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Cronaca

Operazione "Eclisse", primi interrogatori: in sette scelgono la via del silenzio

Primi interrogatori nell'ambito dell'operazione denominata "Eclisse", che ha tracciato crolli e rinascite della Scu leccese. In particolare le strategie criminali dei clan che per decenni hanno governato su capoluogo e dintorni. Sette degli arrestati hanno scelto di non rispondere alle domande del gip

LECCE – Primi interrogatori nell’ambito dell’operazione denominata “Eclisse”, che ha tracciato crolli e rinascite della Scu leccese. In particolare le strategie criminali dei clan che per decenni hanno governato su capoluogo e dintorni. I fratelli Nisi e poi i “Vernel”. Un’indagine lunga e articolata quella compiuta dalla polizia per un lavoro di ricostruzione dei nuovi assetti molto complesso, vista la vastità della materia, eppure svolto con rapidità insolita, rispetto ai tempi soliti occorrenti per chiudere il cerchio su gruppi tanto vasti. Alcuni fra gli episodi contestati sono molto recenti, nel clima di terrore crescente in città. Molti fra gli attentati a mano armata degli ultimi tempi, infatti, sarebbero da ricollegare alle battaglie campali fra gruppi per il predominio del territorio. Il blitz è stato portato a termine dalla squadra mobile di Lecce sotto la direzione del vicequestore aggiunto Sabrina Manzone, e con il supporto di agenti delle altre questure pugliesi, di Potenza e di Matera, del reparto volo e dei cinofili di Bari. I reati, a vario titolo: associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, estorsione e detenzione di armi.

Trentacinque le ordinanze di custodia cautelare richieste dal pm Guglielmo Cataldi e firmate dal gip Alcide Maritati. Oggi dinanzi al gip sono comparsi i primi sette arrestati: Maurizio Contaldo, 53enne; Alessandro Ancora, detto Sandro, 35enne leccese; Marco Firenze, 48, di Lecce; Carlo Gaetani, alias Carletto, 30, di Lecce; Marco Pacentrilli, detto “Marco Zola”, 31enne Lecce; Pierluigi Rollo, 25, di Lecce e Salvatore Tarantino, 35 anni di Lecce. Tutti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, scegliendo la via del silenzio. Solo Contaldo, vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie, ha fatto delle dichiarazioni spontanee dicendo di non sapere nulla delle accuse contestate.

Bisogna fare un passo indietro di qualche anno per inquadrare lo sfondo sul quale si traccia l’indagine attuale della squadra mobile. Bisogna partire, cioè, dalla nota operazione “Cinemastore”, che rappresenta l’inchiesta madre, e per la quale, nel luglio scorso, sono arrivate condanne in appello per oltre un secolo di carcere. “Eclisse” n’è dunque ideale prosecuzione, forse l’atto finale, dopo una serie di altri grossi blitz “intermedi”, durante i quali sono già finiti in manette molti dei soggetti individuati oggi.

Fu proprio durante quell’inchiesta che emersero i ruoli fondamentali di Pasquale Briganti e Roberto Nisi (secondaria la figura del fratello Giuseppe Nisi, seppur sempre inserito nella linea di comando). E fu Roberto Nisi, durante l’udienza preliminare del processo che scaturì da un gigantesco blitz (sessantadue arresti), a rivendicare il suo ruolo di capo, sebbene, per gli investigatori, soprattutto per allontanare i sospetti dai familiari.

Tutto questo, in linea con il cruento passato della Scu. Briganti, ad esempio, aveva ricevuto l’investitura di “completo” direttamente dallo storico boss della potente mala monteronese, Mario Tornese, e in alleanza con Roberto Nisi, era in contrasto con un altro gruppo, quello comandato da Andrea Leo, detto “Vernel”, della frangia vernolese. I “Vernel”, dal canto loro, si sono avviati verso il tramonto con l’arresto del capo e la nascita di un rapporto di collaborazione con la giustizia di un altro elemento di spicco, spesso tornato nelle cronache: Alessandro Verardi. Da qui, l’estensione degli affari del clan Nisi nei territori un tempo “occupati” dai rivali.

Nessun impero, però, s’è detto, è destinato a rimanere in piedi in eterno e con le manette ai polsi di Nisi (maggio 2012), sono iniziati i mal di pancia fra chi era rimasto ancora a piede libero. Cioè, gli attriti fra i cosiddetti luogotenenti. Da un lato, Davide Vadacca, dall’altro Gioele Greco e Daniele De Matteis. I contrasti, secondo gli investigatori, avrebbero avuto origine nel traffico di cocaina.

Gioele Greco, in particolare, sarebbe stato protagonista di un’ascesa veemente. Le sue ambizioni sarebbero state documentate da incontri che tenuti a Lecce con trafficanti di stupefacenti, in passato vicini ai “Vernel”, come Omar Marchello, così come dal versamento da di somme di denaro in  favore di Remo De Matteis, che usufruiva di permessi premio concessi dal Tribunale di sorveglianza di Trapani.

Sarebbero quindi sorti accordi per la gestione dello spaccio fra Gioele Greco, i fratelli Remo e Daniele De Matteis, Omar Marchello e Yuri Zecca. E non senza usare il pugno di ferro, la violenza per mantenere il predominio.

C’è un caso che sembra dipingere bene quanto appena detto. E’ l’episodio che vede al centro, purtroppo, la morte di un giovane di Cavallino, Luca Rollo. Questi, secondo quanto accertato dalla squadra mobile, sarebbe stato vessato da continue minacce e percosse. Sembra che avesse un debito di circa 20mila euro dovuto a passate forniture di stupefacente. Il 12 gennaio del 2013 non ha retto più al clima d’intimidazione e l’ha fatta finita.

Ebbene, scrive il gip nell’ordinanza: “Le condotte reiterate di vessazione, minaccia e violenza compiute nei confronti del povero Rollo Luca, sono state di tale insistenza e cattiveria da non potersi certamente ritenere che l’evento suicidario non debba essere messo in stretta relazione causale con il delitto di spaccio di sostanze stupefacenti e conseguente estorsione pluriaggravata finalizzata a recuperare i debiti maturati dal Rollo”.

Autori di queste continue vessazioni sarebbero stati Adriano Barbetta e Salvatore Tarantino, su mandato di Gioele Greco, Daniele De Matteis e Yuri Zecca. Da qui la contestazione  del reato di “morte come conseguenza di altro delitto”.

Vi è poi da annoverare una rapina ai danni di Flaviano Pino Lettere, al quale sarebbe stato sottratto da Greco Greco, Remo De Matteis, Cristian Carluccio, Francesco Luggeri e Omar Marchello , un consistente quantitativo di stupefacente. Fatto che avrebbe provocato un insanabile contrasto tra il gruppo di Greco e quello di Ciro Vacca, del quale Lettere avrebbe fatto parte.

Sarebbe questa la molla che ha fatto scattare l’agguato ai danni di Gioele Greco, la sera del 12 gennaio 2013, quando è stato colpito nel piazzale della Tamoil di Cavallino, in via Caprarica, da colpi di pistola. Vacca è stato condannato a sei anni in abbreviato. Ma prima dell’arresto e della condanna di Vacca, in risposta alla sparatoria, Lettere, sarebbe stato portato con un pretesto da Greco (nel frattempo ristabilitosi) in una casa di Torre Chianca e lì pestato e ferito al volto con un’arma da taglio.

Le indagini, nel frattempo, sono andate avanti mettendo a nudo altri fatti. Il gruppo di Vacca, ad esempio, avrebbe favorito la latitanza di soggetti di particolare spessore: l’omicida Serghei Vitali, alias “Barabba”, modalvo, evaso il 21 gennaio 2013 dal carcere di Padova, il quale avrebbe trovato rifugio in un’abitazione procuratagli da Lettere a Frigole, laddove è stato arrestato il 23 marzo del 2013. Coinvolti nel favoreggiamento della latitanza, risultavano anche Marco Pepe, Antonio e Ivan Spedicati.

Nella stessa zona e nello stesso periodo avrebbe poi trovato rifugio anche Giuseppe Giordano detto “Aiace”, già condannato a trent’anni per l’omicidio di Santino Vantaggiato, commesso con Vito De Emidio il 16 settembre del 1998 in Montenegro. Questi sarebbe poi stato arrestato a Manduria il successivo 29 marzo.

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