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Cronaca

"Vortice-Déjà Vu", giovedì la sentenza. Accusa conferma associazione mafiosa

Volge alle battute finali il giudizio abbreviato nella maxi operazione denominata "Vortice-Déjà vu", celebrato dinanzi al gup Sernia

LECCE – Volge alle battute finali il giudizio abbreviato nella maxi operazione denominata “Vortice-Déjà vu”, celebrata dinanzi al gup Stefano Sernia, nell’aula bunker di Borgo San Nicola. Un’operazione che ha svelato presunte trame, interessi, collegamenti, affari e modus operandi della criminalità organizzata del nord Salento, in quella zona al confine con la provincia brindisina, da sempre crocevia di traffici e interessi criminali.

Il pubblico ministero Guglielmo Cataldi ha ribadito la sussistenza dell’associazione mafiosa per i tredici imputati per cui il gup ha riqualificato l’imputazione in associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’accusa chiesto oltre sei secoli di carcere i 65 imputati

Traffico internazionale di stupefacenti, estorsione ed usura al centro delle indagini partite dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Lecce, guidato dal capitano Biagio Marro, e condotte insieme ai colleghi del Ros di Lecce, al comando del colonnello Paolo Vincenzoni. Alla complessa attività hanno partecipato i colleghi del Reparto operativo guidati dal colonnello Saverio Lombardi e quelli della compagnia di Campi Salentina, coordinati dal maggiore Nicola Fasciano. Le ricostruzioni investigative hanno portato all’esecuzione, a novembre scorso, di 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere – emesse dalla direzione distrettuale antimafia per associazione di tipo mafioso e altri reati.

Tra i legali che compongono il collegio difensivo, gli avvocati: Stefano Stefanelli, Massimo Bellini, Ladislao Massari, Benedetto Scippa, Antonio Savoia, Paolo Spalluto, Mario Ciardo, Michele Palazzo, Giancarlo Dei Lazzaretti, Andrea Starace, Angelo Vetrugno, Francesco Tobia Caputo e Ivan Feola.

L’indagine “Déjà vu”, cui è poi seguita quella denominata “Vortice” e condotta dai carabinieri del Ros, al comando del colonnello Paolo Vincenzoni, ha delineato le nuove rotte del traffico di sostanze stupefacenti. Un mercato fiorente destinato a rifornire le piazze del nord Salento, fino a Lecce, Brindisi e Taranto. Un mercato redditizio capace di portare a una nuova della nuova fase della Scu salentina: la pax mafiosa. Una nuova strategia dell’appianamento dei contrasti e dell’abiura della guerra, capace di fornire un nuovo terreno fertile alle strategie criminali che, seppur in forma molto più sommersa rispetto al passato, tendono alla conquista del territorio e degli interessi economici.

Accordi e interessi capaci di appianare i contrasti, dopo quasi un quarto di secolo, tra due clan storici: i Tornese e i De Tommasi. Una rottura e una guerra scoppiata con l’omicidio di Ivo de Tommasi (fratello di Gianni).Un’esecuzione che aveva, di fatto, scatenato la guerra tra i due clan, un tempo alleati, lastricando di sangue e proiettili le strade del Salento). Franco Santolla, condannato all’ergastolo per quell’omicidio, aveva pagato a caro prezzo la sanguinosa lotta tra sodalizi criminali. Nel maggio del 1996 un commando armato di quattro persone aveva assassinato il figlio Romualdo, appena 18enne. Una vendetta trasversale che aveva spezzato la vita di chi con la mafia salentina non c'entrava assolutamente nulla. Lui non aveva altra colpa che essere il figlio del presunto boss, estraneo per il resto a qualunque gioco di potere della criminalità organizzata nel Salento.

Nell’ambito delle indagini anche i retroscena del duplice tentato omicidio di Luca Greco e Marino Manca, avvenuto nel pomeriggio dell'8 settembre del 2012 (18 anni di reclusione la condanna inflitta a Salvatore Milito in primo grado). Milito avrebbe estratto una pistola, cercando di colpire Manca, ma invano, perché l'arma si sarebbe inceppata, permettendo a questi di fuggire. Più sfortunato sarebbe stato Greco, intrappolato in casa e impossibilitato a fuggire: l’arrestato lo avrebbe prima colpito con il calcio della pistola e poi con un coltello, ferendolo gravemente. L’agguato sarebbe maturato, secondo l’ipotesi accusatoria, proprio nell’ambito di contrasti legati alla supremazia territoriale di gruppi criminali operanti nel comune di Squinzano e nelle zone limitrofe. Un regolamento di conti commissionato, secondo quanto emerso nell’operazione, proprio da Sergio Notaro e Cyril Cedric Savary. 

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