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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Guagnano

Nessuna terapia e la metastasi avanza per anni: aperta inchiesta in Procura

La paziente dopo un'operazione al colon fu in cura a Nardò. Solo follow up di routine. Presentata una denuncia, il pm indaga per lesioni colpose gravissime

LECCE – Un caso di malasanità? Ancora molto prematuro per dirlo, ma l'inchiesta è aperta e una cosa è certa: lei, ora, ha un tumore in stato avanzato. E si chiede ogni giorno, da quella mattina in cui ha scoperto alcuni noduli in testa, se la metastasi si sarebbe potuta arginare con una terapia adeguata. La terapia, che qui risponde ovviamente al nome di chemioterapia, è il punto focale di una vicenda di cui protagonista, suo malgrado, è una donna di Guagnano di 62 anni.

Oggi è in cura presso l’Oncologico di Modena. Ma la vicenda ha radici più lontane nel tempo e vicine nei luoghi. Il sostituto procuratore Roberta Licci, sulla scorta di una denuncia depositata dall’avvocato Rocco Vincenti per conto della donna, ha aperto un’inchiesta per lesioni colpose gravissime.

Non è improbabile che a breve possa essere iscritto nel registro degli indagati il nome di qualche medico che ha avuto in cura la donna, quando si trovava presso l’ospedale “San Giuseppe-Sambiasi” di Nardò per essere seguita dopo un intervento chirurgico (eseguito a Copertino) per asportarle quello che si scoprì essere un tumore al colon.

La storia, però, è molto complessa e il conflitto che potrebbe seguirne in tribunale si consumerà sul terreno di perizie certosine, sommando più voci di esperti nel settore per cercare di trarne un quadro oggettivo. Per ora, c’è già una consulenza di parte, che sembra tracciare una prima via, secondo la quale le chance della donna di guarigione sarebbero state molte di più (fino a un decorso persino positivo), se fossero state seguite in modo oculato tutte le linee guida dell’Aiom, l’Associazione italiana di oncologia medica.   

L’INTERVENTO - Estate 2012. Il 9 luglio la donna viene ricoverata presso l’ospedale “San Giuseppe di Copertino” per un’occlusione intestinale, dovuta a un restringimento al colon sinistro (tecnicamente, una stenosi). Operata, dall’esame istologico si viene a conoscenza che l’occlusione era dovuta a una adenocarcinoma.

IL DECORSO - Un esito preoccupante, non c’è che dire, tanto che le viene applicato il cosiddetto Picc (catetere venoso centrale ad inserzione periferica), in facile previsione di una chemioterapia alla quale però, si vedrà a breve, non verrà mai sottoposta. Dimessa dall’ospedale di Copertino il 23 luglio, le vengono fornite due indicazioni: eseguire una Tac dell’addome e avvalersi della consulenza oncologica di un medico. Le viene dato uno in particolare, del day hospital oncologico di Nardò.

Gli esami strumentali danno come esito, fra l’altro, l’esistenza di due formazioni di circa 1,2 e 1,6 centimetri. Le caratteristiche si possono prevedere come benigne, viene detto alla paziente, ma la dottoressa che stila la diagnosi ritiene comunque opportuna una valutazione ulteriore. Meglio fugare il rischio di discordanze.

E’ quasi metà agosto quando la donna si reca all’oncologico di Nardò dove, il professionista che le era stato indicato in sede di dimissioni da Copertino, rispetto a quanto si era prospettato durante il ricovero, consiglia di procedere solo a un follow up clinico strumentale. Cioè semplicemente a regolari visite di controllo. Questo, “in considerazione dello stadio” e “della negatività linfonodale”. Dunque, senza nessuna terapia adiuvante.

LA SCOPERTA - E così, ogni quattro mesi circa, la paziente di Guagnano si sottopone alle visite. Per sei volte di fila, le viene ribadito di proseguire in questa maniera. Così, almeno, spiega al sostituto procuratore nella sua lunga denuncia, infarcita di documentazioni cliniche. Fin quando, nel caldo agosto del 2015, compaiono sulla testa di alcuni noduli sospetti. Presso uno studio dermatologico a Salice Salentino le vengono riscontrare delle neoformazioni che emergono dal cuoio capelluto con ulcerazioni superficiali.

La sensazione non è positiva, la verità dell’esame istologico è da colpo al cuore: “localizzazione secondaria cutanea da adenocarcinoma di possibile origine intestinale”. Facile riallacciarsi all’intervento al colon per la rimozione della massa e sospettare in un successivo dilagare della malattia.

A settembre del 2015 esami di laboratorio riscontrano un incremento di marker tumorale ed è quasi una conferma dei sospetti. La donna decide così di abbandonare il Salento e rivolgersi al Policlinico di Modena, dove l’asportazione chirurgica di un nodulo per un esame istologico, porta a un’ulteriore riprova: “metastasi cutanea da adenocarcinoma di probabile origine intestinale”. Sempre a Modena si scopre una recidiva al colon e pertanto, per la prima in volta in assoluto, viene sottoposta a chemioterapia. Un trattamento che, forse (ed è l’origine principale della denuncia), sarebbe dovuto intervenire anni prima.

Tant’è. Il fisico si debilità, la salute aggrava in poco tempo. Gli organi intaccati si moltiplicano. Pancreas, polmoni, cervello. Siamo ormai nel 2016. La situazione precipita. 

LA DENUNCIA – La donna salentina matura una convinzione: il nuovo insorgere dell’adenocarcinoma intestinale, trattato chirurgicamente nel 2012, potrebbe essere frutto di quanto avvenuto a Nardò, laddove per quasi tre anni ci si è limitati al monitoraggio della situazione senza alcuna terapia per evitare possibili recidive.  E si rivolge a un legale.

L’avvocato Vincenti, prima di muoversi, chiede un consulto specialistico. Affida il compito a un medico chirurgo specialista in oncologia e malattie infettive di fuori regione. E la valutazione che ne seguirà, è sconfortante per la donna: a Nardò, infatti (ma è bene ricordare che finora è solo un parere), non sarebbero stati valutati in modo adeguato alcuni importanti fattori. Fattori prognostici sfavorevoli, per la precisione, secondo cui sarebbe stato forse corretto indirizzarsi verso un trattamento adiuvante.

LE LINEE GUIDA AIOM – Per inquadrare meglio la vicenda, è bene osservare cosa dicono le linee guida fornite dall’Associazione italiana di oncologia medica, relative al 2012, cioè l’anno dell’operazione e delle valutazioni che ne sono seguite.

Ebbene, queste illustrano che l’80 per cento circa dei pazienti con cancro del colon si presenta alla diagnosi con possibilità di operare in modo radicale. Nel 35 per cento dei casi si sviluppa una ripresa della malattia, il più delle volte (80 su 100) entro i primi due o tre anni dall’intervento, e, solitamente, entro i primi cinque anni.

A otto anni di distanza dalla diagnosi le recidive avvengono in meno dello 0,5 per cento dei casi e la prognosi varia a seconda dello stadio della malattia. Questo è un dato rilevante da memorizzare. La percentuale di sopravvivenza a cinque anni, infatti, è calcolata nel 90 per cento dei casi nel I stadio, nel 70-80 per cento nel II  e nel 40-65 per cento nel III.

Circa la chemioterapia, si chiarisce inoltre che se al I stadio non vi è evidenza in letteratura medica, al II l’indicazione terapeutica appare controversa. Significa, in altre parole, che la valutazione andrebbe fatta di volta in volta, considerando la presenza o meno di alcuni fattori soggettivi. Per esempio: occlusione, perforazione, infiltrazione per contiguità degli organi vicini, inadeguato numero di linfonodi analizzati, e via dicendo. Candidati alla chemioterapia, invece, sono tutti i pazienti valutati al III stadio.

C’E’ STADIO E STADIO – Non si conoscono, per ora, ovviamente, tutte le conclusioni nel dettaglio a cui è pervenuto lo specialista. Ma è chiaro che secondo il suo giudizio la chemioterapia era più che opportuna, decisamente necessaria in questo specifico caso. Basti pensare che, per la donna di Guagnano, il tumore era stato a suo tempo inquadrato come allo stadio IIa, quello “controverso” in cui il trattamento è indicato in base a particolari segnali. E allora, che non siano stati valutati tutti con attenzione? E’ questo il punto della faccenda, laddove si giocherà la partita.

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