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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Gambe in salvo grazie al trapianto di cellule staminali

È il risultato dello studio avviato sull'arteriopatia ostruttiva periferica dal "Vito Fazzi" in una sperimentazione a due con l'Università degli Studi di Napoli: si evitano così amputazioni degli arti

LECCE - Gambe in salvo, grazie al trapianto di cellule staminali: è iniziata ufficialmente la seconda fase di uno studio dell'ospedale leccese "Vito Fazzi", in collaborazione con la seconda Università di studi di Napoli per l'uso di cellule staminali nell'arteriopatia periferica. Dopo aver ottenuto l'approvazione del comitato etico, lo studio è stato avviato da Massimo Villani, direttore della Cardiochirurgia e coordinato da Domenico Rocco, con l'attiva partecipazione della cardiologia interventistica ed emodinamica (direttore Antonio Montinaro), della ematologia (direttore Nicola Di Renzo) e della anestesiologia e rianimazione (direttore Raffaele Caione), ed in collaborazione con i chirurghi vascolari presenti sul territorio.

Questo studio è stato proposto dal professore Vincenzo Sica, ordinario di Patologia clinica a Napoli, che ha messo a punto un protocollo sperimentale per la cura dell'arteriopatia ostruttiva periferica (Aop), malattia che colpisce le arterie del corpo, in particolare, quelle degli arti inferiori di uomini e donne, e che può portare all'amputazione delle gambe. Il gruppo di Napoli ha già iniziato la sperimentazione con ottimi risultati; come ha recentemente dichiarato lo stesso Sica: "Dei 74 pazienti affetti da arteriopatia ostruttiva periferica arruolati nella sperimentazione, circa l'85 per cento ha ottenuto notevoli miglioramenti clinici. I risultati, conseguiti grazie all'infusione di cellule staminali autologhe, sono confortanti e vanno dall'assenza di dolore a riposo alla riduzione e scomparsa delle ulcere, all'aumento del perimetro di marcia. Insomma, abbiamo salvato le gambe a parecchie persone".

Contrariamente all'opinione comune, l'aterosclerosi non è una malattia della vecchiaia e l'Aop è una manifestazione del danno vascolare. In Italia colpisce circa 150mila persone, con un incidenza di 3,5 su mille per i maschi, la metà per le donne, interessando frequentemente i diabetici, i soggetti affetti da alti livelli di colesterolo e coloro che hanno una storia clinica caratterizzata da ictus ischemico, infarto del miocardio, ipertensione e malattie simili. L'ossidazione del cosiddetto colesterolo "cattivo" provoca la formazione di placche aterosclerotiche, che in seguito possono rompersi, creando trombi: tali coaguli riducono drasticamente il diametro dell'arteria, impedendo che si verifichi una corretta circolazione sanguigna e, quindi, una buona irrorazione e ossigenazione dei tessuti.

La patologia si manifesta inizialmente con dolori al polpaccio durante il cammino. Il soggetto si ferma, si riposa un po' e il dolore sembra scomparire; dopo un altro tratto di strada, il dolore ricompare, determinando la cosiddetta "claudicatio intermittens", la zoppìa a intermittenza. Il soggetto può anche accusare dolore a riposo. La progressione della malattia porta alla formazione di ulcere che si infettano, sino ad arrivare alla gangrena, con la conseguente amputazione dell'arto. Per rallentare il decorso della malattia e ridurre la mortalità per eventi cardiovascolari concomitanti, il trattamento attuale consiste nel proporre al paziente un cambiamento dello stile di vita (una sana dieta alimentare, ricca di sostanze antiossidanti, accompagnata da un modico esercizio fisico) e in una terapia farmacologica diretta contro i fattori di rischio (fumo, ipertensione, diabete, sovrappeso, etc.).

Molto spesso si deve intervenire anche chirurgicamente, con cure che non di rado falliscono dopo tempi più o meno brevi. Quel che è peggio, circa il 30% dei pazienti con una grave ischemia non può essere trattato: unica opzione resta l'amputazione, specialmente se il malato è anche diabetico. Oggi, invece, grazie allo studio clinico avviato presso la Cardiochirurgia del Fazzi, i pazienti affetti da Aop possono curarsi attraverso l'infusione di cellule staminali autologhe, prelevate cioè dal midollo osseo dello stesso paziente.

La tecnica d'intervento è minimamente invasiva: in generale il paziente viene sottoposto ad anestesia epidurale; dalla sua anca si preleva una piccola quantità di midollo osseo che viene infuso lentamente nell'arteria femorale. In genere, il malato viene sottoposto a due infusioni, la seconda da ripetersi entro 45 giorni dalla prima. Il ricovero dura tra i 4 e i 5 giorni. Esami strumentali dimostrano che, a distanza di 4 mesi, c'è neoangiogenesi, le ulcere si riducono sino a scomparire e i capillari arteriosi si riformano. Insomma, il sangue ricomincia a fluire, il paziente è sollevato dai dolori, riprende a camminare e, soprattutto, evita l'amputazione della gamba. Sui pazienti finora trattati, la procedura è risultata sicura, non ha evidenziato alcun effetto collaterale ed è generalmente ben tollerata.

Un'ultima considerazione, assolutamente non trascurabile, riguarda l'enorme ricaduta economica e sociale della malattia. Oltre a evitare l'amputazione ai pazienti, il protocollo, se applicato a tutti gli interessati, consentirebbe al Servizio sanitario nazionale un risparmio tra i 1 e 2 miliardi di euro all'anno nei quattro, cinque anni medi di durata della malattia. Va da sé che sono ancora tante le frontiere scientifiche da esplorare. Bisogna ancora capire, per esempio, quali sono i meccanismi che portano alla differenziazione delle cellule staminali; se è necessario ripetere la terapia periodicamente; qual è l'effetto dell'età del paziente sulla minore o maggiore riuscita del trattamento; se è possibile utilizzare le cellule staminali in altre patologie vascolari. In quest'ottica si è iniziata la sperimentazione al "Vito Fazzi" di Lecce che potrà essere, una volta confermati i buoni risultati finora ottenuti, adottata in tuta Italia. In definitiva una procedura semplice, minimamente cruenta, senza maggiori rischi o effetti collaterali per il paziente e con l'85% di successo nei casi finora trattati.

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