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Cronaca Otranto

Approdo di Enea, anche per Consiglio di Stato è legittima la demolizione

Respinto l'appello presentato dalla proprietà contro il Comune di Otranto. Riconosciuto quanto già stabilito dal Tar di Lecce

ROMA – Anche per il Consiglio di Stato, così come per il Tar di Lecce, sono stati legittimi i provvedimenti adottati dal Comune di Otranto che ha ordinato la demolizione delle opere abusive realizzate dai titolari dell’Approdo di Enea, locale di Porto Badisco, ha revoca l’agibilità e ha ritirato le autorizzazioni commerciali.

Risale a ieri la nuova sentenza nella lunga vertenza tra la proprietà e il Comune sulla natura degli interventi eseguiti e sulla portata delle autorizzazioni rilasciate nel tempo. Rigettato, dunque, il ricorso d’appello. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che i provvedimenti adottati dall’Ufficio tecnico risultano del tutto legittimi alla luce degli accertamenti sui lavori materialmente eseguiti nel tempo sulla struttura e delle contestazioni che ne erano seguite, chiarendo che quanto in concreto realizzato non può dirsi coperto dai titoli precedenti.

La vicenda è nota. Nel tempo, varie opere avevano trasformato un semplice chiosco-ristoro amovibile sulla spiaggia, a servizio della balneazione, in un vero e proprio ristorante di tipo fisso. Ma gli interventi erano stati tutti contestati dal Comune di Otranto, territorio in cui ricade la nota marina di Porto Badisco. Una vicenda per cui si è aperto anche un procedimento penale davanti alla Seconda sezione del Tribunale di Lecce che ha visto coinvolti il titolare dell’attività e i funzionari dell’Ufficio tecnico che hanno rilasciato dal 2000 a oggi i certificati di agibilità stagionali sulla base delle opere effettivamente consentite. Risale a dicembre la sentenza di primo grado, con condanna per titolare e uno dei funzionari e assoluzione per il dirigente dello stesso ufficio.

Tutto questo mentre, nel frattempo, è stato contestato dall’Ufficio tecnico comunale al titolare come progressivamente il manufatto avesse assunto una configurazione diversa da quella assentita, con ampliamenti non autorizzati del bar a ridosso del costone roccioso e l’installazione di opere fisse come pavimentazione in piastrelle, strutture in muratura, vetrate e infissi a chiusura di spazi esterni. Per questo, è stata disposta la demolizione delle opere, il ritiro dell’agibilità e delle autorizzazioni commerciali, con immediata cessazione dell’attività.

La proprietà ha impugnato al Tar i provvedimenti sostenendo che, per effetto delle autorizzazioni edilizie rilasciate nel tempo, dei certificati di agibilità e delle Scia stagionali di volta in volta presentate, l’intera struttura doveva ritenersi legittimata. Una tesi contrastata in giudizio dall’avvocato Antonio Quinto, per conto del Comune, attraverso la dimostrazione dell’effettiva portata dei titoli, idonei a consentire l’installazione solo di un manufatto di tipo precario, e non altro.

Il Tar ha così respinto il ricorso, nell’agosto scorso, con la proprietà che si è appellata al Consiglio di Stato che, però, non si è discostato nelle conclusioni dai giudici leccesi. Risulta decisivo il fatto che, al di là degli assensi edilizi e della autorizzazioni temporanee, le opere sono state costruite con caratteristiche tali da renderle stabili e quindi contrarie alle prescrizioni dettate da Soprintendenza e Comune, non potendo peraltro essere mantenute in quell’area che è di particolare sensibilità ambientale e paesaggistica.

“Trova conferma anche in sede di appello – ha dichiarato l’avvocato Quinto - la legittimità dell’operato dell’Ufficio tecnico che non ha mai disconosciuto le autorizzazioni e i titoli rilasciati per la installazione della struttura, ma ha contestato che quei titoli erano preordinati ad allocare un servizio per la collettività di tipo provvisorio, e non per costruire una struttura fissa: il principio affermato dai giudici romani è che la valutazione di conformità delle opere realizzate va sempre effettuata sulla base dei titoli edilizi e dei presupposti pareri, non potendosi invocare un mero affidamento derivante dai lavori in concreto posti in essere nel tempo”.

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