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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Casavola: "Il mio incubo con la giustizia albanese"

L'imprenditore detenuto per oltre dieci giorni nel Paese delle Aquile racconta in prima persona la drammatica vicenda che ha tenuto la città con il fiato sospeso. Il suo avvocato: "Un vero abuso"

Lo choc è stato smaltito, anche se non del tutto. Quando racconta la sua storia, Marcello Casavola, fra le pareti amiche del suo negozio di elettrodomestici in via Vecchia Carmiano, ogni tanto si ferma, lamenta qualche vuoto nei ricordi. Deve riavvolgere il nastro della memoria più volte, correggere passaggi. Vola da un episodio all'altro, ed è come assistere ad un film realizzato con la tecnica del flashback: ogni fotogramma che avanza, in realtà è un tuffo indietro nel passato, per poi rimbalzare nuovamente nel presente.

La trama: Casavola, 61 anni, cardiopatico, è in una squallida stanza senza letto, nella caserma di polizia di Tirana, dove dormirà per tre giorni per terra, nutrendosi con uno misero rancio, prima di subire un'udienza, con l'avvocato che predica nel deserto, in un'altra città, Kavaje, ed essere poi trasferito nel carcere, quello vero, di nuovo nella capitale del Paese delle Aquile. In cella, lui, perché non vi ha mandato qualcun altro. Chi? Un assassino? Un innocente? Il dubbio rimane, e nel dubbio non ha accusato. Nove anni fa Casavola e la compagna albanese assistettero ad un omicidio. Nove anni dopo qualcuno pretende che riconosca volti invecchiati e magari davvero mai visti. Il suo legale per sponda italiana, Cosimo Rampino, spesso lo sorregge e lo sprona a soffermarsi sui fatti salienti: "Marcello, racconta cosa faceva il giudice mentre parlava l'avvocato Ardian Leka". Casavola sorride, poi sbotta: "Si grattava il naso e non diceva niente, non lo ascoltava".

Dicono che quando si perde la libertà si smarrisca anche la cognizione del tempo. Ecco allora un fiume di parole che saltano da un episodio ad un altro, incalzate dalle domande a raffica. Ma la storia va raccontata dall'inizio, da quando nel 1998 Marcello Casavola e la compagna, tornando verso l'aeroporto, assistettero all'assassinio dell'uomo che guidava l'auto sulla quale erano a bordo. "Lasciai all'epoca la mia deposizione alla polizia", racconta, non certo pensando che l'incubo sarebbe tornato ad inseguirlo come il più spietato e rancoroso dei killer durante un altro dei suoi viaggi in Albania, quasi un decennio dopo. "Da allora ci sono stato altre volte, l'ultima in compagnia di mio figlio, a Tirana". Nulla lasciava presagire il vortice giudiziario in cui sarebbe stato inghiottito.

Ne "Il processo" di Franz Kafka, Josef K., il protagonista, viene arrestato, processato e condannato senza mai venire a conoscenza del capo d'imputazione. E' una storia surreale sulla burocrazia cieca. Casavola il suo capo d'imputazione lo conoscerà, ad un certo punto di questa vicenda: ‘omessa denuncia', perché questo è il mondo reale ed un capo d'imputazione deve pur esserci. Non solo: se la giustizia sarà giusta, "sarà scagionato e risarcito della cauzione di 5mila euro che ha versato per uscire", spiega l'avvocato Rampino. Ma con il capolavoro letterario dello scrittore praghese, specie all'inizio, la vicenda di Casavola ha in comune proprio il meccanismo grottesco di una macchina giudiziaria che priva un uomo della sua libertà senza che questi sappia mai veramente perché.

Oggi Casavola, che ha forza d'animo e verve ironica, trova la forza di scherzare. Quando gli viene chiesto se tornerà in Albania, un giorno, risponde, laconico: "Non adesso…". E' la risata liberatoria che spezza il tormento di notti al buio, solo come un cane, riverso per terra, in una caserma di polizia di un paese straniero "senz'aria e fra gli scarafaggi. I primi tre giorni sono stati una tragedia. Mi davano da mangiare qualcosa che si può dare solo agli animali". Eppure Casavola, lì, c'è finito quasi per caso. Nei mesi scorsi le autorità hanno spedito alla compagna albanese un invito a comparire. Lui, l'ha giusto accompagnata. I due sono partiti ai primi di ottobre. Ma quando si sono trovati al cospetto della polizia albanese, qualche funzionario deve averlo riconosciuto. Hanno deciso di fermarlo e di interrogare anche lui.

"Dopo un giorno intero che ero lì, verso le 12 di notte, mi chiamarono per il riconoscimento. Ci misero in una stanza, davanti sei persone. Forse all'epoca l'avrei anche riconosciuto, l'assassino, se avessero fatto la stessa cosa. C'era uno di loro che poteva aveva una certa somiglianza. Era una persona piuttosto nervosa. Ma è passato tanto tempo". Casavola non se l'è sentita di denunciare un uomo, solo sulla base di sensazioni, senza la certezza che potesse essere veramente l'assassino. E quando è arrivato il procuratore, con l'interprete della polizia, s'è ritrovato da potenziale accusatore ad imputato. "Omessa denuncia". Secondo le autorità albanesi non stava dicendo la verità. Ma cosa ha spinto gli investigatori a procedere? "Un'intercettazione", dice Casavola. Avrebbero ascoltato i discorsi fra lui e la donna, i dubbi su quell'uomo, "il secondo del gruppo". Esclude invece a priori che possa esservi qualche altra motivazione, un insulto. Da qualche parte piove questa accusa, e si fa riferimento anche ad una frase. "'Maledetti bastardi albanesi', che però io non ho mai detto: perché avrei dovuto? M piace questa nazione, ci torno sempre volentieri, amo il paesaggio e mi ci trovo bene".

Casavola ha trascorso tre notti in quelle pietose condizioni, attendendo l'udienza. Le grandi difficoltà: poter parlare con l'Ambasciata e soprattutto disporre di un difensore. Solo l'avvocato Ardian Leka s'è fatto avanti, in quel contesto. "Un uomo coraggioso", ha sottolineato Casavola. Ma il difensore non è riuscito a convincere quel giudice di Kavaje, la città dove avvenne l'omicidio. Quel giudice "che non ascoltava". Fermato il 1° ottobre, convalida dell'arresto il 4. S'è ritrovato così in carcere. L'unico italiano. E qui, quello che forse neanche lui si aspettava: i primi segnali di umanità e solidarietà dopo tanto vuoto attorno. "Eravamo in dieci in una cella ed erano tutti albanesi. Sono stati tutti bravi con me. Qualcuno masticava l'italiano, io dicevo qualcosa in albanese. Siamo riusciti a fare qualche discorso. Conoscevano il mio caso, dicevano: ‘ tre giorni ed esci, non ti preoccupare'. Ma a darmi grande speranza è stato soprattutto il contatto con la famiglia". Il grande lavoro svolto dall'Ambasciata italiana (dall'Italia, anche l'interessamento diretto del sottosegretario alla Giustizia Alberto Maritati e del senatore Alfredo Mantovano) ha poi permesso di risolvere, almeno parzialmente, il caso, fino alla scarcerazione, avvenuta il 15 di ottobre. Il reato di "omessa denuncia" è stato commutato in "falsa testimonianza" e Casavola ha potuto guadagnare la libertà versando una cauzione di 5mila euro.

"Scusate il termine, ma credo che sia stato commesso un vero e proprio abuso", interviene a questo punto l'avvocato Rampino. Il processo avverrà in contumacia, in Tribunale si presenterà l'avvocato Leka. "Io credo che in questa vicenda non vi sia stato alcun reato, né quello di falsa testimonianza, tantomeno di omessa denuncia. Nei prossimi giorni mi sentirò con il collega albanese e insieme decideremo se richiedere il rito abbreviato o ordinario". La vicenda è quindi destinata a proseguire. Ma quantomeno, Casavola potrà difendersi da uomo libero in questa storia dal vago e amaro sapore kafkiano.

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