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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Vita stravolta dalla sensibilità chimica. Dopo la causa scatta la protesta in strada

Giuseppina Marazia ha già fatto causa allo Stato per 1milione di euro: la sua patologia non è riconosciuta tra le malattie rare. A 50 anni la sua vita è diventata un percorso contro ostacoli invisibili. Lo sciopero è la sua forma di protesta più estrema

LECCE - Quando l’altro diventa, suo malgrado, un nemico. Perché indossa un profumo capace di scatenare forme di ipersensibilità. E l’ambiente circostante viene percepito come una babilonia di sostanze chimiche che potrebbero determinare, all’improvviso, una crisi cutanea oppure asmatica. Quando i dottori che dovrebbero prendere il caso “sul serio” non ne vengono a capo e, non potendolo inserire in un protocollo certificato, lo derubricano a manifestazione psicosomatica. Quando il vivere quotidiano diventa un lungo percorso costellato di ostacoli invisibili, allora si può arrivare fino a gesti estremi. Come quello di uno sciopero della fame prolungato finché il corpo (già visibilmente deperito) potrà reggere senza ulteriori conseguenze.

Giuseppina Marazia è arrivata fino a questo punto: fino al punto di sedersi in una via centrale del capoluogo (via Umberto I) e scioperare a nome di tutti quelli che, come lei, si dichiarano malati di Sensibilità Chimica Multipla. La patologia, infatti, è solo presunta: riconosciuta come un complesso di sintomi variabili da persona a persona, magari slegati tra loro, facilmente confondibili con quelli di altre sindromi soprattutto di origine allergica (difficoltà respiratoria, nausea, emicrania, dermatiti da contatto, vertigini, ipersensibilità agli odori e manifestazioni, talvolta anche gravi a livello neurologico, come sdoppiamento della personalità e amnesia) e quindi difficilmente inquadrabili in un contesto organico. Eppure chi ha sperimentato sulla propria pelle gli effetti della Mcs continua a combattere perché al proprio male venga riconosciuta, almeno, la dignità di una malattia. Con tanto di cause e sintomi su cui intervenire.

La stessa Giuseppina, 57 anni, mostra una propria foto di qualche anno addietro e, con indignazione, ci domanda come possa essere considerata una paziente affetta da manifestazioni psicosomatiche. La sua intera esistenza ha subito una brusca inversione di rotta a 52 anni, racconta alla stampa e a chi si è fermato a prestarle attenzione, in seguito ad un test per la somministrazione di un anestetico. “Da quel giorno in poi sono finita 25 volte al Pronto soccorso, mi hanno diagnosticato un’influenza intestinale e persino un tumore al colon. La mia odissea tra ospedali e reparti dura da cinque anni: tra i viaggi, le spese di ogni tipo e l’assistenza di una persona di cui ho avuto bisogno nei momenti più invalidanti della malattia, sono arrivata a vendere due immobili di mia proprietà, intaccando ogni risorsa personale. Ed ho tre figli cui devo dar conto”.

La complessa sintomatologia del suo caso le ha impedito di lavorare. La sua vita ne è uscita stravolta a 50 anni e senza poter usufruire di un punto di riferimento medico o dell’assistenza economica dello Stato. “L’unico centro medico che si occupava seriamente della patologia è stato chiuso. Si trovava al Policlinico Umberto I di Roma ed era diretto dal luminare Giuseppe Genovesi”. La Regione Puglia non ha neppure inserito la Mcs nell’elenco delle malattie rare, allineandosi così all’indirizzo nazionale del Consiglio superiore della Sanità. Sebbene ogni regioni mantenga comunque un orientamento autonomo, l’Italia non ha riconosciuto la malattia diversamente da quanto avvenuto nelle vicinissime Francia, Germania e Svizzera. Per non parlare degli Usa.

Tutte le rivendicazioni di Giuseppina, rivolte alle istituzioni locali, sono cadute nel vuoto ed ora la donna, assistita dal legale Salvatore Greco, ha fatto causa allo Stato italiano per 1milione di euro. Per quanto, ovviamente, nessuna cifra possa risarcire i danni di un’esistenza compromessa fin dai più piccoli dettagli quotidiani. Giuseppina racconta che, solo a Lecce, si contano almeno una ventina di casi analoghi. Le fa eco una ragazza presente in via Umberto I che sostiene di non potersi più avvicinare fisicamente alla madre malata.

Quando si chiede a Giuseppina di condividere un pezzo della sua esistenza quotidiana, lei racconta di come viva di espedienti per limitare i danni, evitando persino la frequentazione dei supermercati nelle ore di punta. Quelle più affollate, più dense di potenziali agenti chimici dannosi. “Siccome non esistono cure, poiché manca la ricerca scientifica, ho dovuto studiare me stessa, le mie reazioni ed in base all’esperienza ho imparato ad evitare le situazioni più a rischio. Ora sono in mezzo a voi, ma appena tornerò a casa, nel giro di un paio d’ore, ne pagherò le conseguenze”.

La signora ha distribuito un foglio contenenti alcune informazioni a suo dire fondamentali. Tra cui la maggior incidenza della malattia in luoghi altamente inquinati e una maggiore incidenza (4 percento) nella popolazione residente nei centri industrializzati. “Ci sono intere famiglie che si sono ammalate, ma non sviluppano la sintomatologia in ambienti sani – prosegue lei-. Ma più di tutto è assurdo che di fronte a proposte di legge, interrogazioni parlamentari, indicazioni della Comunità europea e persino il ricorso di un gruppo di malati alla Corte di Strasburgo, in Italia la ricerca sia ferma ed i nuovi medici, freschi di laurea, non abbiano mai neppure sentito parlare di questa malattia”.

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