte d’identità possono aver preso. Anche per questo, è importante che i ricercati, due albanesi al momento irreperibili (di cui scriviamo a parte, Ndr) siano preso acciuffati. Si avrà così, forse, un quadro ancor più completo.  

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