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Cronaca

Mentre la città dorme: una notte di ordinaria solidarietà al fianco dei clochard

Il funerale di Sergio De Vergori, il senzatetto deceduto per un trauma cranico, era terminato da poco. Questa è la storia di alcune ore trascorse assieme ai volontari leccesi della Croce Rossa, da anni impegnati due volte a settimana nelle cure di persone sole. Un itinerario amaro, ma umano, nel quale abbiamo contato 41 homeless nella sola città di Lecce

LECCE – La città, troppo presa dal raduno di Casapound, sembra aver già rimosso.  Eppure, i funerali dell’ennesimo clochard trovato senza vita erano terminati soltanto da poche ore.  “E’ come Il viaggio di un viandante nella notte. Ognuno ha sul suo cammino qualcosa che gli dà pena”. Le parole di un noto romanzo di Celine per dilatare, come uno zoom, i pixel di un itinerario, buio e al buio, che il nostro giornale ha deciso di percorrere assieme ai volontari dell’Unità di strada della Croce Rossa di Lecce, per raggiungere 41 clochard. Quarantuno.

Alle 20,30 il ritrovo con la squadra dei volontari leccesi, sei la scorsa notte, guidati dalla coordinatrice provinciale, ConcettIMG_1282-2a Ottomano. Ognuno di loro con una specialità, ma tutti formati per fornire, in primis, l’assistenza sanitaria ai senzatetto. Per rendere meno “crucis” quelle vie che si intrecciano in una città ancora stordita dagli ultimi episodi di cronaca relativi alla morte e alle assurde condizioni di coloro che non hanno un tetto. “Sergio (Sergio De Vergori, deceduto una settimana addietro a seguito di un trauma cranico, ndr) era felice quando riceveva del cibo salato. Non chiedeva mai nulla per sé. Giusto lo stretto necessario”.

Non si fanno avvicinare. Mostrano diffidenza come quella volta che un o di loro è stato notato aggirarsi nella zona della stazione. Davanti all’offerta da parte dei volontari della Croce Rossa di una bevanda calda o di qualcosa da mangiare, ha declinato l’invito per più di un’occasione, dicendo di dover aspettare un treno. Sebbene fosse nel cuore della notte. O come nel caso di Paola (nome di fantasia, ndr) che, altrettanto diffidente, porta con sé la sua pila di cartoni in tutti gli spostamenti, nel timore che qualcuno possa rubarglieli.

C’è chi, tra loro, ha inseguito un figlio, un sogno. C’è chi si ritrova senza un letto pur avendo un percorso lineare nel passato, magari fatto di studi e un lavoro ben retribuito che si è lasciato alle spalle, e con la passione per tutta la discografia degli U2. Homeless, che una “home” ce l’hanno. Fatta di lamiere. O fatta di scatole di cui sono anche gelosi. Sono i senzatetto a volte con un tetto, pericolante perché rifugio di fortuna. Sono coloro che non hanno una casa perché congiunture sfavorevoli. Perché problemi di salute. Perché è una scelta. “Al termine della notte”, forse l’umidità o la pioggia demolirà i loro cartoni. I perché, quelli invece, sono rimasti in piedi. Granitici.

C’è anche chi come Mario (altro nome di fantasia) si sente doppiamente straniero: ha lasciato dapprima la propria nazione, pur avendo la famiglia di origine nel capoluogo salentino. Ma poi è stato costretto ad allontanarsi anche dai propri parenti, finendo per dormire nell’auto. Da solo.  Ma, almeno una carezza all’anima, quella, sì, gli arriva da quei volontari che portano loro un pasto caldo. Un bicchiere di the.

I ragazzi della Cri, equipaggiati di zaino con farmaci e misuratori di pressione. E coperte, e indumenti, cercano di alleviare da diversi anni, le sofferenze di decine e decine di vite al limite.  Vi sono tre noti panifici in altrettanti punti della città che, senza rumore, senza pubblicizzare la loro iniziativa, forniscono di vivande il furgone ogni martedì e giovedì notte. Nel massimo rispetto di ogni sensibilità e abitudine religiosa o culturale, e alimentare, i volontari cominciano a distribuire panini e cornetti caldi negli anfratti più critici della città. Non si fermano alle piazze, alle strade buie, ma torcia in mano, vanno a “stanarli” uno ad uno fino ai lati dei binari. Perché sentano uno spiraglio di umanità. Una parola. Un “Come stai?” Ti sei trovato bene con la giacca che ti abbiamo procurato?”. Di questo è fatto il tour. Non soltanto di sostegno pratico, ma anche di pre-occupazione. Di senso della cura.IMG_7808-2

In media, la Croce Rossa si prende cura di una trentina di clochard.  La scorsa notte, però, il “tour” è finito oltre le due. Abbiamo avvicinato 41 persone,  in prevalenza  cittadini stranieri: soprattutto bulgari, romeni, marocchini e senegalesi. Ma anche diversi italiani. Che, a differenza di quanto si possa immaginare, non tendono a fare gruppo. Non si assicurano la reciproca protezione. Vanno avanti seguendo la legge della sopravvivenza individuale. E anche laddove alcuni cercano di formare gruppi, di sistemarsi in tende da campeggio come fossero vere e proprie comunità, vige l’abitudine a sopravvivere. Autonomamente.

Eppure, lentamente, almeno di quella croce rossa stampata sul giubbotto, hanno cominciato a fidarsi. Oltre ad accettare i piccoli aiuti, ma grandi gesti, qualcuno timidamente chiede: “Avreste anche una coperta? Comincia a fare freddo”. Capi d’abbigliamento (che secondo le direttive nazionali dovrebbero essere nuovi e puliti, meglio ancora se con etichetta) e sciarpe e coperte rappresentano però una delle difficoltà maggiori per la Croce Rossa che tenta, anche con altri servizi offerti ai bisognosi, far fronte a ogni tipo di emergenza dei clochard.

Coloro che dovessero disporne e intendono donarle, possono scrivere direttamente al seguente indirizzo: unita.strada@crilecce.it

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