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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

L'altro 8 marzo, in aumento i casi di stalking e violenza contro le donne

La giornata internazionale della donna offre lo spunto per una riflessione sulla figura femminile, anche alle nostre latitudini

LECCE – L’otto marzo si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale della donna, o più comunemente la “festa della donna”, un’occasione per ricordare tutte le conquiste delle donne in campo economico, politico e sociale ma anche le discriminazioni e le violenze cui le donne sono state vittime in passato e, in molti casi e molte nazioni, ancora sono sottoposte. Una festività discussa e controversa che offre però un’importante riflessione sulla figura femminile, anche e soprattutto alle nostre latitudini.

I dati, infatti, dimostrano come, a due anni e mezzo dall'entrata in vigore della legge sul “femminicidio” (la legge 119 dell'ottobre del 2013, che inaspriva le misure contro la violenza di genere e lo stalking), siano in costante aumento i reati contro le donne. Dalla relazione del presidente della Corte d’Appello di Lecce, Marcello Dell’Anna, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, emerge l’aumento del numero dei procedimenti per delitti di violenza sessuale (136 rispetto ai 124 del periodo precedente). Tanti i procedimenti iscritti per stalking: 117. Cifre in preoccupante controtendenza rispetto ai dati forniti dal Viminale, che raccontano di una forte diminuzione dei casi di lesioni dolose, percosse, minacce, maltrattamenti e atti persecutori di cui sono vittime le donne.

Cifre che rispecchiano in realtà solo una parte di un fenomeno molto più diffuso e spesso sommerso. La legge sul "femminicidio" ha dato alcuni frutti nell'aumento del numero degli ammonimenti e degli arresti in flagranza di reato che prima non c'erano. Fondamentale in questo senso il ricorso alle denunce, unico spiraglio di luce in un tunnel di violenze e soprusi.

Significativo il caso di una giovane donna di Vernole, vittima a febbraio scorso di una violenza brutale e disumana. Il suo compagno, al culmine dell’ennesima lite e dopo una lunga serie di violenze e maltrattamenti, le ha versato addosso un’intera pentola di brodo bollente. Pochi giorni prima un altro grave episodio di maltrattamenti in famiglia era venuto alla luce a Nardò, dove la polizia aveva arrestato un romeno di trenta anni che per tre giorni aveva tenuto sotto sequestro una connazionale seviziandola in diversi modi. La donna era riuscita a fuggire approfittando della distrazione del compagno e a raggiungere di corsa e seminuda il commissariato per sporgere denuncia, prima di finire in ospedale a causa delle profonde ferite che le erano state inflitte.

Poteva essere l’ennesimo caso di “femminicidio”, una parola di stampo giornalistico dal suono stravagante, utile però a spiegare in modo appropriato la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché è donna. Per capire e spiegare meglio i contesti, cercare di non banalizzare il fenomeno e di non ridurlo a un’invenzione mediatica. Perché in casi come questi il genere femminile della vittima è una causa essenziale, un movente, del crimine stesso, nella maggior parte dei casi commesso all’interno di legami familiari. Perché come ha spiegato l’antropologa messicana Marcela Lagarde: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.

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