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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Arrestato per dieci mesi per un crimine mai commesso, chiede un maxi risarcimento

Nuovo capitolo della complessa, e per certi versi assurda, vicenda legata alla figura di Torquato Epifani, 37enne originario di Galatina. A febbraio scorso è stato assolto in abbreviato, per non aver commesso il fatto, dell’accusa di tentata estorsione e spaccio di stupefacenti. Ora chiede il risarcimento per ingiusta detenzione

LECCE – Nuovo capitolo della complessa, e per certi versi assurda, vicenda legata alla figura di Torquato Epifani, 37enne originario di Galatina. Il nome di Epifani è noto alle cronache per una serie d’inchieste, processi ed errori giudiziari che lo hanno visto vittima o “sfortunato” protagonista.

A febbraio scorso Epifani è stato assolto in abbreviato (con altri due imputati tra cui la compagna) con formula piena, per non aver commesso il fatto, dell’accusa di tentata estorsione e spaccio di stupefacenti. Sentenza divenuta definitiva a giugno. Per quei fatti il 37enne fu arrestato e condotto in carcere il 17 febbraio del 2012. Il primo marzo ottenne i domiciliari, che scontò fino al 22 dicembre. Nei giorni scorsi il suo legale, l’avvocato Stefano Stefanelli (nel giudizio abbreviato suo legale era l’avvocato Giuseppe Bonsegna) ha presentato una richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione. Per i dodici giorni trascorsi in carcere, l’avvocato Stefanelli ha chiesto 28.298,40 euro (2358,20 x 12). Per i 296 giorni ai domiciliari, invece, 174.506,80 euro (296 x 589,55). Per il danno subito per una detenzione così lunga e per il discredito sociale, è stata avanzata un’ulteriore richiesta rispettivamente di 40.561,04 e 48.673,25. L’indennità complessivamente dovuta secondo quanto richiesto dal ricorrente ammonta dunque a complessivi euro 292.039,49. Si tratta di cifre più elevate rispetto a quelle previste, un aumento basato su un aspetto fondamentale per la difesa: le percosse subite durante un arresto da parte di un carabiniere, che lo hanno reso invalido. Invalidità che avrebbe dovuto, secondo il legale di Epifani, essere ostativa alla custodia cautelare e alla commissione dei fatti contestati. Saranno ora i giudici della Corte d’appello a pronunciarsi sulla richiesta di indennizzo.

Per comprendere meglio la vicenda bisogna fare un passo indietro. Nell’aprile del 2009 i carabinieri di Gallipoli notificarono al 37enne un’ordinanza di custodia cautelare. La misura, secondo quanto contestato dalla difesa di Epifani, fu eseguita con modalità talmente negligenti da provocare la legittima fuga, tanto che lo stesso è stato poi assolto dall’imputazione con sentenza divenuta irrevocabile. Al termine dell’inseguimento scaturito dall’esecuzione di quella misura cautelare, uno dei carabinieri, raggiunto l’Epifani, lo avrebbe deliberatamente percosso in maniera talmente violenta da lesionargli il midollo della spina dorsale e da renderlo totalmente invalido e inabile al lavoro. Nonostante l’evidenza dei sintomi che non consentivano all’Epifani neanche d’impugnare una penna e sottoscrivere gli atti, la negligenza del personale medico in servizio presso il carcere fu tale che egli vi rimase per numerosi giorni con il midollo della spina dorsale lesionato (tanto da giungere all’interrogatorio del gip su una sedia a rotelle). Epifani fu poi operato d’urgenza e successivamente scarcerato per accertata incompatibilità delle condizioni di salute con la detenzione in carcere. Al 37enne è stata poi riconosciuta una pensione d'invalidità quale infermo al 100 per cento unitamente all'indennità di accompagnamento.

Per quel presunto pestaggio, Michele Gatto, brigadiere in congedo dell’Arma dei carabinieri, è stato condannato in primo grado alla pena di anni 3 e mesi 2 di reclusione nel luglio del 2012. Pena poi confermata in appello (a gennaio scorso) e pendente in Cassazione. Da quel procedimento ne sono poi scaturiti altri due: il primo per false attestazioni nei confronti di un carabiniere (con imputazione coatta disposta dal gip Simona Panzera), per cui è stato chiesto il rinvio a giudizio. Il secondo è nato dopo che il giudice Michele Toriello, che ha emesso la sentenza di primo grado nei confronti di Gatto, ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura per quattro carabinieri accusati di falsa testimonianza. “Nel presente processo – si legge nella sentenza – quasi tutti gli appartenenti all’Arma dei carabinieri escussi, non hanno inteso contribuire in maniera asettica alla obiettiva ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione, ma si sono adoperati per proteggere i loro colleghi imputati e metterli al riparo dalle gravi accuse elevate nei loro confronti nella convinzione, drammaticamente errata, che l’onore ed il decoro dell’Arma potessero in questa vicenda essere tutelati solo con l’assoluzione degli imputati”. Nei giorni scorsi si è aperta l’udienza preliminare a carico degli imputati, il gup ha accolto la richiesta del pubblico ministero di fare accertamenti sui telefoni cellulari degli stessi (mai sottoposti a sequestro). Telefoni che saranno consegnati nella prossima udienza. Nello stesso procedimento Gatto è imputato per illecite misure di rigore.

Secondo quanto enunciato dal legale di Epifani nella richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione, i carabinieri di Gallipoli avrebbero redatto “una serie di annotazioni di servizio il cui contenuto si rivelava poi, di fatto, volto a sminuire l'evidenza della gravità delle condizioni di salute del ricorrente consacrata nella copiosa documentazione medica”. Inoltre, nelle informative di reato che hanno proceduto l'emissione dell'ordinanza restrittiva, avrebbero “sollecitato l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare omettendo di riferire al pubblico ministero titolare del fascicolo quali fossero le reali condizioni di salute dell’indagato (condizioni di salute la cui conoscenza era sicuramente fondamentale non solo ai fini della scelta della misura cautelare, ma anche ai fini della valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sotto il profilo della loro incompatibilità con i fatti di violenza denunciati dalla persona offesa)”. Omissione che avrebbe così portato a emettere un’ordinanza di custodia cautelare che disponeva la carcerazione di un portatore di handicap in situazione di gravità, invalido al 100 per cento e inabile al lavoro al 100 per cento, nell'ambito di un processo nel quale, peraltro, è stato assolto.

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