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Cronaca

Riti di affiliazione mafiosa e mire del clan su concerti e bische. "La Scu è ancora viva"

Squadra mobile e i colleghi del Servizio operativo centrale hanno ricollegato diversi episodi, a partire dal 2017, poi confluiti nell’indagine “Final blow”. Oltre al controllo del mercato della droga, nel mirino anche altri settori

LECCE – Si intitola Final blow la maxi operazione di polizia scattata all’alba nel Salento. Ma nonostante le 72 ordinanze di custodia cautelare emesse, un vero “colpo finale” non potrebbe ancora essere inferto alla criminalità organizzata se, come sottolineato dal prefetto Francesco Messina, “la Sacra corona unita non è scomparsa”. Incisive e preoccupanti le parole del capo del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato che assieme alla squadra mobile del capoluogo salentino, diretta dal vicequestore Alessandro Albini, ha coordinato le indagini che hanno fatto tremare i clan operanti tra le provincie di Lecce e Brindisi eseguendo le misure emesse dal gip Simona Panzera. I nomi dei 69 destinatari dei provvedimenti eseguiti, sui 72 emanati, sono noti alle cronache locali: spiccano in particolare quelli di protagonisti “storici” del panorama criminale locale.

L’indagine dalla lettera di un ergastolano

L’attività investigativa sfociata nel blitz di questa mattina - alla quale hanno preso parte 400 uomini della Polizia di Stato, con il supporto degli elicotteri del Reparto volo di Bari ed unità cinofile – parte dalla seconda metà del 2017, a seguito dell’intercettazione di una lettera. La missiva, proveniente dal carcere, era stata inviata dall’ergastolano Cristian Pepe, identificato dopo un anno di accertamenti tecnici e grafologici. “Mi sa che a volte vi scordate come siete arrivati ad avere ‘sti lussi” e poi ancora “Non le fare ma non le fare de capu toa ste cose sai?”: due estratti dalla lettera di Pepe che evidenziano l'egemonia del clan, facente capo a lui e al fratello Antonio detto “Totti”, su Lecce e zone limitrofe. Il controllo degli affiliati di Pepe era ormai esteso in maniera tentacolare su tutte le attività illecite: la gestione e il traffico di stupefacenti in primis. Tanto che, nel corso delle indagini, sono state documentate cessioni di svariati chili di eroina e cocaina, fino a dieci a settimana. Sono state sequestrate alcune centinaia di chili di marijuana. Nel corso dell’attività è inoltre stata recuperata anche una pistola con relativo munizionamento, perfettamente funzionante.

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Gli indagati erano inoltre i protagonisti anche della successiva vendita di droga sulle piazze locali, estorsioni e “interferenze” nel gioco d’azzardo, condizionando gli esiti delle bische.  Su questo ultimo settore, nello specifico, inequivocabili gli elementi investigativi emersi: il clan acquisiva il 40 per cento degli introiti delle partite. Il reggente Antonio “Totti” Pepe  sarebbe persino giunto a  condizionare i giochi gestiti dal monopolio di Stato: attraverso delle pressioni, avrebbe ottenuto agevolazioni nelle vincite per gli appartenenti al clan e i loro famigliari.

 Diversi, inoltre, i gruppi criminali che si sono subordinati al clan: si tratta di quelli di Squinzano, Galatone, Nardò, Surbo e marine adriatiche, da quelle leccesi fino a quelle di Melendugno. E non solo. La complessa indagine della squadra mobile ha inoltre puntato i riflettori su un consolidato rapporto del clan anche con le organizzazioni criminali brindisine. Queste ultime hanno trovato nel capo clan “reggente” Antonio Pepe Totti” e nei suoi affiliati (tra i più vicini Antonio Marco Penza, Valentino Nobile, Stefano Monaco e Manuel Gigante), degli opportuni  interlocutori per la gestione del “business” criminale a cavallo fra le due province.

L’affiliazione al clan con tanto di riti mafiosi

Le intercettazioni telefoniche e le microspie hanno portato alla luce, nel corso dei mesi, anche di un episodio di affiliazione, con tanto di rito mafioso e di una elevazione di grado. Per rafforzare il potere del clan, infatti, nuovi adepti sarebbero stati “fidelizzati” o premiati con modalità tipiche della “tradizione” della Sacra corona unita. Alcuni dei momenti del rito, con il riferimento a Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, patrioti italiani, sono stati documentati dagli uomini della squadra mobile e riportati nel VIDEO che segue.

Un attentato incendiario al maresciallo e minacce all’assessore

I movimenti e gli affari criminali del clan hanno fatto da sfondo anche all’ennesimo episodio di cronaca: l’incendio dell’auto del comandante della stazione dei carabinieri di Surbo. Il 30 agosto del 2017 infatti, quando le indagini erano agli esordi, i malviventi diedero alle fiamme la Bmw 320 intestata al maresciallo Antonio Calò e parcheggiata a Caprarica di Lecce. La vittima, a capo della caserma surbina, si era insediata soltanto da poche settimane, con la sola “colpa” di voler svolgere al meglio il proprio dovere, eseguendo le indagini. A qualcuno è stato scomodo sin da subito e ha pensato di punirlo. Ma ad essere preso di mira dal clan non è stato il solo comandante dell’Arma, ma anche un amministratore comunale di Lecce. L’assessore di Palazzo Carafa Paolo Foresio sarebbe stato minacciato da alcuni componenti del clan: questi avrebbero cercato di influenzare (senza riuscirci) l’operato dell’amministrazione, per assicurarsi le autorizzazioni e organizzare eventi all’interno del Parco di Belloluogo, accanto al cimitero comunale.

Il primo giugno del 2018, in particolare, l’esibizione live dei Sud Sound System nei giardini fu annullata, per essere spostata in Piazza Libertini. Una decisione, per volontà del dirigente del Settore sviluppo economico e attività produttive, spettacolo e sport, Paolo Rollo - legata a questioni d inidoneità dell’area per l’evento musicale - che peraltro aprì a una serie di ricorsi e vari iter giudiziari al Tar. La scelta dell’amministrazione ha istigato la rabbia dei membri del clan che, in quell’occasione, erano ingolositi dall'idea di poter lucrare sull’intera “filiera”: dallo spaccio di stupefacente che ne sarebbe seguito, passando alla gestione abusiva dei parcheggi e al sistema di vigilanza.

Accanto alla soddisfazione del prefetto Messina e del numero uno della questura di Lecce, Andrea Valentino, la consapevolezza del fatto che la Sacra corona unita non si affatto scomparsa. Ma che, al contrario, sia invece “concretamente dotata di vitalità", così come dichiarato dai due dirigenti della Polizia di Stato durante la conferenza stampa. L’egemonia della grande “famiglia” Pepe, hanno lasciato intendere davanti agli organi di stampa, si era ormai stesa a tutti i livelli: non solo ai vari settori dell’economia illegale, ma anche alla supremazia psicologica sui vari gregari e affiliati, fino all’ultimo manovale dei gruppi orbitante attorno al clan Pepe.

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