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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

"Usura? Rischiavo pure di rimetterci soldi". Verdetto ribaltato in appello

In primo grado un 50enne neretino era stato condannato a quattro anni. Ma nel secondo giudizio la tesi non ha più retto. La difesa ha puntato sull'inattendibilità della parte civile. Sostenendo l'assenza di riscontri documentali

LECCE – Condannato in primo grado a quattro anni per usura. Assolto in appello perché il fatto non sussiste. I giudici della Corte d’appello di Lecce (presidente Nicola Lariccia, consiglieri Domenico Toni e Antonia Martalò) hanno completamente ribaltato il verdetto a carico di Giuseppe Calignano, 50enne, di Nardò, risalente al 17 giugno del 2016. La sentenza è stata emessa nella giornata di ieri. Il procuratore generale, Giovanni Gagliotta, e il difensore della parte civile, l’avvocato Giovanni Colomba, avevano chiesto la conferma  della sentenza.

In primo grado, la Prima sezione collegiale del Tribunale di Lecce, aveva condannato Calignano anche a 8mila euro di multa, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e il risarcimento a favore di un commerciante 45enne, neretino di origine, anche se residente a Lecce, con una provvisionale già disposta di 5mila euro.

L’imputato, difeso dagli avvocati Giuseppe Bonsegna e Lucio Calabrese, ha sempre sostenuto di aver concesso, nel 2008 e 2009, prestiti a titolo gratuito al commerciante, che già conosceva da tempo. Non solo. Ha anche spiegato di averci rimesso del denaro, in seguito comunque restituito dai parenti del 45enne.

La difesa ha dunque sostenuto l’inattendibilità della parte civile. Secondo gli avvocati Bonsegna e Calabrese, peraltro, le indagini, condotte dai carabinieri di Lecce e Nardò, non sarebbero state confortate da riscontri documentali, tantomeno dalla documentazione bancaria acquisita e valutata anche dai consulenti tecnici. Secondo l’accusa, invece, la somma iniziale, versata in due tranche, per 10mila euro totali, sarebbe lievitata in maniera esponenziale all’atto della restituzione del prestito, con tassi superiori al 300 per cento. Ma la tesi, che ha retto in primo grado, è crollata in appello. 

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