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Cronaca

Prostituzione nei centri massaggi, a processo un professore universitario

Wenchang Chu, detto Vincenzo, 57 anni, sarebbe stato a capo di un'associazione cinese che operava tra le province di Lecce e Brindisi

LECCE – Un volume d’affari stimato di oltre 150mila euro al mese, sfruttando i ricavi di un vasto giro di prostituzione tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto. L’operazione “Peonia rossa” (dal nome del centro benessere che faceva da base alle attività del gruppo), condotta dagli agenti della squadra mobile di Brindisi, guidata dal vice questore Nicola Somma, scattò all’alba del 16 settembre scorso. La polizia sgominò una presunta gang cinese dedita allo sfruttamento della prostituzione.

Tra i membri dell’associazione vi sarebbero anche insospettabili, in particolare tra i promotori compare il nome di un docente universitario. Si tratta del cinese Wenchang Chu detto Vincenzo, 57 anni, professore associato presso l’Università del Salento e docente nel corso di laurea in fisica a Lecce (nella foto accanto, per concessione di Brindisireport,IMG-20150916-WA0004-2 Ndr). Per lui il gip del Tribunale di Brindisi Maurizio Saso ha disposto il giudizio immediato.

Furono dieci le ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura di Brindisi, cinque, invece, le persone denunciate a piede libero. I reati contestati a vario titolo riguardano lo sfruttamento della prostituzione. In manette finirono anche Luigi Berrino, 66enne di Martano; Lijuan Yu detta Sofia, 52enne cinese residente a Lecce; Liping Wang, detta Francesca, 45enne cinese residente a Brindisi; Changyu Zu detta Giada, 52enne cinese residente a Taranto; e Nicola Massaro, 55enne tarantino.

La lunga e complessa attività d’indagine condotta dalla questura di Brindisi e coordinata dal pubblico ministero Savina Toscani, consentì di delineare e scardinare una vera e propria associazione a delinquere dedita allo sfruttamento, all’induzione ed al favoreggiamento della prostituzione di giovani ragazze orientali, costrette con violenza e minacce a esercitare il meretricio. Per chi osava ribellarsi e non intendeva sottostare alle rigide regole imposte dal gruppo, oltre ai maltrattamenti e alle intimidazioni, vi era la minaccia di ritorsioni (anche di morte) per i parenti rimasti in Cina. Il denaro sarebbe stato trasferito in Cina “attraverso l’uso di passaporti esibiti in fotocopia”.

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