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Cronaca Centro / Piazza Sant'Oronzo

Dalla denuncia alla protesta: cresce il fronte comune dei giornalisti

Oggi prima assemblea degli operatori dell'informazione che, dopo il licenziamento del cameraman di Canale8, hanno deciso di rivendicare i diritti cancellati. La vertenza si sposterà in Prefettura, alla presenza degli editori

 

LECCE - Tutto è partito dalla denuncia di un cameraman di Canale8, Vincenzo Siciliano, che affidava alla bacheca di facebook la disperazione di non essere pagato da mesi. Sull’onda emotiva della solidarietà, per amicizia, per timore di ritrovarsi, un giorno, nella medesima condizione, si è creato un fronte comune dei giornalisti e degli operatori della comunicazione che da lì sono partiti: dal licenziamento improvviso dello stesso Siciliano, per rivendicare diritti che non credevano di avere.

Una denuncia ha fatto piazza pulita dell’ipocrisia che regna, indisturbata, in un settore in cui ci sono troppi interessi in gioco e ha sgombrato il campo per una timida protesta che cerca di organizzarsi, per rivendicare tutele, contratti dignitosi, un minimo di stabilità su cui programmare il futuro. A Lecce sembrano tutti intenzionati a farla finita con la storia del “comunicatore” usa e getta, non pagato, sottopagato e altrettanto facilmente rimpiazzato nella più triste guerra tra poveri. Oggi la prima assemblea pubblica presso l’open space di Palazzo Carafa ha visto la partecipazione, anche, di sindacalisti, esponenti della politica e rappresentanti del sindacato Assostampa, dell’Ordine regionale dei giornalisti e del Corecom.

Pare che l’eco della protesta sia arrivato fino a Foggia, fino a Bari e potrebbe essere questo il primo passo per costruire una piattaforma comune di rivendicazioni. Lecce parte da tre punti: spostare la sede della vertenza nel luogo delle istituzioni, la prefettura in primis, alla presenza del mondo editoriale. Il primo da cui si attendono risposte, certezze, un atto di responsabilità, pur nell’incontestabile momento di crisi. Il tentativo successivo è di coinvolgere gli enti preposti per definire i parametri di una certificazione di “informazione di qualità”, per attrarre gli investimenti pubblicitari su quelle testate, siti web ed emittenti televisive e radiofoniche che vivono di trasparenza e non di ambiguità. La terza azione è rappresentata da un chiarimento riguardo ai finanziamenti pubblici erogati alle aziende, che si trasforma in una domanda chiarissima: gli imprenditori devono attendere questi fondi per pagare gli stipendi ai propri dipendenti?2 assemblea informazione 001-2

Mentre Corecom si è affrettato a precisare la sua posizione (“non possediamo fondi, quindi non li possiamo erogare, ma dobbiamo solo certificare il pagamento dei contributi sia in regola per concedere l’accessi al finanziamento”), Raffaele Lorusso di Assostampa ha puntato il dito sul rischio d’impresa che un imprenditore privato dovrebbe assumersi, per tirare avanti la baracca: “Quando le cose andavano bene, chi non ha capitalizzato la propria società ha molte più difficoltà ad ottenere l’accesso al credito da parte delle banche”.

Il discorso è naturalmente scivolato sui casi specifici: “Canale 8 è un’azienda che ormai esiste solo su carta. Telenorba sta predisponendo dei licenziamenti, ma si sta muovendo di concerto con i sindacati. Per il resto non ci risulta che altre emittenti in crisi, abbiano attivato strumenti per tutelare i dipendenti, come la cassa integrazione o contratti di solidarietà”.

Il coro delle risposte fornite ai giornalisti è stato unanime: se non si fa fronte comune, i sindacati non hanno titolo di intervenire. L’Ordine dei giornalisti ha calato, quindi, l’asso di uno strumento “debole” ma esistente: quello della Carta di Firenze che, a partire da segnalazioni personali, autorizza interventi disciplinari per i direttori non in regola con i compensi retribuiti ai collaboratori. Si rischia la censura, al massimo la radiazione dall’albo. Ma se precarietà non fa rima con libertà d’informazione, uno degli strumenti più efficaci, una proposta di legge sull’”equo compenso”,  vegeta in parlamento e che aspetta solo di resuscitare, per diventare presupposto per l’accesso ai finanziamenti pubblici. Un passo avanti che accorcia il cammino verso la rivendicazione di diritti che la prassi ha cancellato.

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