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Cronaca

Vittime uranio, guerra sui numeri. "Nuova commissione"

Parte da Lecce l'appello dell'Associazione Vittime dell'Uranio, per denunciare nuovi casi di vittime e presentare un dossier sul Poligono di Torre Veneri, che registra già due possibili episodi

LECCE - Parte da Lecce l'appello dell'Associazione vittime dell'uranio per l'istituzione di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, in grado di completare ed ampliare il lavoro della precedente, costretta a chiudere per la fine anticipata della scorsa legislatura. E' fermo infatti al 25 settembre 2006, data della registrazione dell'ultimo decesso, il documento ufficiale della sanità Militare, che riporta i nomi di 171 militari morti, contando esclusivamente il personale ancora in servizio al momento del decesso o della scoperta della malattia. Si conterebbero già 216 morti, invece, stando ai dati raccolti dall'Associazione, da aggiungere agli oltre 2500 malati. Un bilancio ritenuto, comunque, ancora parziale, poiché solo in pochi si rivolgono a questo tipo di strutture per denunciare la loro storia e intraprendere azioni legali. Sarebbe Manolo Pinna, ventiseienne di Cagliari, dunque, secondo questi dati non ufficiali, l'ultimo militare deceduto, a causa dell'uranio-killer, il 3 novembre 2009, a causa di un tumore al cervello, scoperto dopo aver prestato servizio, tra il 2001 e il 2002, nel Poligono di Capo Teulada.

Nel documento non aggiornato della sanità Militare non si contano, inoltre, neppure i reduci dalle missioni in Iraq, in Somalia, in Bosnia e gli operanti nei poligoni presenti sul territorio nazionale, tra cui anche il Poligono salentino di Torre Veneri, che conta già due casi di possibile contaminazione. La prima denuncia risale al 7 ottobre 2007, quando un militare di 29 anni di Copertino, che aveva prestato servizio nel poligono dal 1998 al 1999, ha scoperto di essere affetto da un'emoblastoma mandibolare, un tumore osseo. La questione aveva sollevato non poche polemiche, vista la dichiarazione del ministero della Difesa, il quale aveva assicurato che l'Esercito italiano non ha mai avuto in dotazione munizionamenti all'uranio impoverito. E' arrivata di recente, però, una seconda denuncia, di M.D., ex militare trentatreenne della provincia di Lecce, che sta combattendo con un linfoma di Hodgkin dopo aver prestato servizio di leva come carrista a Torre Veneri dal 1997 al 1998, "effettuando diverse esercitazioni - come lo stesso ha dichiarato - maneggiando munizioni ed armi di vario tipo nella totale assenza di qualsiasi misura di protezione".

Considerando la casistica, l'Associazione vittime dell'uranio ha preparato un dossier sul poligono in questione, documentando una serie di esercitazioni a cui hanno partecipato anche militari di forze armate esterne, tra cui anche quella statunitense. E' stato effettuato un sopralluogo ufficiale da una delegazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito, il 21 settembre del 2007, dalla cui relazione finale si evince, però, che è consistito in un "approfondito incontro con il Comandante della struttura, con i suoi collaboratori e con altri ufficiali delle Forze Armate". Nessun prelievo di reperto o di matrici ambientali è stato, quindi, effettuato, per verificare la reale contaminazione della zona.

In seguito alla prima denuncia della malattia del militare di Copertino, intanto, la parlamentare del Pd, Teresa Bellanova, presentò un'interrogazione al ministro della Difesa, chiedendo "se e da quando nel Poligono di Torre Veneri si faccia uso di uranio impoverito, durante le esercitazioni militari", facendo riferimento anche ad una "diffusa e forte preoccupazione tra gli abitanti di Frigole per l'alta incidenza di patologie neoplastiche verificatesi negli ultimi anni". L'interrogazione non ha mai ricevuto una risposta e Teresa Bellanova si è dichiarata pronta, oggi, a presentare un'ulteriore interrogazione al ministro, inserendo tutta la documentazione fornita dall'Associazione Vittime dell'Uranio. "Noi non vogliamo creare allarmismi - ha spiegato Francesco Palese, portavoce dell'Associazione -, ci limitiamo solo a fare delle domande, anche perché gli organi che dovrebbero fare chiarezza sulla questione, non lo fanno. E' necessario che il ministero della Difesa chiarisca le dimensioni del fenomeno, ma sarebbe giusto anche fare luce sulle responsabilità di chi ha inviato i nostri militari a morire per il fuoco amico, tacendo sui pericoli ai quali andavano incontro".

Ed è proprio a causa di quei pericoli sconosciuti che il maggiore Carlo Calcagni, di Guagnano, sposato e padre di una bambina di quattro anni, all'epoca capitano elicotterista dell'Esercito, è affetto da neoplasia in seguito ad una missione in Bosnia nel 1995, dove è entrato in contatto con la sostanza incriminata. "Dopo anni di lotte e battaglie burocratiche - ha raccontato il militare nel corso della conferenza stampa -, che ho dovuto combattere nonostante i miei problemi di salute mi prendessero tutto il tempo e le forze, sono riuscito ad ottenere il riconoscimento delle cause di servizio delle patologie contratte per il particolare impiego in Bosnia. La commissione medica ha verbalizzato a proposito della mia condizione di salute verosimilmente esposto ad uranio impoverito, ma solo dopo aver combattuto per anni contro palesi pressioni e direttive dall'alto, che evidentemente imponevano di non riconoscere questa problematica. E, nonostante l'avvenuto riconoscimento, sono ancora costretto a lottare ogni volta per l'assistenza che mi spetta. Prima di poter ottenere risarcimenti o autorizzazioni per le mie cure mediche, sono costretto a produrre pile infinite di documenti, che molto spesso si rivelano incompleti e sono costretto a vedermi negato ciò che mi spetterebbe di diritto".

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