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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Identità del centro storico: i mestieri che resistono all'omologazione

A Lecce, come in molte altre città d'arte, la tendenza è di replicare modelli che cancellano la specificità dei luoghi e delle storie. Alla riscoperta di chi ostinatamente non si piega

LECCE – La trasformazione del centro storico è uno dei temi principali per una città oramai a vocazione prevalentemente turistica, come Lecce.

Recuperato, almeno in parte, con fondi comunitari dalla metà degli anni novanta che hanno indotto una riqualificazione anche da parte dei privati, nel nuovo millennio ha conosciuto la progressiva “invasione” di visitatori e la conseguente proliferazione di bed and breakfast e l’aumento esponenziale di locali pubblici, pub e ristoranti, che solo venti anni addietro erano eccezioni alla regola.

L’evoluzione nei prossimi anni della parte antica della città è strettamente legata al nuovo piano urbanistico, attualmente in discussione, che l’amministrazione comunale di Paolo Perrone vuole adottare entro la fine, oramai imminente della consiliatura. Tra le novità principali c’è quella che rende molto più agevole il cambio di destinazione d’uso, da residenziale a produttivo o direzionale per esempio, ma anche la possibilità di frazionamento degli immobili che non abbiano particolari vincoli monumentali.

Il rischio, però, è quello registrato in altre città d’arte e peraltro sempre più visibile negli ultimi anni anche nella stessa Lecce, di assistere ad una omologazione commerciale inversamente proporzionale all’impoverimento della cifra artigianale del centro storico. Se le regole le detta il mercato immobiliare, insomma, perché mai un proprietario dovrebbe resistere alle lusinghe di contratti di locazione importanti?

Ecco allora che la permanenza di alcune attività diventa non solo una questione identitaria, nostalgica, ma anche il perno di una visione alternativa a quella di un centro che tende a replicarsi, uguale in se stesso, anche altrove: negozi di souvenir con la parola Salento in ogni dove, locali per lo street food uno appresso all’altro, grandi marchi.

Rispetto a questa tendenza che pare irrefrenabile c’è un centro storico che resiste, ma che devi andare a cercarti perché quasi sfugge alla vista perché non ci sei più nemmeno abituato tra vetrine illuminate a giorno e odori di tutto il mondo e di nessun luogo. Oronzo Colelli ha 72 anni e ogni mattina apre la bottega di arrotino ereditata dal padre, deceduto non troppi anni addietro. Continuerà a farlo finché potrà, racconta, resistendo alle offerte di chi vorrebbe acquistare quello che, in via Matteotti, era in origine uno dei tanti scantinati a servizio delle abitazioni soprastanti.

Il mestiere, il signor Oronzo, lo ha dunque imparato in famiglia ma lo ha potuto esercitare solo fino a venti anni, a causa di una infezione ad un occhio in conseguenza di un incidente sul lavoro. Da quando ha preso in mano la bottega esegue solo piccoli interventi, lo fa più per trascorrere il tempo nei luoghi dove è nato e cresciuto: dalla piazzetta della chiesa greca fino a piazza Sant’Oronzo, un dedalo di vie di botteghe e “putee” dove vino, trippa, turicinieddhiu e “sangunazzu” dettavano legge.

Conserva, insieme a una macchina per sgrossare appositamente costruita dal padre, anche dei ritagli di giornale: in uno di questi, del 1984, “mesciu Alberto lu mondiale”, così era conosciuto, il racconto del mestiere di arrotino ha già il sapore della nostalgia.

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In via Palmieri, poche decine di metri da piazza del Duomo, le sorelle Greco, sono le vivaci e cordiali anime di “Creazioni Cinzia”, dal nome di una delle due, l’altra è Mina. Tra pochi mesi, a luglio, saranno 32 anni di incessante attività. Avevano appreso le raffinate tecniche della sartoria e della maglieria dalla nonna e dalla madre e decisero di puntare sull’affitto di un locale in centro a metà degli anni ottanta, quando dopo le sette di sera non c’era più nessuno.

Il loro negozio è pieno di fotografie, con personaggi più o meno famosi che sono passati e si sono fermati, e di articoli di riviste e quotidiani: l’interesse a raccontare le specificità di alcuni mestieri, e con esse l’anima del cuore della città, non è una trovata recente del cronista, certo, ma un’esigenza che si rinnova parallelamente ai mutamenti urbanistici e sociali.

Cinzia e Mina raccontano felici la soddisfazione che si prova nel ricevere le attenzioni dei turisti, ammirati dall’eccellenza del prodotto finale almeno quanto dall’attenta osservazione del work in progress. Amano il loro lavoro e trepidano all’idea che Fiorella, figlia della prima e oggi studentessa come design della moda a Rimini, possa seguire i loro passi coniugando gli insegnamenti ricevuti nel negozio dove è cresciuta con quelli impartiti nei corsi accademici.

Un patrimonio da tutelare e valorizzare

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