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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Operazione "Twilight": dinanzi al gip i fratelli Caroppo e "Ronzino" Persano

Gli arrestati hanno respinto le accuse nell'interrogatorio di garanzia. Soltanto Remigio Garrafa è rimasto in silenzio

LECCE – Nuovi interrogatori nel carcere di Lecce per gli arrestati nell’operazione denominata “Twilight”. Le indagini, condotte dai carabinieri del comando provinciale di Lecce e coordinate dal sostituto procuratore della Dda Alessio Coccioli, hanno delineato l’esistenza di tre gruppi criminali strutturati non in forma verticale e verticistica, ma orizzontale, attraverso una sorta di spartizione del territorio e di gruppi contigui. I reati contestati a vario titolo sono: associazione di tipo mafioso e concorso esterno in associazione di tipo mafioso, finalizzati all’usura, all’estorsione aggravata, alle rapine, all’esercizio abusivo di attività finanziaria, al riciclaggio, alle truffe, allo sfruttamento della prostituzione, alla detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e altro.

Dinanzi al gup Cinzia Vergine, per l’interrogatorio di garanzia, sono comparsi i fratelli Damiano e Massimo Caroppo, leccesi di 51 e 48 anni (assistiti dagli avvocati Luigi e Roberto Rella), accusati di essere i promotori di un presunto gruppo mafioso; e Sergio Caroppo, 50 anni, di Lecce, che avrebbe rappresentato la forza intimidatrice del gruppo. I tre hanno risposto alle domande del gip e respinto le accuse. Stessa linea d condotta per Antonio Caroppo, 59enne di Castrì; Livio Biagio Carafa, 53 anni, di Nardò; Antonio Alvaro Montinari, 45 anni, di Lecce; e Lucio Riotti, 51enne di Carmiano. Si è avvalso della facoltà di non rispondere, invece, Remigio Garrafa, 44 anni. Interrogatorio per rogatoria per un altro dei presunti leader dei tre gruppi criminali, Pasquale Briganti, detto Maurizio, 47 anni, leccese, assistito dagli avvocati Ladislao Massari e Antonio Savoia.

Interrogatorio anche per Oronzo Persano, 58enne leccese noto alle cronache dagli inizi degli anni Novanta. Persano, infatti, fu arrestato nel blitz condotto all’alba del 5 gennaio 1993. Una data non casuale, a un anno esatto dall’attentato al treno Lecce-Zurigo. La strage fu evitata per miracolo: la bomba ad alto potenziale, piazzata a pochi chilometri da Lecce, divelse un tratto dei binari, ma il macchinista avvertì un balzo e si fermò pochi metri dopo. Secondo le ipotesi investigative di allora, supportate dal pentito della Scu, Vincenzo Cafiero, gli attentati al Palazzo di giustizia e al treno furono pianificati nel luglio del 1991 dai vertici della Sacra corona ancora in libertà in un autosalone di proprietà di Oronzo Persano. In quell’occasione il gruppo aveva deciso di uccidere l’attuale procuratore Cataldo Motta, uno dei due pubblici ministeri al maxi processo alla quarta mafia pugliese. L'attentato non era riuscito per la protezione di cui godeva il magistrato.

Per quei fatti, però, Persano è stato assolto, anche se dal quel freddo giorno di gennaio del 1993, non era più uscito dal carcere. Il 58enne, infatti, ha scontato gran parte di una condanna a trent’anni per gli omicidi di Raffaele e Antonio Rampino, rispettivamente padre e figlio assassinati a pochi mesi di distanza nel 1991 (Antonio, appena 17enne, fu ucciso con due colpi di pistola, uno dei quali alla nuca, mentre rientrava a casa), e di Angelo Calvara e Antonio Milanese. “Ronzino” ha lasciato il carcere solo nel maggio del 2014.

L’inchiesta nasce dalle ceneri di un’altra operazione, quella denominata Shylock (che ha portato a diverse condanne in primo e secondo grado). Dalle denunce presentate da un imprenditore vittima di usura, e dalle dichiarazioni rese da Alfredo Scardicchio, che ha deciso di collaborare dopo il suo arresto, nel 2011 si è sviluppata la nuova indagine. Più di un centinaio complessivamente gli indagati, tra loro anche sei funzionari di banca, quattro operanti nel leccese e due nel barese, indagati a vario titolo per concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in riciclaggio. Secondo l’ipotesi accusatoria avrebbero “indirizzato” le vittime verso gli usurai, consegnando il denaro necessario alla sopravvivenza delle attività commerciali attraverso gli esponenti delle associazioni criminali, omettendo di segnalare all’autorità giudiziaria le operazioni sospette.

Un centinaio le vittime emerse nel corso delle indagini, operanti in vari settori. Un giro d’affari stimato di milioni di euro, con tassi d’interesse annuo che oscillava attorno al 120 per cento. In alcuni casi, non potendo restituire il denaro ricevuto, i commercianti erano costretti a chiedere nuovi prestiti. Una spirale senza uscita.

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