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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Casarano

Terremoto nella Scu salentina, il boss Montedoro sceglie di collaborare

Il 41enne di Casarano, a capo secondo gli inquirenti dell'omonimo clan e ritenuto elemento di spicco della criminalità, ha deciso di parlare con i magistrati. Le sue dichiarazioni potrebbero fare luce su affari e delitti di mafia

LECCE – La notizia è di quelle destinate a provocare un vero e proprio terremoto negli ambienti giudiziari e della criminalità organizzata. Tommaso Montedoro, 41enne di Casarano ritenuto uno degli elementi di spicco della Scu salentina, a capo dell’omonimo clan, ha scelto di collaborare. Secondo quanto trapelato nelle ultime ore, il 41enne avrebbe nominato due nuovi legali, l’avvocato Sergio Luceri (che negli anni ha assistito numerosi “pentiti” come Ercole Penna e Gioele Greco) e un collega di Roma. Nelle sue lunghe e tormentate vicende giudiziarie Montedoro è stato assistito dall’avvocato Mario Coppola, che avrebbe dovuto rappresentarlo anche nel giudizio abbreviato, fissato per il 25 settembre, scaturito dall’operazione Diarchia.

L’arresto nell’operazione Diarchia

A Montedoro, ritenuto dalla Dda di Lecce a capo di un presunto sodalizio mafioso, operante a Casarano e nei comuni limitrofi, sono contestati l’associazione mafiosa, il tentato omicidio aggravato e l’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il 41enne fu fermato dai carabinieri del comando provinciale di Lecce al termine di una lunga e complessa indagine avviata dopo i fatti di sangue avvenuti a Casarano tra ottobre e novembre del 2016. Tommaso Montedoro è, come detto, ritenuto a capo del gruppo, presunto mandante del tentato omicidio di Luigi Spennato (il 41enne di Casarano gravemente ferito a colpi di pistola e kalashnikov il 28 novembre del 2016) e in grado di gestire, nonostante gli arresti domiciliari in Liguria, gli affari e i movimenti del clan, fino a progettare (secondo quanto ipotizzato dai carabinieri) un nuovo omicidio, quello di Ivan Caraccio, reo di avere tradito la fiducia del gruppo.

I “segreti” del collaboratore

Difficile al momento sapere, o ipotizzare, cosa l’ex luogotenente del boss Vito Di Emidio (alias Bullone), ha detto o dirà ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Lecce. Dopo essere stato trasferito dal carcere di Voghera a quello di Rebibbia, dovrebbe essere stato spostato in una località protetta. Le sue rivelazioni potrebbero fare luce su interessi, Tommaso Montedoro-2gerarchie e affari della Scu salentina, soprattutto nella zona di Casarano, a cominciare da mandanti ed esecutori di un delitto ancora irrisolto, quello di Augustino Potenza, il 42enne assassinato a colpi di kalashnikov nel parcheggio di un centro commerciale di Casarano il 26 ottobre del 2016. Un delitto tanto eclatante quanto spietato.

I luogotenenti di Vito Di Emidio

La loro è una storia che affonda nel passato per riemergere nei giorni nostri, portando con sé una spirale di morte e ferocia. Bisogna tornare indietro al 2006, nell’Italia travolta dalle emozioni e dagli scandali del calcio. Da circa un anno e mezzo i carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce danno la caccia ai latitanti Augustino Potenza e Tommaso Montedoro. Entrambi sono sfuggiti, il 23 luglio del 2005, al blitz antimafia (la cosiddetta operazione “Bullone”) scaturito dalle dichiarazioni del boss brindisino Vito Di Emidio, divenuto collaboratore di giustizia pochi giorni dopo l'arresto. I carabinieri arrestano Montedoro nel febbraio del 2006, dopo quasi un anno e mezzo di latitanza, al termine di uno spericolato inseguimento lungo le strade di Corigliano d’Otranto con la sua potentissima Golf, con cui sperona l’auto civetta dei carabinieri del Nucleo investigativo. Un’auto modificata con lastre a protezione dei sedili e un congegno per versare lubrificante sul manto stradale. Potenza viene arrestato il 23 ottobre mentre sta ritirando, a bordo di una moto rubata, oltre 100mila euro. Il secondo. Per i due luogotenenti di “bullone” ci saranno poi alterne vicende giudiziarie, tra processi, condanne e assoluzioni.

Le condanne

Nel marzo 2015 il 41enne è stato condannato a 14 anni di reclusione al termine del giudizio abbreviato scaturito dall’operazione “Tam Tam”. Nel dicembre del 201, dopo un lunghissimo iter giudiziario e una lunga serie di processi, è stato condannato in appello a 30 anni per l’omicidio di Rosario De Salve, il macellaio di Matino assassinato l’11 marzo del 1998. E’ stato invece assolto da un altro duplice e spietato delitto, quello di Fernando D'Aquino e Barbara Toma, trucidati a colpi di Kalashnikov a Casarano la sera del 5 marzo 1998.

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