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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca Gallipoli

L'operazione Baia Verde arriva in aula. L'accusa chiede l'ascolto di Gioele Greco

Approda in aula l'inchiesta scaturita dalla cosiddetta operazione "Baia Verde", incentrata sulle presunte infiltrazioni del clan Padovano nelle attività del settore turistico, soprattutto attraverso il monopolio delle agenzie di security nelle discoteche e nei lidi balneari

LECCE – Approda in aula l’inchiesta scaturita dalla cosiddetta operazione “Baia Verde”, condotta a luglio 2014 dai carabinieri del Ros di Lecce, al comando del colonnello Paolo Vincenzoni, con i colleghi della compagnia di Gallipoli (guidata dal capitano Michele Maselli), incentrata sulle presunte infiltrazioni del clan Padovano nelle attività del settore turistico, soprattutto attraverso il monopolio delle agenzie di security nelle discoteche e nei lidi balneari.

Dinanzi al gup Stefano Sernia sono comparsi gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Tra questi spicca il nome di Angelo Padovano (figlio di Salvatore, l'ex boss assassinato a Gallipoli su ordine del fratello Rosario già condannato all'ergastolo). Padovano, assistito dagli avvocati Francesco Cazzato e Marcello Falcone (del Foro di Brindisi), è ritenuto dagli inquirenti il promotore della presunta organizzazione e Roberto Parlangeli, 38enne di Magliano. Abbreviato anche per Gabriele Cardellini, 30enne di Gallipoli, assistito dagli avvocati Mario Coppola e Giampiero Tramacere. L’abbreviato di Cardellini è condizionato all’ascolto di un teste, presunta vittima di un’estorsione. Teste che, però, non è comparso in aula per il grave stato di indigenza in cui si trova e che gli impedisce di reperire i mezzi per raggiungere Lecce. Il gup ha deciso di proceder all’ascolto in videoconferenza, previsto per il prossimo 10 novembre.

Riguardo alla posizione di Cardellini, destinatario nei giorni scorsi di un decreto di sequestro della sala giochi “Games Room”; di un appezzamento di terreno agricolo denominato “Nanni”; di un appartamento nel “Residence Corso Italia”; di quattro motocicli;  e due conti correnti bancari, l’avvocato Coppola impugnerà dinanzi al Riesame il provvedimento.

Gioele Greco-2-3-2-2Il vero colpo di scena dell’udienza odierna è giunto per mano della pubblica accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Antonio De Donno, che ha depositato un memoriale con le dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Gioele Greco (nella foto a destra), che agli inquirenti avrebbe delineato le presunte attività criminali con i clan Padovano e Tornese (da sempre storici alleati). Il pm ha anche chiesto l’ascolto del “pentito” in videoconferenza, trovando l’opposizione del collegio difensivo, che ha chiesto di poter acquisire le dichiarazioni di Greco. La delicata vicenda (sotto il profilo processuale) sarà discussa nella prossima udienza.

Nel collegio difensivo gli avvocati Antonio Savoia, Luigi e Alberto Corvaglia, Francesco Fasano, Stefano Ninni, Stefano Prontera, Biagio Palamà, Luigi Suez e David Alemanno.

Furono quindici le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip Giovanni Gallo su richiesta della Dda di Lecce (l'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Antonio De Donno) ad altrettanti presunti appartenenti al clan Padovano (nome storico della Scu) e ad altri gruppi mafiosi della frangia salentina. Le indagini partirono da una rapina dalle modalità tanto cruente quanto anomale, quella messa a segno alla discoteca Praja di Gallipoli. Una rapina organizzata e commissionata per screditare e indebolire un'agenzia investigativa napoletana con un referente gallipolino, cui era affidata l'attività di security.

Un avvertimento cui sarebbero seguiti altri ben più concreti, come i colpi di pistola esplosi verso l'abitazione dei genitori del responsabile dell'agenzia. Messaggi intimidatori recepiti in maniera chiara dagli operatori economici della zona, che non hanno più rinnovato l'incarico all'agenzia. In un primo momento i clan, attraverso la figura di Roberto Parlangeli, cognato di Padovano e considerato dagli inquirenti elemento di spicco del clan Tornese. In quest'ottica di assoggettamento in clima di omertà, le organizzazioni criminali avrebbero cercato di utilizzare due agenzie proprie, la prima legata (secondo gli inquirenti) a Fabio Pellegrino (uno degli arrestati), poi abbandonata per questioni burocratiche, e una seconda facente capo a Luca Tomasi.

Il procuratore Cataldo Motta evidenziò, a margine della conferenza stampa, come attraverso i canoni classici dell'intimidazione mafiosa (intimidire per il solo fatto di esistere) i clan abbiano cercato di imporre il controllo sulle attività economiche. Una scalata criminale che ha visto piegarsi gli imprenditori, che hanno scelto di non denunciare i loro estorsori. La complessa ed efficace operazione dei Ros ristabilisce, proprio in quest'ottica, la legalità in un settore importante come il mercato del turismo estivo, ridando fiducia agli operatori. Eclatante, sotto certi aspetti, il tentativo di subentrare nei servizi di gestione delle attività comunali, cercando di creare un clima intimidatorio anche nei confronti del sindaco. Un nuovo volto dunque, sempre più imprenditoriale ed economico, per i gruppi della Scu, che non risulta più dedita solo al traffico di sostanze stupefacenti. Non solo discoteche e lidi balneari (con i relativi parcheggi, fonti di enormi guadagni in contanti), ma interessi in tutte le attività commerciali anche nel capoluogo salentino).

L'operazione “Baia Verde” avrebbe inoltre dimostrato come alla guida dei clan vi sia ormai la seconda generazione delle famiglie della Scu, da sempre legate a vincoli di stretta parentela e di nepotismo. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Piuttosto singolare l'arresto di Gabriele Cardellini, pedinato e bloccato mentre girava per le vie del Salento con un’appariscente limousine bianca, trasformata all'interno in una sorta di discoteca mobile.

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