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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

Detenuto morì durante sciopero della fame a oltranza: nessuna colpa medica

Diciotto erano i sanitari indagati in relazione al caso di Virgil Cristia Pop, deceduto a metà maggio del 2012, dopo aver attuato una pericolosa forma di protesta: intendeva in questo modo ottenere una sospensione della pena. I sanitari fecero tutto il possibile per dissuaderlo. Archiava l'indagine

LECCE – Giunge ad archiviazione l’indagine sul personale sanitario in servizio presso la casa circondariale di Lecce in merito alla morte di un detenuto rumeno, Virgil Cristia Pop, avvenuta nel maggio del 2012. Il pm Carmen Ruggiero aveva aperto un fascicolo a carico di diciotto medici per omicidio colposo. 

Nei giorni successivi al decesso, avvenuto per deperimento da malnutrizione, una condizione volontariamente scelta dal carcerato, i medici legali Roberto Vaglio ed Ermenegildo Colosimo avevano effettuato un’autopsia, certificando i motivi della morte, mentre il magistrato aveva acquisito cartelle cliniche e varia documentazione, per poi sollecitare l’archiviazione, disposta nelle scorse ore dal gip Annalisa De Benedictis, poiché non si può ravvisare alcuna responsabilità a carico dei medici. Questi, infatti, avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere, ma non avrebbero potuto nutrire Virgil Cristia Pop in modo coatto.

L’uomo è spirato a soli 39 anni, tra il 12 e il 13 maggio di due anni addietro, nell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce, dov’era stato ricoverato per l’ennesima volta, a seguito di uno sciopero della fame ad oltranza, che durava ormai da una cinquantina di giorni, nonostante le insistenze dello staff medico del penitenziario a porre fine a quel mezzo di protesta, ben sapendo a quali conseguenze sarebbe andato incontro.

Virgil Cristria Pop era in carcere dal 2000 in seguito di diverse condanne divenute intanto definitive per reati contro il patrimonio e le persone. Era stato ritenuto colpevole di furti e rapine. In cella prima ad Avellino, poi a Benevento, infine era stato tradotto a Lecce. Avrebbe scontato la sua condanna nel 2018. Sosteneva, però, di essere innocente e aveva richiesto un incontro con il magistrato: il suo obiettivo, a quanto pare, era quello di ottenere una sospensione della pena.

La malnutrizione, stando agli esiti dell’indagine, sarebbe servita proprio allo scopo. Sottoposto ogni volta a perizie mediche e psichiatriche, era stato trasportato più volte in ospedale. Tuttavia, i medici non avrebbero potuto nutrirlo in maniera coercitiva, né vi sono altri fattori per i quali possono essere ritenuti responsabili dell’accaduto.    

In seguito all'episodio era stata anche disposto un'ispezione dal ministero di Giustizia. Il dirigente sanitario del carcere, Sandro Rima, all'epoca spiegò che il 39enne rumeno, poco prima di essere ricoverato, mentre era nell'infermeria del carcere aveva preso "l'ago della flebo che gli era stata somministrata per tentare di dargli un po' di forze e se lo è strappato dal braccio. Ogni giorno – disse Rima - veniva visitato da un medico, da uno psicologo e da uno psichiatra. Abbiamo tentato tutti di dissuaderlo, ma inutilmente. E l'ultima volta si è anche sfilato l'ago della flebo. Era intenzionato a continuare nella sua protesta fino in fondo”.



 

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