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Cronaca

Scu, scatta l’operazione “Deja-vu ultimo atto”. Undici arresti all’alba

I carabinieri del comando provinciale di Lecce hanno stretto le manette ai polsi di undici individui, fra il capoluogo salentino e Brindisi. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, spaccio di stupefacenti, detenzione e porto di armi, lesioni e minacce. Il blitz è il seguito di altre due operazioni dei mesi scorsi

LECCE – La Sacra corona unita non è esente da défaillance. Conflittualità e  lotte intestine hanno un costo salato per la criminalità organizzata. Scivoloni, distrazioni e l’ennesima faida interna per la spartizione dei feudi su cui esercitare spaccio di stupefacenti ed estorsioni non hanno fatto che facilitare il lavoro investigativo dei carabinieri del comando provinciale. E’ stato ribattezzato “Deja- vu, ultimo atto” il blitz scattato all’alba, che ha portato all’esecuzione di undici ordinanze di custodia cautelare. Due delle quali notificate in carcere.

Ultima tranche, o quanto meno si spera, di un filone d’indagine che aveva fatto scattare, nei mesi scorsi, due altre importanti operazioni: “Vortice-Deja-vu”, a metà novembre, e “Paco” all’inizio dell’anno. I militari della stazione di Squinzano, della compagnia di Campi Salentina, assieme ai colleghi del Nucleo investigativo, guidato dal capitano Biagio Marro, e del Reparto operativo, coordinato dal colonnello Saverio Lombardi, hanno eseguito le misure. Queste sono state disposte dal gip del Tribunale di Lecce, Carlo Cazzella, e richieste dal sostituto procuratore Giuseppe Capoccia.

Di seguito i destinatari dell'ordinanza: Marino Manca, 42enne di Squinzano; la moglie Alessandra Amira Bruni, 24enne squinzanese; Luca Greco, 43enne; Marco Greco, 41enne; i gemelli Roberto e Stefano Napoletano, di 29 anni, e il fratello Angelo di 39;  Stefano Renna, squinzanese di 34 anni;  Giuseppe Ricchiuto, di 24 anni; Antonio Serratì, 41enne di Trepuzzi ed Emiliano Vergine, squinzanese di 39 anni. Per quest'ultimo, e Roberto Napoletano, il provvedimento è stato notificato in carcere perché i due sono già detenuti.

Gli arrestati sono stati ritenuti dalla Direzione distrettuale antimafia vicini agli ambienti del clan De Tommasi-Notaro, con base nel nord Salento. Sono stati loro contestati i reati di tipo mafioso come l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi anche clandestine, lesioni gravi e minacce aggravate. Nell’ambito delle indagini quattro di loro sono stati infatti fermati, in flagranza di reato,  perché trovati in possesso di oltre un chilogrammo e mezzo tra marijuana e cocaina, a Otranto, destinato allo smercio al dettaglio nell’area compresa tra Squinzano, Monteroni di Lecce e Casalabate.

Le mire “espansionistiche”, con lo sguardo rivolto a nord, hanno cominciato a tradursi in una sempre più pregnante penetrazione nella zona del Brindisino. Come per le altre due, precedenti operazioni, l’attività investigativa è cominciata dal monitoraggio di un sottogruppo capeggiato da Marino Manca. Una sorta di indagine-madre nella quale sono emersi continui dissapori e divergenze all’interno dello stesso clan “coordinato” dal detenuto Sergio Notaro. Livori dovuti, ça va sans dire, al controllo delle attività illegali.

Gli arrestati all'alba

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Figura chiave, tra gli arrestati, quella di Roberto Napoletano, già finito in manette e noto per la tentata estorsione nei confronti del trombettista Cesare Dell’Anna, all’interno del locale “Livello 11/8” di Trepuzzi. Sarebbe stato proprio Napoletano, a sperare in un allargamento del proprio territorio, fino a lambire il feudo del basso Brindisino. Già “coordinatore” dell’attività di spaccio, si sarebbe servito di Angelo Napoletano, Stefano Renna e Antonio Serratì per seguire la redditizia compravendita di dorga.

Nelle sue mani, anche l’altra attività, economicamente "complementare": quella della “riscossione crediti”. Una sequenza di estorsioni nei confronti degli acquirenti locali che, non avendo pagato il quantitativo di droga da immettere sul mercato al dettaglio, gli erano debitori di ingenti cifre. Somme che potevano andare da qualche centinaio di euro, fino a duemila.

La gestione della conflittualità interna alla grande “famiglia”, però, è stata condotta con impaccio e assenza di discrezione. Nel corso delle ultime settimane, i rivali si sono inviati a vicenda messaggi a colpi di arma da fuoco. Raffiche spesso sfuggite ai media, ma non agli inquirenti. Altri gesti più eclatanti hanno inevitabilmente attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, come nel caso dell’episodio dell’8 settembre del 2012, nel quale Marino Manca riuscì a sfuggire a un agguato, nelle campagne di Squinzano, mentre si trovava in compagnia di Luca Greco.

Fu quest’ultimo, 43enne, a restare ferito. Le indagini, da quel momento, sono state incessanti. I carabinieri squinzanesi, diretti dal maresciallo Giovanni Delli Santi, assieme a colleghi della compagnia campiota, guidata dal maggiore Nicola Fasciano, hanno messo assieme tasselli fondamentali nel puzzle della malavita squinzanese.IMG_1572-3

Da quel tentato omicidio, si è poi giunti alle 17 ordinanze emesse a gennaio, durante l’operazione “Paco”. Nella quale fu inferto un duro colpo al clan De Tommasi-Notaro. Appena due mesi prima, all’alba del giorno di San Martino, oltre venti individui finirono in arresto e a decine risultarono indagati non soltanto per le vessazioni agli imprenditori del posto, ma anche per le collusioni tra Scu e il mondo della politica locale.

Già in quell’occasione, il pentito brindisino Ercole Penna, mise in evidenza diverse analogie tra la cittadina di Mesagne e Squinzano: il comune salentino risentirebbe di forti pressioni da parte della malavita, impegnata a tenete “tutto in ordine”, continuando a cercare il consenso sociale. Come hanno dimostrato gli appartenenti al gruppo capeggiato da Francesco Pellegrino, alias  “Zu’ Peppu”, scoperti con le “mani sulla città”. Braccia tentacolari dirette a imporre la propria volontà, sotto la parvenza dell'armonia e dell'efficienza.

Ma la sequenza di logiche e schieramenti che, almeno le cosche mafiose degli anni Novanta avevano cominciato abilmente ad evitare, su “direttiva” di Bernardo Provenzano, nel Tacco non sono attecchite. Troppo rumore e non si è riusciti a evitare di calamitare i sospetti degli inquirenti. Come ha fatto notare lo stesso procuratore capo, Cataldo Motta, presente durante la conferenza stampa assieme al comandante provinciale dell’Arma, Nicodemo Macrì.

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