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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Addio a un anno trasandato: quando il risveglio delle coscienze?

Una città mai così sporca e un Salento dove la terra è tomba di rifiuti. Mentre nell'economia domina l'usura, si torna a sparare e la politica si sveglia solo sotto scadenza

L’altro giorno Eolo doveva aver sbagliato strada. Ha iniziato a soffiare su Lecce con l’alito gelido delle lande polari. Il vento glaciale sbranava la pelle. Camminavo a testa bassa, avviluppato nel mio cappotto e con il berretto di lana abbassato fino agli occhi. E quando ho rischiato di scivolare su un volantino plastificato, masticando un’imprecazione, ho alzato lo sguardo.

Tutta la via era un tappeto di réclame per gli acquisti, foglie e rami rinsecchiti, sacchetti neri di plastica lacerati che ancora vomitavano resti di cibo. Le gomme delle auto e i telai delle moto, trasformati in dighe di cartacce svolazzanti. Mi ha intenerito la stoica resistenza di una fiera bicicletta bianca legata a una transenna. Era circondata, letteralmente. Come l’ultimo soldato di un fortino che da solo resiste con eroico e folle orgoglio all’assedio, sparando le ultime cartucce. Non mi avrete mai, maledetti.

Lecce è sudicia. Un’immensa, voluminosa, ingombrante e imbarazzante pattumiera. Le campagne circostanti, la cartolina che mai mandereste a un amico lontano. Ogni campana per bottiglie e metallo, una zona franca dove abbandonare avanzi del consumismo.

Non che Lecce sia mai stata uno splendore, come certi bagni delle pubblicità ripassati a nuovo con il detergente di turno, che brillano più delle riserve auree accatastate nei sotterranei di Fort Knox.

Per carità. Il malcostume non nasce oggi. Il barocco, in fin dei conti, è un prezioso lascito che ci premia oltre i nostri meriti attuali.  Ma l’avvio della raccolta differenziata (opera necessaria e piccolo segnale di avanzamento civile, non c’è che dire, e fa niente se con il solito atavico ritardo che si registra da queste parti rispetto al resto dell’universo) ha sortito un fisiologico effetto collaterale: ha fatto venire i nodi al pettine, mettendo a nudo un problema sommerso, e che forse nessuno sospettava di proporzioni così monumentali. Con le sue 4mila e passa utenze che la tassa sui rifiuti non la pagano nemmeno sotto tortura, la comunità intera ci rimette in termini di casse per altri servizi. E igiene, chiaramente. Per ottenerne cosa? Lo spaccato di una città annichilita sotto il peso dei suoi stessi scarti.  

Mai come quest’anno, siamo stati sotterrati da fotografie di lettori imbestialiti. Da ogni angolo di Lecce, e non solo, scatti di un degrado di cui, per fortuna, ancora molti provano vergogna. E chiedono rimedi. La risposta? Blanda, quasi nulla. Al punto che gli sporcaccioni di turno, con provocatoria consuetudine che puzza di sberleffo, usano colmare d’immondizia sempre gli stessi angoli. Non vanno nemmeno a cercarne di nuovi. Tanto, il controllo è pari a sottozero. E allora, è chiaro che il cittadino onesto, che avverte a pelle il tradimento, alza la voce. Se c’è bisogno di trovare i quattrini per arredare una stanza, si studiano pure le virgole e i punti e virgola per scovare il passaggio preciso in cui il comma di tale articolo del codice può essere interpretato con una tirata di capelli, pur di arrivare allo scopo.

Se lo stesso zelo fosse impiegato anche per rastrellare i quartieri e stanare davvero i furbi casa per casa, al di là di qualche assessorile rassicurazione di circostanza, se il controllo fosse mirato e capillare, l’applicazione delle norme rigorosa, Lecce potrebbe ambire alla carica di Capitale della Pulizia Europea. Lo dicemmo quando parlammo, fra le altre cose, del volantino selvaggio.  Le ordinanze esistono pure, ma se nessuno intende farle rispettare è come avere un ospedale pieno di farmaci, attrezzature e sale chirurgiche, senza l’ombra di un medico. Ehi, c’è uno in fin di vita, qualcuno sa usare un bisturi?

DSCN5907-2E così il 2016 vola via sporco e trasandato. Esattamente come s’era chiuso il 2015. E fosse solo Lecce, il problema. La verità è che il Salento intero è un pentolone in cui ribollono rifiuti invisibili.  Le discariche sotto il tracciato di quell’interminabile teatrino del grottesco che è diventata la strada statale 275 e il bubbone Burgesi, esploso (anzi riesploso) proprio sul calar dell’anno, ci parlano di una terra vilipesa, presa a sonore sberle, in cui demoni del passato riemergono per avvelenare le generazioni di oggi. E, forse, sono soltanto le punte dell’iceberg, le raccapriccianti avvisaglie di un sistema marcio fino al midollo che per decenni s’è nutrito di scorie che oggi ci vengono sputate addosso con tutto il loro putrido effluvio. La paura è che una fetta molto vasta di territorio sia stata trasformata in discarica. Molto più vasta di quanto ci si aspetti. L’isola felix, così ci chiamavano, un cesso che ingoia tutto. E siamo felici così.

E’ difficile gettare uno sguardo fiducioso verso il futuro, quando si è immersi in un mondo dominato da ondate di grigio. E c’è tanta di quella carne al fuoco, che è arduo soffermarsi su ogni punto all’orizzonte. Di certo, il 2016 non è stato l’anno d’oro per il lavoro. Se la crisi morde l’Italia, nella sua propaggine più meridionale la strappo è ancor più profondo.

Le aziende chiudono o galleggiano, qualche settore resiste, specie il turismo, ma il quadro non è di quelli a tinte raggianti. E di mezzo ci si mettono anche i carrozzoni mangiasoldi che ormai resistono anche contro la storia e il buonsenso. Vedi la Provincia, ancora elefantiaca nonostante tutto. Come le altre salvate da un referendum pensato male e partorito peggio, arranca divorata dai debiti e deve gettare la zavorra per non affondare. Così ne fanno le spese, come sempre, i lavoratori. Gli ultimi resteranno ultimi, nel regno terrestre.

Assenza di solidità e opportunità, sono le sabbie mobili che risucchiano gli uomini e le donne di questa terra, anche quelli dotati di buona volontà. Fra le verità di cui pochi osano parlare, è che in esistono mali antichi, floridi cancri che logorano da troppo tempo una parte più ampia di quanto si sia disposti a credere di tessuto economico locale. Sono l’usura e la sua sorellastra, l’estorsione, mondi che corrono paralleli alla quotidianità.

Vi sono intere esistenze che si consumano come candele sotto scacco degli usurai. In una terra che si arrabatta per tirare avanti, l’usura s’infila strisciante e furba. Come ha detto una volta una vittima, confidandosi e raccontando la sua storia, si presenta con il volto amico quando hai ricevuto troppe porte sbattute in faccia. Ed è l’inizio della fine.

DSCN5915-2L’operazione “Twilight”, con centinaia di indagati, è stato probabilmente anche il più immenso e sofferto studio mai realizzato su un fenomeno trasversale, che unisce da un capo all’altro di un’infinita catena anche criminalità organizzata e colletti bianchi. In realtà, di usura s’è parlato molto, nel 2016, perché le nuove inchieste si sovrappongono alle vecchie, ormai finite davanti ai giudici. Ma le retate delle forze dell’ordine possono solo arginare il problema per un periodo limitato. Se non si cambiano le carte in tavola, se l’economia resterà bloccata sotto il peso di una tassazione che grava come un macigno, se la classe politica in generale non darà uno spiraglio creando nuove condizioni, tutto tornerà in breve come prima, peggio di prima. E hai voglia a fare i complimenti a carabinieri e polizia a mezzo comunicato stampa. Non è così che ci si lava la faccia.

Il 2016 è stato anche l’anno della grande paura. Agguati sanguinosi in cui il sinistro suono mortale di kalashnikov e pistole sembra aver spostato le lancette del tempo indietro di quasi vent’anni. Se stia cambiando qualcosa negli scenari sotterranei in cui si muove la criminalità locale, è da vedere. Si parla spesso di pax mafiosa andata al macero. Ma certi ritorni di fiamma, per quanto ad alto impatto scenografico, impallidiscono di fronte al non detto di altri sfondi, più fluidi e pericolosi, di cui si fiuta sempre più la presenza. Nel vuoto di potere, dopo anni di lotte che hanno indebolito la Scu fino a renderla vulnerabile a ogni vagito di rinascita, da altri territori si sta realizzando un’infiltrazione di gruppi desiderosi di gestire lucrosi affari, basati soprattutto sul traffico di droga. Con proventi che vengono reinvestiti in attività.

Le rotte dai Balcani, dalla Grecia e dalla Turchia verso la Puglia e, in particolare proprio verso il Salento, di stupefacenti, armi e migranti, non sono che le manifestazioni più visibili di un universo molto più sfaccettato che da sempre guarda a questo lembo di terra con avidità. La vitalità sregolata di Gallipoli, per esempio, è una macchina da soldi che fa gola anche ai potenti clan camorristici. E’ un problema da non sottovalutare, perché, ora a macchia di leopardo, rischia di diventare micidiale e robusto organismo che si alimenta su angoscia e omertà, senza una cura tempestiva ed efficace. Noi l’avevamo scritto in tempi non sospetti, persino prima che l’ormai ex procuratore Cataldo Motta, che va via lasciando una pesante eredità, ne parlasse apertamente, mettendo tutti in guardia.

Cosa si può fare per darsi una scrollata di dosso e iniziare a lanciare un segnale che indichi quantomeno una volontà di cambiamento di un intero sistema? Il 2017 in arrivo, porterà con sé una primavera carica di aspettative. Ci sono le elezioni amministrative. Soprattutto a Lecce, c’è bisogno di una svolta. Noi non parteggiamo per nessuno. Vuoi perché il ruolo che ci siamo ritagliati, al di là del fatto che lo interpretiamo bene o male (siete voi a giudicarci), non ce lo permette. Vuoi perché, tolti pochi singoli nelle maggioranza e nell’opposizione, che quantomeno hanno dimostrato sprazzi di risolutezza nelle loro azioni e qualche buona idea, tira da troppo tempo un’aria dimessa.

Visto nell’insieme, il palazzo è una zattera che va alla deriva e in cui pure chi dovrebbe opporsi, troppo spesso sonnecchia. E, come sempre, si iniziano ad agitare le braccia solo quando c’è odor di scadenza. Vecchi e arcinoti meccanismi di una politica che sopravvive senza poco o nulla risolvere.

E allora, per prima cosa si dovrebbe guardare dentro se stessi. Perché in una piramide il vertice è puro riflesso della base. Bisognerebbe prima di tutto scrollarsi di dosso la tendenza al clientelismo, radice di ogni dolore. Le promesse, da qualsiasi parte arrivino, lasciano il tempo che trovano e servono solo a permettere a più di qualcuno di riscaldare poltrone. Né le ideologie di base, oggi, hanno più senso e peso.

Bisognerebbe, invece, guardare ogni singolo uomo e ogni programma. Con molta attenzione. A patto che qualcuno sia in grado di stilarne uno concreto. Quindi, studiarlo, valutarlo, capirne l’effettiva portata, premiare le reali intenzioni. Bisogna iniziare a capire, una buona volta, che dal più piccolo paese alle città, è necessario iniziare a inviare nei palazzi capitani coraggiosi e non arruffapopoli, persone che magari abbiano già dimostrato validità, affidabilità e onestà nella loro vita professionale. Con la logica del proprio orticello, si resterà sempre piccoli. E a lamentarsi ipocritamente di una classe che proprio noi abbiamo scelto.

E allora, iniziamo a fare il tifo per Lecce e per il Salento. Pretendiamo che gli schieramenti, tutti, si sforzino di presentare il meglio, non accattoni del voto e mestieranti. Iniziamo soprattutto a non svenderlo, questo voto. E’ uno dei più preziosi doni della democrazia.

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