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Cronaca

Sarah Scazzi, ergastolo per Sabrina e Cosima nel processo vivisezionato dai media

Lo zio Michele Misseri condannato a otto anni per concorso in soppressione di cadavere, insieme a fratello e nipote. Si chiude così il giudizio di primo grado nella macabra vicenda di Avetrana, dove spesso sobrietà è buon gusto sono stati dimenticati, nell'imperversare di telecamere e salotti

TARANTO – Ergastolo. La parola, proferita dal presidente della Corte, Cesarina Trunfio, salutata da un applauso, è risuonata affilata come il taglio di una scure su di un collo teso, nell’aula della Corte d’assise di Taranto. Ergastolo, per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, figlia e madre, per l’omicidio di Sarah Scazzi. Otto anni, invece, per Michele Misseri, padre e marito delle due donne. Il più confuso reo confesso della storia, capace di accusarsi e ritrattare di continuo, in un macabro, infinito balletto di versioni e contraddizioni, risponde di concorso nella soppressione di cadavere.

Ancora: sei anni di reclusione, per lo stesso reato di Michele Misseri anche per suo fratello Carmine e per il nipote Cosimo Cosma. Due anni, invece, per l'ex avvocato difensore di Sabrina, Vito Russo: risponde di intralcio alla giustizia. Per favoreggiamento, inflitti un anno ad Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano, e un anno e quattro mesi a Giuseppe Nigro. Michele Misseri, Cosima Serrano e Sabrina Misseri dovranno anche risarcire la famiglia Scazzi e il Comune di Avetrana, in separata sede. E’ stata stabilita una provvisionale di 50mila euro ciascuno ai genitori di Sarah, Giacomo Scazzi e Concetta Serrano, e di 30mila euro per il fratello Claudio. L’agenzia Ansa è stata tra le prime a riportare l’esito.

La sentenza di primo grado chiude una parentesi raccapricciante, dolorosa, ma anche oltre i limiti del morboso, nella morsa di un sistema mediatico con i suoi eccessi nell’invasione di campo, un pubblico diviso fra avidi (come non menzionare i tour dell'orrore ad Avetrana di intere comitive?) e nauseati, e i protagonisti della vicenda trasformatisi a tratti in attori e caratteristi all’interno di un dramma che, però, con un film non aveva davvero nulla a che fare.      

Avetrana, propaggine di Salento in terra di Taranto. Solo 9 chilometri da Punta Prosciutto, frazione di Porto Cesareo, estremità nordoccidentale della provincia di Lecce. Terre dove i confini sono soltanto segni indistinti sulle mappe, perché si mastica da secoli la stessa cadenza. La vicenda ha tenuto banco per due anni e otto mesi. Un’intera nazione con il fiato sospeso, e interminabili, a volte stucchevoli ore di passaggi televisivi, non senza sbavature, in un quadro eternamente in bilico fra dramma e cadute nel vortice del pittoresco, o forse meglio sarebbe dire, grottesco.

Perché a un certo punto sembrava quasi che ci si fosse dimenticati come tutto era nato. La violenta, assurda morte di un piccolo angelo biondo, Sarah Scazzi. Quindici anni appena. Così fragile, in quei sorrisi da adolescente, che sarebbe venuto spontaneo, istintivo, difenderla anche a chi, come i più, l’avesse conosciuta solo in fotografia. E invece, qualcuno ha provato altri istinti, selvaggi, ferini, e le ha strappato la vita in una mattina di fine agosto, sotto l’abbacinante sole della controra, quando il bruciore sulla pelle consiglia riparo all’ombra delle case basse. O magari un tuffo nel mare. Quello che Sarah avrebbe voluto fare. Aveva appuntamento con la cugina, Sabrina Misseri. Era il 26 agosto del 2010. Da allora, il suo silenzio s’è ammantato di ombre sempre più cupe, fino alla certezza che non avrebbe più spalancato gli occhi sul mondo.

All’1,40 del 7 ottobre del 2010, su indicazione dello zio Michele Misseri, messo sotto torchio fino allo stremo dai carabinieri, il ritrovamento del corpo. Sepolto in un pozzo tra Avetrana e San Pancrazio Salentino, lungo la strada per Salice. Una sorta di trivio fra Lecce, Brindisi e Taranto. E con Misseri che si accolla le responsabilità, confessando cose orribili, al di là dello strangolamento, per poi ritrattare e tornare ad accusarsi.    

Dopo un processo vivisezionato come pochi, trasformatosi spesso in pièce teatrali inopportune, complici telecamere e scatti a suggellare ogni mossa, ogni moina, ogni ricostruzione, anche le virgole più insignificanti, si è arrivati finalmente a questa sentenza. Per i giudici non c’è dubbio: l’omicidio è da attribuire a madre e figlia. Era il 15 ottobre del 2010 quando Misseri tirò per la prima volta in ballo Sabrina. Confermando, ma poi ritrattando nel dicembre del 2010. E intanto, le indagini, andando avanti, portarono anche al fermo di Carmine Misseri e Cosimo Cosma. Ma un’altra, importante svolta, arrivò il 26 maggio del 2011, con l’arresto di Cosima Serrano, per concorso in omicidio e sequestro di persona. Le indagini preliminari si chiusero il 1° luglio del 2011.

E durante il processo, nuove ritrattazioni di Michele Misseri. Nulla, però, che potesse far retrocedere di un passo i giudici, in una storia dalle mille sfaccettature. Nella sequela infinita di testimonianze e ricostruzioni, il procuratore di Taranto Franco Sebastio e il pm Mariano Buccoliero non hanno mai manifestato dubbi. Tanti gli elementi, come intercettazioni ambientali e le possibili discrepanze con quanto dichiarato da Mariangela Spagnoletti, l'amica che quel giorno aveva un appuntamento con Sabrina e con Saraha. Ma è quasi impossibile menzionare ogni elemento, a meno di non voler scrivere un libro. E impossibile anche sperare in un rispettoso silenzio, almeno fino a quando non si arriverà a ridosso dell’appello, come già annunciato i legali difensori di alcuni fra gli imputati. I salotti continueranno imperterriti. E con la lentezza della giustizia italiana, non c’è di che ben sperare.  

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