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Cronaca

Presunto giro di usura, formulata una richiesta di condanna in abbreviato

Due anni, la richiesta della'accusa per Carlo Palumbo, 47enne di Melendugno, e non doversi procedere per Concetta Candido, 49enne

LECCE – Una condanna a due anni e un non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Queste le richieste del pubblico ministero Alessio Coccioli per i due imputati che hanno scelto il giudizio abbreviato nell’ambito dell’inchiesta su una presunta associazione a delinquere accusata di usura, estorsione e riciclaggio, operante sotto l’egida del clan Coluccia. In venti sono già finiti a processo, che si aprirà nei prossimi giorni. La sentenza degli abbreviati, dinanzi al giudice Simona Panzera, è prevista a marzo.

Due anni, come detto, la richiesta della pubblica accusa per Carlo Palumbo, 47enne di Melendugno, e non doversi procedere per Concetta Candido, 49enne, assistiti dall’avvocato Luigi Corvaglia. La Candido è titolare di una gioielleria che si trova all’interno del Centrum a Lecce, finito sotto la lente dell’attività giudiziaria e teatro di una cruenta rapina avvenuta il 16 settembre del 2016 a opera di Antonio Gabellone, 20enne di Brindisi,  e l’albanese, Roland Karaj, 22enne (residente anche lui a Brindisi).

Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore della Dda Alessio Coccioli, si sono diramate in almeno due filoni investigativi: il primo relativo agli appalti per le mense in un istituto galatinese nell’anno scolastico 2011-2012. L’altro, invece, riguarda una trentina di casi di usura ed estorsione nei quali sono incappati altrettanti cittadini galatinesi, per lo più imprenditori in difficoltà finanziaria.

Al vertice dell’organizzazione, cui è stata anche riconosciuta la modalità mafiosa per via del modus operandi nell’attività di “riscossione dei crediti”, alcuni individui ed esponenti di rango ritenuti vicini al clan mafioso dei Coluccia. I metodi di recupero del denaro si basavano molto spesso su minacce ed episodi di violenza privata. L’organizzazione, oltre ad esercitare abusivamente l’attività finanziaria ai danni di cittadini in stato di bisogno, aveva avviato un vero e proprio business usurario, con tassi di interesse che oscillavano tra il 121 e il 183 per cento. Poi, per non lasciare traccia di quei movimenti illegali, gli assegni bancari che gli indagati ricevevano anche a garanzia dei prestiti concessi, venivano automaticamente negoziati su conti correnti intestati a terze persone a loro riconducibili.

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