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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Ugento

Omicidio Basile, sette anni di misteri e omertà in un delitto ancora senza colpevoli

Sono trascorsi oltre duemila giorni da quell'afosa notte in cui Peppino Basile fu massacrato con oltre venti coltellate. Non sono bastati tre processi a far emergere la verità. Appello del comitato civico "Io conto" affinché non si dimentichi la storia del consigliere comunale ucciso

UGENTO – Ci sono vicende destinate a segnare per sempre la storia di una comunità, a raccontarne difetti e debolezze, paure e omertà. Quella dell’omicidio di Giuseppe Basile, il consigliere dell’Italia dei Valori assassinato a Ugento la notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008, è divenuta prima un’inchiesta e poi un processo che, come spesso accade, ha proiettato sul palcoscenico di un’aula di Tribunale, la storia, i vizi e le virtù di un’intera collettività.

Sono trascorsi ormai sei anni da quella notte d’inizio estate, era da poco passata l’una, in cui Peppino Basile fu massacrato con oltre venti coltellate. Da allora la macchina investigativa e quella della giustizia hanno lavorato incessantemente alla ricerca di una verità che dopo oltre duemila giorni da quel brutale omicidio appare ancora lontana. Piste alternative, criminalità, vendette, rancori, tradimenti e sospetti hanno tinto ancor più di giallo un delitto misterioso. Non sono bastati tre processi, tutti conclusi con un verdetto di assoluzione, a fare luce sul delitto. Un’intera famiglia è stata travolta da una vicenda giudiziaria in cui, lo dicono sentenze (di cui una già definitiva), no avevano colpe.

L’omicidio Basile ricalca alla perfezione il più classico dei copioni di quella provincia addormentata, dove il delitto sembra la più semplice delle cose. Quelle coltellate e quel sangue rimangono, però, una ferita aperta nella voglia di giustizia e verità 

manifesto-16-12di tanta altra gente che non vuole dimenticare. A distanza di sette lunghi anni da quella brutale uccisione, il comitato civico "Io conto" definisce tutto ciò che è stato fatto una “farsa”. “Una farsa  - si legge nel comunicato – è stato l’intervento sulla “scena del crimine”, dove chiunq

ue vi ha potuto accedere senza ostacoli e passeggiarvi dentro (basti vedere le immagini di repertorio dei telegiornali delle primissime ore che seguirono il fatto); una farsa sono stati gli appelli al silenzio per “non disturbare le indagini”; a nessuno è venuto in mente di bloccare la raccolta dei rifiuti per la ricerca dell’arma del delitto; molto breve ci è sembrato il tempo passato tra l’omicidio, le indagini autoptiche ed il funerale, il tutto nell’arcodi 52 ore circa, come se si volesse mettere subito un velo sulla vicenda. Chi ha spronato a parlare ha pagato di persona con minacce, insulti e accuse”.

“Le indagini sottolineano gli esponenti di Io Conto – , durate ben 17 mesi e mezzo, hanno avuto come risultato l’arresto ed il processo a due vicini di casa con il movente dei “futili motivi”, assolti dopo quasi 5 anni per non avere commesso il fatto. Ed eccoci qui a chiederci ancora se mai sapremo perché, e per volontà di chi, è stato ucciso Peppino Basile, che amava spesso dire nei suoi comizi, in modi forse teatrali e coloriti, “…un sogno…il mio sogno… che questa terra cresca. Sarei pronto anche al sacrificio della mia vita pur di vedere crescere la mia terra, non per me ma per i nostri figli…”, oppure “…in Ugento non esiste la mafia … c’è il Sistema….”. Sarà stato un caso che dopo poco tempo spararono alla sua macchina e che lui parcheggiò in piazza, crivellata di colpi, come per dire a tutti “vedete che ho ragione!”.

Il momento storico in cui è avvenuto l’atroce delitto, può tranquillamente fare pensare ad intromissioni non gradite a sistemi affaristici locali e non, di cui purtroppo solo lui era a conoscenza, considerato l’agire solitario in cui si era trincerato e in cui noi tutti l’avevamo relegato”. Questo il pensiero del comitato civico.

La morte di Peppino Basile, il muratore divenuto politico, metà Masaniello e metà Don Chisciotte, uomo dalle mille battaglie, osteggiato e spesso deriso, è sembrata quasi un peso fastidioso per la comunità ugentina e non solo. Quello sull’omicidio di Peppino Basile è diventato, udienza dopo udienza, molto più di un processo. Un viaggio attraverso il substrato sociale di un Sud profondo e pieno di contraddizioni, in cui la verità sembra cambiar forma in ogni istante. Un viaggio alla scoperta della vita di un piccolo paese del basso Salento, pieno di silenzi e verità sospese a metà. Non sono bastati due processi, centinaia di ore di dibattimento e decine di testimonianze per squarciare il velo di silenzi e omertà che da subito è calato sull’omicidio. Un processo che si è trasformato nel viaggio a ritroso dentro il ventre di un Salento arcaico e di una terra che Sciascia avrebbe descritto proprio come la sua Sicilia.

Vittorio Luigi Colitti, il ragazzo accusato, in concorso con il nonno, dell’omicidio, è stato assolto in via definitiva. Quel ragazzone dalla faccia buona, travolto da una storia sembrata molto più grande di lui, ha subito il lungo calvario di due processi e undici lunghissimi mesi di detenzione prima di vedere riconosciuta la propria innocenza, grazie agli avvocati Francesca Conte e Roberto Bray (saranno i giudici ora a stabilire l’eventuale risarcimento). Il nonno, invece, è stato assolto in primo grado, in un processo pieno di dubbi e poche certezze. Rimangono, infatti, molti lati oscuri attorno alla ricostruzione fatta dall’accusa. Innanzitutto sul movente, quello dei contrasti vicini, apparso subito fragile e che non ha mai avuto riscontri. Così come la ricostruzione dell’omicidio e il ruolo dei presunti assassini, che continuano ad apparire piuttosto complessi. Labile e poco credibile anche la figura della presunta baby testimone del delitto, già smentita dai giudici. Al di là di ogni sentenza e ogni verdetto, restano le verità nascoste di chi ha visto e ha taciuto, di chi pur sapendo non ha parlato, di chi ancora considera la legge come una rete fastidiosa in cui è troppo facile  e scomodo rimanere impigliati.

Quelle sulla morte di Basile, comunque, sono state indagini difficili e piene di ostacoli, che hanno cercato a fatica di squarciare il velo di ostilità e reticenze. Perché quella tra il 14 e il 15 giugno 2008 è una calda notte di giugno, afosa (proprio come quella appena trascorsa), in cui nessuno sente le urla disperate della vittima (letteralmente squartato), il cui corpo giace in mezzo alla strada, ben illuminato da un lampione. Una notte tragica in cui nessuno, però, sembra aver visto nulla. È questa una delle peculiarità di questa vicenda, avvolta da una fitta cortina di omertà e silenzi, che nemmeno gli inquirenti sono riusciti a diradare.

“Ci troviamo dinanzi a un’omertà senza precedenti – ha detto il pubblico ministero Simona Filoni nel processo di primo grado a Colitti junior –, in un luogo dove tutti sanno e nessuno parla, pensando che forse è giusto così. In questo modo è come se Peppino fosse stato ucciso due volte: la prima dai suoi assassini, la seconda dai suoi concittadini”. Quelle coltellate e quel sangue rimangono, però, una ferita aperta nella voglia di giustizia e verità di tanta altra gente che non vuole dimenticare. Già, perché come ha scritto Voltaire: “Ai vivi dobbiamo rispetto, ai morti solo la verità”.

In attesa che la giustizia concluda il suo percorso tortuoso, rimane il terribile sospetto che gli assassini di Basile siano liberi e impuniti e che quello del politico amato dalla gente comune sia stato un delitto molto più complesso di quello che si è immaginato. Peppino, forse, ha pagato a caro prezzo le sue battaglie e la voglia di non fare mai un passo indietro.

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