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Cronaca

Il Ris all'opera per fare luce sui misteri del casolare-arsenale

Iniziate le perizie sulle armi scovate nella proprietà di Giovanni Manzari, personaggio avvolto da un alone di mistero. Esplosivi, fucili, pistole, munizioni: chi faceva affidamento su di lui? Quale ruolo negli scenari criminali?

ROMA – Le prime risposte sulle armi detenute nella masseria di Giovanni Manzari, 54enne di Triggiano, da anni residente a Lecce, arriveranno, forse, dalle analisi del Ris di Roma. Ci vorrà tempo, ma solo la scienza potrà stabilire se siano mai state usate, se le abbiano impiegate altri pregiudicati ed eventualmente in quali contesti.

La vicenda da cui scaturisce l’inchiesta è nota. All’alba del 30 novembre scorso i carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce fecero irruzione in un casolare lungo la strada che collega la marina di Torre Rinalda a Squinzano, a circa 3 chilometri dall'abbazia di Santa Maria a Cerrate.

Fu un’operazione d’iniziativa. E, grazie anche al fiuto di due cani del Nucleo cinofili di Tito (Potenza), i militari scovarono un arsenale dalle proporzioni immani. Un arsenale “diffuso”, si potrebbe dire: pistole, fucili, munizioni, caricatori, polvere da lancio e persino 365 chili di polvere da cava ad alto potenziale fatta brillare subito, erano stati nascosti fra indumenti e cassetti della masseria, persino fra le parti meccaniche di un trattore, in mezzo a diversi secchi e lungo un chilometrico tracciato di muretti a secco.

Ogni singolo nascondiglio in campagna, in particolare, era stato contrassegnato con qualche oggetto che, a prima vista, sarebbe apparso un comune rifiuto. Per quella vicenda, sotto la lente degli investigatori, finì la posizione dell’agricoltore, che alle spalle aveva un precedente specifico di pochi anni prima e che in quei giorni si trovava in carcere, a Brindisi, perché sospettato anche di un traffico di stupefacenti.    

La vicenda fece scalpore per vari motivi. Prima di tutto, c’era la psicosi collettiva per la latitanza del pericoloso killer Fabio Antonio Perrone, in quel periodo ancora ricercato. “Triglietta”, 42enne di Trepuzzi, come sarebbe emerso dopo il suo arresto, sembra che intendesse organizzare rapine in grande stile per ottenere i soldi necessari a garantirsi il mantenimento e l’eventuale fuga dal territorio. Si è parlato di recente anche di possibili assalti a furgoni portavalori. E allora, ci può essere un collegamento con quell’arsenale? Per ora è soltanto una velata ipotesi, che gli investigatori non trascurano, ma che forse non ritengono comunque la principale.

In seconda analisi, c’è sempre e comunque la possibilità (ed è questo il campo in cui si muovono soprattutto le indagini) che Manzari gestisse una sorta di supermarket delle armi per i gruppi ben introdotti in certi ambienti e che avessero avuto necessità immediata di “bocche di fuoco”, e che in geneale le custodisse per la criminalità organizzata del nord Salento o brindisina. Fino a oggi, però, va detto che non è mai apparso in modo chiaro e netto un suo vincolo associativo.

E allora, forse davvero solo il Ris potrà fornire le risposte che gli investigatori locali cercano e inserire i tasselli del mosaico nel posto giusto, per inaugurare magari nuovi filoni d’inchiesta o chiudere alcune partite ancora aperte. E per questo, in molti sono affacciati alla finestra per vedere quali saranno le novità.

Proprio ieri, infatti, sono iniziate le perizie sulle armi. Va ricordato che, fra le altre cose, i carabinieri leccesi guidati dal capitano Biagio Marro, rinvennero una bascula per fucile a doppietta con matricola, un fucile Beretta semiautomatico “Urika” calibro 12 con matricola abrasa, una canna per lo stesso modello di arma (ma con matricola), un altro Beretta sovrapposto calibro 12 sempre con matricola abrasa, canne di una doppietta calibro 12 con matricola. Ancora: una pistola semiautomatica Beretta 7.65 con matricola abrasa e una canna per pistola 7.65 con matricola, un’altra semiautomatica Taurus calibro 9x21 con matricola, una Beretta cromata 7.65 con matricola, un fucile a pompa calibro 12 High Standard.

DSCN4680-2Questo solo per restare in tema di armi prêt-à-porter, perché colpì molto l’opinione pubblica in quei giorni il possesso sia di tanta di quella polvere da lancio da fabbricare potenzialmente 10mila proiettili (70 chili), sia del pericoloso esplosivo in grosse quantità. Oltre a diversi detonatori.    

Il Reparto investigazioni scientifiche, dunque, sta provvedendo all’esame delle impronte digitali, alla ricostruzione delle matricole abrase e alla perizia balistica. Gli avvocati difensori di Manzari, Carlo Martina e Fabrizio Tommasi, hanno nominato un consulente tecnico di parte, individuato nell’esperto Pietro Boemia di Roma, oggi in pensione e il cui nome rimbalzò alle cronache nazionali perché in servizio come ispettore presso la polizia scientifica ai tempi dell’omicidio di Meredith Kercher.  

Una cosa è certa: la storia riveste un suo fascino perché la figura di Manzari è ancora avvolta da un alone di mistero. Indefinito il suo ruolo. Mentre lui resta sempre a piede libero. Dopo l’arresto avvenuto la sera del 25 novembre, il 15 dicembre ritornò in libertà in seguito al ricorso avanzato dai suoi legali al Tribunale del riesame di Lecce.

Fu bloccato al confine territoriale fra le due province mentre rientrava verso il capoluogo salentino a bordo di una Fiat Punto. In auto c’erano sei panetti di hashish, per un totale di 3 chilogrammi. Ad assumersi la responsabilità davanti ai giudici del possesso dello stupefacente fu il passeggero, lo slavo 30enne Denis Ahmetovic, residente a Campi Salentina. Riferì di aver chiesto un passaggio a Manzari, che conosceva da anni, ma di non averlo informato del carico. E anche questa vicenda concorre a formare un quadro scontornato attorno alla figura di Manzari.     

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