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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Gay, meglio non parlarne dal sagrato della chiesa. E il giornalista scende in strada

Danilo Lupo è stato invitato dai colleghi de La Voce di Manduria per raccontare, nel corso della festa del giornale, la sua condizione di omosessuale. Ma la comunità religiosa della chiesa di Sant'Antonio ha detto no: e lui ha parlato tra il pubblico

LECCE – Omosessualità, meglio non parlarne. Almeno non dal sagrato di una chiesa. E così l’intervento del giornalista, invitato per raccontare la propria condizione, si sviluppa sulla strada e non sul palco.

Nel corso della quinta edizione della festa de La voce di Manduria, giornale on line, il collega Danilo Lupo è stato vittima e al contempo protagonista di una vicenda incresciosa che si è materializzata nel momento in cui i “proprietari” della chiesa di Sant’Antonio - il cui sagrato fungeva da podio - hanno fatto capire di non ritenere opportuno, in quel luogo, la testimonianza di un gay. Un episodio che la stessa testata di Manduria ha stigmatizzato con chiarezza. Da sottolineare, tra l'altro, che quest'anno il tema scelto per la rassegna è la libertà in tutte le sue forme.

Danilo Lupo (nella foto, sotto, di Claudia De Blasi) è attualmente giornalista freelance, già direttore di Trnews e autore di numerose inchieste. Di recente ha curato i rapporti con la stampa per conto del Puglia Pride, il cui evento conclusivo si è tenuto a Lecce il 28 giugno. A lui abbiamo rivolto alcune domande.

Cosa è accaduto ieri sera?

“Gli organizzatori mi hanno invitato a raccontare la mia esperienza. Io non sono il tipo che esibisce la propria omosessualità, ma se richiesto non mi sottraggo al confronto. Nel pomeriggio però mi sono state comunicate le resistenze da parte dei padri francescani, e allora mi è stato chiesto di tenere l’intervento in altra location. Una volta arrivato a Manduria mi sono reso conto che era stato allestito un palchetto marginale e defilato rispetto a quello principale posto sul sagrato è mi è parsa questa una soluzione ghettizzante. Così abbiamo convenuto con gli amici del giornale che la soluzione migliore fosse quella di scendere nella pubblica strada, a contatto con le persone”.

Un intervento, il tuo, con una dedica speciale.

“Sì, per i cristiani perseguitati in Iraq e costretti alla fuga perché non vogliono nascondere ciò che sono. Ho chiesto di immaginare un mondo al contrario: di sentirsi dalla parte di chi viene discriminato, solo allora capisci cosa significa. Il Salento è da sempre un territorio di accoglienza e confronto, non a caso il Vaticano ha inviato come messo apostolico in Iraq monsignor Filoni, originario di Galatone. Ricordo anche che Papa Francesco ha dichiarato: chi sono io per giudicare?”.

Com’è oggi la condizione della comunità omosessuale nel Salento?

“A macchia di leopardo. A Lecce, anche grazie alla vicenda del Puglia Pride, mi pare che il dibattito complessivo sia stato favorevole. Ci sono due associazioni, Arcigay e Lea, poi anche Agedo (genitori e amici di Lgbt, ndr), tutte realtà molto attive. In provincia il quadro è molto diverso: immagina come sia crescere gay in un paesino dove i pregiudizi si sentono spesso senza alcun filtro. Il turismo per fortuna porta anche tanta modernità e freschezza di pensiero, ma in provincia l’inverno è freddo due volte per gli omosessuali”.

Il Puglia Pride è stato un evento partecipato, festoso e naturalmente molto discusso. Ma cosa ne è rimasto?

“Intanto la dimostrazione che si può fare, e non era scontato in una città profondamente conservatrice come Lecce, con un passato monarchico e missino. In secondo luogo la manifestazione ha ribadito la necessità di introdurre temi con cui bisogna fare i conti. In una città di 100mila abitanti, secondo le statistiche, dovrebbero esserci tra le 5 e le 7mila persone omosessuali. E’ chiaro che rappresentano una minoranza in difficoltà: è un problema da affrontare politicamente”.

danilo-2Esiste un ampio e lacerante dibattito sui diritti civili. Ma tante ancora sono le resistenze.

“Dico sempre che i diritti, se condivisi, non si dividono. Intendo con questo che il riconoscimento di un diritto alla comunità omosessuale non presuppone la menomazione di quella di un etero. E’ un concetto banale, ma è la verità”.

Cosa vorresti dire a chi ha ancora paura di rivelare la propria tendenza sessuale?

“Questo è un aspetto molto soggettivo, non mi sento di indicare una soluzione: a mio avviso una persona è più felice se non si nasconde. È una scelta molto personale che ciascuno deve fare quando si sente pronto. E’ piuttosto compito degli altri, del mondo politico, dell’informazione,  predisporre il contesto. Ti faccio un esempio: un recente sondaggio dell’Unione Europea pubblicato su  L’Espresso di un paio di settimane addietro indica che il 91 per cento dei nostri parlamentari usa espressioni omofobe o discriminatorie. Bisogna fare molta attenzione a questo, perché un certo linguaggio attecchisce in una realtà arretrata”.

E ad un genitore?

“Ti posso raccontare della mia esperienza personale: quando l’ho detto ai miei è stato molto duro, avevo 24 anni, non è stato facile soprattutto per mia madre che aveva una formazione culturale e religiosa di un certo tipo. Col tempo, e attraverso un percorso anche faticoso, le cose sono evolute e sono rimasto molto colpito quando mi ha scritto un bel biglietto di auguri: ciò che conta è la felicità”.

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