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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Dalla crisi alla Procura: il "caso" Omfesa nelle mani di Cataldo Motta

Un operaio non retribuito da quattro mesi si lega davanti al Tribunale sollevando l'attenzione di un giudice. Oggi il procuratore capo di Lecce ha voluto ascoltare le testimonianze dei lavoratori sui risvolti della crisi aziendale

 

LECCE - Il gesto clamoroso di Gianfranco Colucci, nel cuore di una Lecce preda delle vacanze, non è passato inosservato: legato con una pesante catena al cancello del Tribunale di via Brenta, la sua disperazione è stata raccolta da un giudice del lavoro che l’ha convinto a parlare. A vuotare il sacco sulla sua condizione lavorativa e non solo, evidentemente, se la vicenda Omfesa (l’azienda che non lo retribuisce da quattro mesi) ha lasciato il tavolo della Prefettura per sbarcare direttamente in Procura. Il giudice deve aver ravvisato, nelle dichiarazioni del dipendente, qualche elemento piuttosto rilevante, al punto che il numero uno della magistratura leccese, Cataldo Motta, ha voluto ascoltare direttamente le testimonianze dei colleghi e dei sindacalisti. Al termine dell’incontro odierno, le bocche di Piero Fioretti della Uil e di Salvatore Bergamo di Fiom Cgil sono quasi cucite: “Il procuratore capo di Lecce ha preso atto delle problematiche che abbiamo esposto e si riserva la possibilità di intervenire”.

Nessun fascicolo di indagine è stato ancora aperto, questo appare certo. Per capire qualcosa di più sulle presunte dichiarazioni che il dirigente Omfesa, Ennio De Leo avrebbe rilasciato ai dipendenti nel corso di un’assemblea, bisogna chiedere direttamente agli interessati: il vero dramma, per loro, è nella mancanza di soldi per tirare avanti le proprie famiglie. Perché nel tritacarne della crisi economica ci sono finiti, poco alla volta, anche gli operai addetti alla manutenzione e lavorazione delle carrozze passeggeri. E questo, “nonostante il paradosso di un’azienda che dichiara di aver vinto di essersi aggiudicata commesse per un totale di 30 milioni di euro, ma non riesce a continuare per una presunta mancanza di liquidità che ha raccolto il sostegno solo di due banche su cinque”, commenta Maurizio Longo di Fim Cisl. Una crisi confermata dallo stesso presidente “storico” del gruppo, Ennio De Leo che “ha pubblicamente dichiarato di averla rilevata per un tozzo di pane”, aggiunge il sindacalista della Cisl.

Così, il mancato credito degli istituti bancari è ricaduto, a pioggia, sulle ultime ruote del carro: 45 lavoratori metalmeccanici cercano di tirare avanti la baracca da quattro lunghi mesi, mentre gli altri, da più di un anno, vivono di cassa integrazione in deroga. Qualcuno sbraita, reclamando di dover parlare direttamente con Motta. La tensione sale alle stelle ma rientra subito dopo, grazie alla solidarietà generale. Alla comprensione mista a quel senso di impotenza che deforma i tratti di un operaio licenziato, al pari di altri, e mai più reintegrato nonostante le disposizioni del giudice. “Mi hanno parlato di un esubero apparente di personale, ma neanche un mese dopo, è stato assunto un nuovo lavoratore e così via, nel corso del tempo. Siamo stati tutti mandati a casa e subito rimpiazzati. Il giudice ci ha dato ragione, disponendo anche il pagamento delle retribuzioni mancanti ma ad oggi, non siamo rientrati a lavoro”.

Sul tavolo della Procura dovrebbe essere finita anche la storia, poco chiara, dei presunti prelievi, da parte dell’azienda, delle somme destinate al fondo pensionistico dei metalmeccanici, Cometa, non versate nelle casse: “Questa storia va avanti da quasi 5 anni, – conferma Maurizio Longo di Fim Cisl – e molti pensionati sono in causa con Omfesa che ha versato i contributi appena sono andati via, annullando così gli interessi che i lavoratori possono maturare negli altri”. Il passaggio stesso dal sistema retributivo a quello contributivo, nel calcolo della pensione, “rischia di lasciare queste persone con un assegno da fame, di appena 500 euro mensili”. In bilico sulla soglia di povertà. Una condizione che in molti, stanno vivendo già ora: la priorità rimangono gli stipendi e gli operai, a Surbo, a Trepuzzi come a Voghera non molleranno la presa.

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