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Cronaca

L'Inail fotografa un Salento nero: 9 morti sul lavoro solo nel 2016

La classifica nazionale degli infortuni mortali colloca la provincia di Lecce a metà strada. I sindacati: "Investimenti in sicurezza disattesi, eppure sono prioritari"

LECCE – Un macchinario che s’inceppa, un momento di disattenzione. E poi tanta, troppa superficialità da parte di chi dovrebbe imporre le regole di sicurezza e di chi dovrebbe rispettarle per salvaguardare la propria incolumità. Così un incidente sul luogo di lavoro sfocia in tragedia.

Periodicamente si torna a discutere delle “morti bianche”, un fenomeno allarmante e inaccettabile in un Paese moderno ed industrializzato che ha fatto del lavoro una bandiera nazionale, al punto da inserirlo nel primo articolo della Costituzione. Si accende l’ennesimo faro sul problema, si ascoltano vibranti esortazioni a rispettare gli elementari principi di salute e sicurezza, ma la normativa nazionale di riferimento (peraltro piuttosto puntigliosa e complessa) rimane inapplicata.

Quindi si continua a perdere la vita, così, in modo insensato: volando giù da una impalcatura sospesa nel cielo, inghiottiti da un macchinario oppure di fatica e disidratazione nei campi agricoli. La Puglia, il Salento, conoscono bene questi fenomeni. Ma il territorio spesso chiude gli occhi e si volta dall’altra parte, quasi che le morti bianche fossero un rischio da tenere in conto. Una questione di fatalità, di destino avverso. La morte viene intesa come punto percentuale in una statistica inevitabile.

Falso. Perché gli infortuni sono prevedibili, si possono e si devono evitare: nei cantieri edili, nei campi di pomodori, dietro la vetrata di uno sportello pubblico. Ovunque.

I progressi in questa direzione non mancano, ma procedono a passo di lumaca. Lo confermano i dati e le statistiche: ultima, in ordine di tempo, è quella elaborata su dati Inail che fotografa l’immagine di un Paese che non vorremmo vedere. Nel 2016, in Italia, 749 persone sono uscite di casa per contribuire alla crescita del Pil nazionale, senza farvi più ritorno. A questa cifra vanno aggiunte altre 269 vittime, ma solo perché la rilevazione statistica è in itinere.

L’Osservatorio di Vega Engineering, che ha elaborato i dati, indica una diminuzione del 14,7 percento rispetto alle morti bianche dell’anno precedente: un piccolo passo in avanti su una strada tutta in salita.

Il Sud Italia, neanche a dirlo, è l’area geografica più interessata dal problema. Nella forbice aperta tra Matera (cui va la maglia nera, anzi nerissima) e la virtuosa Aosta (zero vittime) si inserisce la provincia di Lecce che raggiunge una posizione intermedia: 46sima in graduatoria con 9 decessi nel 2016 ed un tasso di incidenza sugli occupati del 40 percento. Riescono a fare peggio Brindisi (26esima posizione) e Foggia, sesta in classifica. Seguono Taranto (66esimo posto) e Bari (88esimo posto).

La fredda logica dei numeri restituisce, ancora una volta, una visione inquietante: su scala nazionale, i comparti economici delle costruzioni e del manifatturiero rimangono i più pericolosi per gli operai.

Il fenomeno è bene noto sul territorio, come conferma il segretario generale Uil di Lecce, Salvatore Giannetto: “Entrambi i settori sono, tradizionalmente, più a rischiosi per la salute dei lavoratori. Basti pensare a come, nel settore dell’edilizia, vengano impiegati lavoratori anziani che salgono sulle impalcature a sessant'anni. Non a caso il sindacato sta portando avanti una battaglia affinché i lavori usuranti e pericolosi godano di particolari tutele, come l’accesso anticipato al trattamento pensionistico, ed abbiamo incassato un primo risultato con l’approvazione dell’Ape”.

La soluzione, quindi, passa attraverso gli investimenti in cultura della sicurezza sul lavoro: “La Uil, non da oggi, denuncia queste comportamenti gravi delle aziende che credono di risparmiare tagliando sui costi della prevenzione, ed invece così danneggiano la vita e la salute delle persone. L’investimento sulla sicurezza è prioritario”.

Questo genere di tagli, peraltro, si trasforma in un boomerang economico per le stesse imprese: “Un infortunio grave crea un danno monetario alle aziende che erroneamente credono di risparmiare. Per non parlare delle ricadute sociali di queste tragedie”, aggiunge il segretario Uil.

"Il fenomeno delle morti bianche non é solo la spia di condizioni di lavoro svolto in assenza di garanzie sulla tutela della vita dei lavoratori – puntualizza il collega Cisl, Antonio Nicolì -.  É soprattutto quella colpa grave che, ancora nel secondo decennio degli anni duemila, conferma come non si riescano a mettere in campo quelle azioni che restituiscono la dignità della persona. Ecco perché è necessario attivare tutti gli strumenti utili di prevenzione personale, aziendale ed istituzionale specie in quei settori che le statistiche ci segnalano come maggiormente esposti quali le costruzioni e l'agricoltura".

Per la segretaria Cgil Lecce, Valentina Fragassi, ad essere carente è anche il sistema di controlli: "Nonostante le nostre continue denunce, i controlli nei luoghi di lavoro continuano a essere svolti in modo non coordinato e adeguato ai tempi e alle modalità di lavoro. Non si possono fare ispezioni sui campi di raccolta alle 8 di mattina. Il potenziamento dei controlli da parte degli enti preposti è pertanto imprescindibile. Accanto a questo è necessario investire nella prevenzione e nella formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro per l’utilizzo delle misure di sicurezza e la tutela della salute nei luoghi di lavoro".

"A monte di tutto - puntualizza Fragassi - resta la necessità di un cambio di passo generale nel mondo del lavoro. La cultura del risparmio sul costo del lavoro e sulle misure in favore della sicurezza, soprattutto nel lavoro in appalto. Sono condizioni queste particolarmente gravi in Puglia e nel nostro territorio, in cui al bisogno occupazionale si risponde con l’abuso di voucher e con lavoro nero mascherato e sfruttamento: condizioni che creano l’humus per il permanere della drammaticità degli incidenti". 

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