Contrasse l'epatite C durante una trasfusione, da 50 anni attende giustizia
Dopo il riconoscimento di un indennizzo la donna prosegue la battaglia legale per il riconoscimento del danno biologico
LECCE – Nelle aule giudiziarie, a volte, il tempo sembra fermarsi e dilatarsi, trascorrere lentissimo nell’estenuante attesa di un verdetto o di una chimera chiamata giustizia. Può capitare che a distanza di quasi mezzo secolo, quell’attesa non sia ancora conclusa. Era il 29 giugno del1968, quando una donna di 33 anni di Porto Cesareo (all’epoca frazione di Nardò) al nono mese di gravidanza, fu ricoverata presso l’ospedale San Giuseppe Sambiasi di Nardò per essere sottoposta a parto distocico. Si tratta di un parto che non avviene in maniera naturale e che, per essere portato a termine, richiede l’intervento di un’ostetrica, che all’epoca utilizzava forcipe e ventosa per estrarre il feto (ai nostri giorni il caso più comune è il cesareo).
Durante l’intervento chirurgico la paziente fu sottoposta a una trasfusione di sangue, a seguito della quale contrasse l’epatite C. La malattia si è manifestata solo molti anni dopo, e recentemente è approdata dinanzi ai giudici del Tribunale di Lecce. La sentenza, passata anche al vaglio della Corte d’Appello, ha sancito che fu proprio la trasfusione, eseguita in occasione dell’intervento chirurgico del giugno del 1968, la causa del contagio. Per questo il ministero della Salute è stato condannato al pagamento dell’indennizzo speciale previsto dalla legge, liquidato alla donna circa 50 anni dopo i fatti. La donna, assistita dallo studio dell’avvocato Marcello Risi, prosegue la sua battaglia legale per il riconoscimento del danno biologico.