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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca Parabita

Omicidio della piccola Angelica, ergastolo anche in appello per Biagio Toma

Carcere a vita per uno degli autori del duplice omicidio di Paola Rizzello e di sua figlia Angelica, una bimba di tre anni

LECCE – Confermata dai giudici della Corte d'assise d'appello la condanna all’ergastolo per Biagio Toma, 48enne di Parabita, ritenuto uno degli autori materiali di un duplice feroce omicidio. Quello di Paola Rizzello (di appena 27 anni) e sua figlia Angelica, una bimba, assassinate la sera del 20 marzo 1991. Tra più atroci e crudeli delitti mai avvenuti nel Salento.

toma biagio-3Una storia che riemerge dopo oltre un quarto di secolo con un senso immutato di ferocia e crudeltà, che neanche l’oblio del tempo, da sempre panacea di ogni male, è riuscito a cancellare. La storia di una bimba di poco più di due anni, Angelica Pirtoli, ferita e lasciata agonizzante sul cadavere della madre. Poi, a distanza di poco più di un’ora, afferrata per un piedino, quello già ferito, e sbattuta ripetutamente contro un muro, come un pupazzo gettato via dopo un gioco perverso e crudele. Non sprecarono per lei neanche una pallottola. Un duplice omicidio legato alla criminalità organizzata e alla Sacra corona unita.

Le altre condanne

Quella inflitta in secondo grado a Toma è la quarta condanna all’ergastolo dopo i mandanti dell’omicidio (divenuta definitiva dopo il pronunciamento della Cassazione nel 2003): Luigi Giannelli, 56 anni; sua moglie Anna De Matteis, 52enne e Donato Mercuri, 51 anni, uomo di fiducia del boss Giannelli. La condanna, qualora divenisse definitiva, potrebbe dunque scrivere la parola fine in questa terribile vicenda. Uno dei grandi accusatori di Toma è Luigi De Matteis, suo presunto complice reo confesso e collaboratore di giustizia, condannato a 16 anni e otto mesi.

Il racconto del collaboratore

De Matteis ha già raccontato, in un’aula di Corte d’Assise attonita, i particolari dell’assurda e inaudita ferocia con cui fu ammazzata la piccola Angelica: “Biagio Toma è sceso dalla macchina, ha preso la bambina per i piedi e l'ha sbattuta quattro-cinque volte vicino al muro e niente, cioè era morta la bambina”. Angelica, ferita a un piede e in lacrime, fu assassinata con una crudeltà inaudita. Il racconto dell’orrore è proseguito, svelando i particolari con cui i due si erano liberati dei cadaveri, dopo averli bruciati: “Abbiamo preso la Rizzello, che era bruciata e quando l'abbiamo presa si è spezzata in due e l'abbiamo buttata nella cisterna”. Il “pentito precisò che “Toma la teneva dalle braccia e lui per i piedi, lo scheletro si spezzò all’altezza del bacino e per terra era rimasta della pelle incollata”. Poi fu la volta della bimba: “C'era la bambina... siccome lì vicino c'erano dei sacchetti di plastica dei contadini, di concime, cose, si è preso un sacchetto, si è messa la bambina e l'abbiamo portata dove è stata ritrovata”.

Il ritrovamento dei corpi

I resti della donna furono recuperati il 19 febbraio del 1997, all’interno di una cisterna nel comune di Parabita, in località contrada Tuli (meglio conosciuta come “Santa Teresa”, lungo la strada vecchia per Alezio), dove fu rinvenuto uno scheletro con il solo teschio parzialmente integro ed alcuni monili d’oro. Oltre all’apparato scheletrico, al teschio, a poche ciocche di capelli e ad alcuni oggetti d’oro, furono rinvenute parti di alcuni indumenti femminili: la parte elastica di un reggiseno, due spalline, filamenti di calze collant ed un paio di scarpe del tipo polacchine in camoscio. I successivi accertamenti medico-legali, nonché quelli di odontoiatria forense comparativa, consentirono di affermare che i resti in esame appartenevano in vita proprio a Paola Rizzello, il cui decesso, causato da un colpo d’arma da fuoco esploso in prossimità dell’articolazione sternale, si era verificato in un lasso di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni precedenti, quindi compatibile con l’epoca della sua scomparsa, avvenuta il 20 marzo 1991.

Paola era stata gettata, come un fagotto, all’interno della vasca. Fu necessario attendere altri due anni, fino al 5 maggio 1999, per ritrovare i resti di Angelica, proprio grazie alle deposizioni di De Matteis. Per otto anni la sua tomba fu un’anonima collinetta rocciosa spersa nelle campagne di Matino, ai piedi di un pino: un buco profondo due metri e ricoperto di terreno indurito dal tempo. Il corpicino era stato nascosto in un sacco di juta, un fagotto in cui mani feroci avvolsero il corpo di una bambina morta ad appena due anni e mezzo da chi, dopo averla rapita, non sapeva che cosa farne. Fu trovata a un paio di chilometri dalla vecchia cisterna dove avevano recuperato il corpo della mamma.

Il duplice delitto

Paola Rizzello divenne l’amante di Giannelli nella prima metà degli anni Ottanta, ma dopo qualche tempo si legò a un altro uomo, uno del suo paese, Luigi Calzolari. Fu una storia breve perché nel 1985 Calzolari fu ucciso. Paola sospettò che a ordinare l’omicidio dal carcere fosse stato proprio Giannelli, e cominciò a fare domande in giro, a cercare di incastrare l’ex amante. Il boss scoprì quasi subito le sue intenzioni e decretò che quella ragazza doveva essere eliminata.

Decisone inappellabile, secondo il codice di tutte le mafie, cui si aggiunse quella della moglie del boss, “Anna morte” che, scoperto il tradimento, prima affrontò la ragazza, la insultò e la minacciò, quindi disse che voleva vederla morta. L’ordine di uccidere Paola Rizzello fu impartito da Luigi Giannelli, all’epoca detenuto a Lecce per fatti estorsivi, durante un colloquio in carcere con la moglie Anna Matteis, che lo trasmise a Donato Mercuri, persona incaricata di eseguire materialmente l’omicidio.

Mercuri, per precostituirsi un alibi, individuò come data dell’esecuzione la sera in cui sarebbe stata disputata un’importante partita di calcio, di cui era notoriamente appassionato e a sua volta affidò, secondo la ricostruzione di Luigi De Matteis, a lui e a Toma il compito di portare a termine il progetto di morte. La sera del 20 marzo 1991 i due attesero la donna sulla strada che conduceva alla sua abitazione e seguirono la Panda Rossa su cui viaggiava. La donna, che di lui si fidava, si presentò all’appuntamento con Angelica in braccio e salì a bordo della sua Alfa 75. Condussero Paola Rizzello e la figlia in una casa nelle campagne di Matino, dove era stato nascosto un “fucile da caccia con quattro cartucce a pallini”.

De Matteis puntò l’arma contro la donna, che affrontò con coraggio e spavalderia i suoi assassini: “Non mi fai paura, disse e fece un gesto con la mano, come per scostare la canna del fucile puntata contro di lei”. In quel momento De Matteis esplose il primo colpo che colpì la Rizzello “nella pancia”, attingendo di striscio anche la bambina al piede destro e facendole saltare via la scarpina. Il secondo colpo fu esploso per essere certo che la Rizzello fosse morta, a una distanza di circa un metro, nella regione del petto più vicina al collo. I due assassini si allontanarono dal luogo del delitto, lasciando la bimba ferita e in lacrime. Poi, su ordine dello stesso Mercuri (“Se trovano la bambina in quelle condizioni, automaticamente si capisce che alla madre le è successo qualcosa, qualcosa di brutto … No la bambina non si può lasciare. Voi sapete cosa dovete fare”, avrebbe detto l’uomo) tornarono indietro, perché a due anni e mezzo una bimba può parlare e soprattutto ricordare. 

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