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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

"Versoterra": il commovente regalo di Mario Perrotta al Salento che lo spinse via

Dal gommone che approda a San Foca, ai cadaveri che galleggiano a Porto Selvaggio. Dal monologo "Lireta-A Chi viene dal mare" alla lacerante emozione per Migranti Espréss Live. In due giorni e una notte, un capolavoro dall'attore e autore leccese

LECCE – Pochi secondi prima di finire il monologo di Migranti Esprèss Live, Mario Perrotta sta piangendo. A dire il vero le lacrime solcano il viso di tutti i presenti nel cortile del castello di Carlo V, nessuno escluso.

In fondo quel treno Lecce-Stoccarda sul quale viaggiava una volta al mese, da solo a dieci anni, per andare alle visite di controllo presso un odontotecnico a Bergamo, città dove viveva il padre (un modo anche per andarlo a trovare più spesso), è la metafora dell’esistenza di molti meridionali e salentini, costretti ad allontanarsi da casa per coltivare un sogno che qui si infrangeva su un terreno arido o più semplicemente per soddisfare le necessità della sopravvivenza. Una metafora che alcuni dopo quell'esperienza scanzonata si è materializzata nella sua vita, per inseguire il diritto di costruirsi un futuro migliore di quello che immaginava la "patria" salentina gli potesse mai riservare.

Quando l’arte intreccia la biografia, quella di chi è sul palco ma anche quella di chi è sotto, allora la miscela che si produce è un affare serio da gestire, con il carico di rimpianti, sensi di colpa, di traumi e di speranze che si alimentano continuamente nei rapporti di amore “irrisolti”, che logorano l’anima nel momento stesso in cui la spingono ad andare avanti.

Il punto è anche un altro: Migranti Esprèss Live è solo un viaggio tra quelli ai quali si è avuto la fortuna di assistere a partire da venerdì sera, con la prima assoluta di “Lireta – A chi viene dal mare”, a Marittima di Diso (replicata sabato e anche oggi per la sezione "sera"). Poi due giorni - venerdì e sabato - a San Foca, davanti all’ex Cpt Regina Pacis per la sezione “alba" e il tramonto a Porto Selvaggio per la parte “approdi”. E, a punto, il live di Migranti Espréss, per la sezione "giorno", suddiviso in tre mattinate consecutive nel maniero leccese.

Un ciclo complesso che ha coinvolto attori veri, richiedenti asilo ed ex “reclusi”- oggi cittadini italiani - di quel centro di permanenza al cui interno si consumavano storie immonde finite al centro di una clamorosa inchiesta giudiziaria (culminata con la condanna di Cesare Lodeserto), mentre fuori da quelle mura molti salentini – persone comuni per intendersi – si spendevano per l’accoglienza in ogni modo possibile, con grande umanità.

“Versoterra” - questo il nome di quella che è stata una produzione teatrale irripetibile perché solo “Lireta” avrà il suo ciclo vitale nei teatri  - si è rivelato una pietra miliare: per la sua originale architettura, per il successo di pubblico, per la straordinaria forza di coinvolgimento e perché, fondamentalmente, affonda la lama nella pancia di un territorio ancora impoverito dai suoi retaggi feudali, con un notabilato che spadroneggia, un apparato intellettuale autoreferenziale ed elitario, un ceto borghese pigro e in gran parte incolto, masse popolari perennemente vittime del bisogno. Per tutto questo, ancora, si va via. Cosa che Mario Perrotta ha fatto 28 anni fa.

Dopo averlo intervistato alla vigilia della tre giorni, lo abbiamo nuovamente avvicinato pochi minuti dopo la fine di Migranti Esprèss Live.

migrantisanfoca-3Emozioni e paure. La tua commozione al termine della prima di Lyreta, ma anche pochi minuti fa, rivelano una reazione molto intensa. 

Non si può prevedere il rapporto con casa propria. Non sono in un’altra terra dove sono solo un artista. E allora tutte le cose non dette e che poi oggi in qualche maniera ho detto, tutte le cose indecenti che ancora trovo del paese Italia e in particolar modo del Sud e di casa mia e che mi fanno soffrire ancora di più vengono fuori. Quando deflagrano in un progetto del genere e sono a contatto coi luoghi dove sono nato e con le facce che conosco, quando so che le storie su cui sto lavorando vibrano di più nel corpo della gente perché sono storie di case, cioè lo sai ma non sai quanto - lo scopri quando senti l’emozione che schianta i luoghi di spettacolo anche quando c’è silenzio - tutto questo non riesci a gestirlo. Questo è accaduto in questi giorni: dalle prove all’arrivo dei primi ospiti, poi ieri a Porto Selvaggio un botto incredibile che non ci aspettavamo con 500 persone.

Dalle prove allo spettacolo, il passo non sempre è breve. Quali sono state le cose tecnicamente più difficili da realizzare?

Lo sbarco è complesso perché siamo al secondo, abbiamo preso i tempi non so quante volte con il video che viene proiettato sull'ex Cpt: a un certo punto bisogna essere posizionati col gommone al posto giusto, ma nel mare è un concetto molto lato. Ci siamo riusciti grazie alla bravura degli “scafisti” che sono poi pescatori del posto: insomma pochi attimi che sono frutto non di una improvvisazione ma di giorni di prove.

Così come, a Porto Selvaggio, i tempi per far sì che le cose accadano quando il pubblico con un suo passo plausibile sta arrivando. Ieri ci siamo trovati un poco in difficoltà per quante persone erano venute perché quando Ippolito stava parlando del raccoglitore di pomodori l’ultimo della coda era ancora alla prostituta: noi avevamo pensato a duecento persone. E’ tutto calcolato, i musicisti camminano e suonano con un passo e Ippolito segue il monologo in maniera tale che si trovi al punto giusto per dire le cose, perché non puoi inventare altro, io detesto le improvvisazioni. Non so quante volte abbiamo fatto il percorso. Fare uscire i morti a tempo musicale è stato un delirio: ne abbiamo dovuto scegliere uno per ciascuno di loro per andare in immersione, perché loro sono dei sub, e a un certo punto devono emergere.

Dopo questa lezione sulla memoria, ce ne parlerai ancora durante il prossimo TedxLecce, il 5 novembre. Come te lo stai immaginando il tuo speech?

Ma io l’ho detto un poco anche oggi: dimentichiamo chi siamo stati e chi siamo ancora, perché di qua vanno via ancora tante persone per cercare altre opportunità o perché semplicemente non reggono quel meccanismo di servilismo bizantino nel quale siamo ancora invischiati. Quando chiedi qualcosa a un politico sembra che tu stia reclamando un favore invece di un diritto. Dimenticarsi chi siamo stati significa non poter costruire futuro: la memoria è lo strumento che usa il falegname per ricordarsi come si usano gli attrezzi e costruire il mobile. Un paese senza memoria come siamo noi è un paese senza futuro. 

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