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Cronaca

Xylella, sperimentazioni audaci e intelligence per frenare la concorrenza?

Interessi di multinazionali e Paesi concorrenti potrebbero essere alla base di una complessa strategia per combattere ad armi impari la battaglia sul primato dell’oro verde. L’ipotesi emersa durante il corso di formazione giornalistica. Michele Bungaro: “In questa storia cadranno più teste che ulivi"

LECCE– Sembrerebbe la trama perfetta per un’avvincente spy story all’americana, eppure l’ipotesi ventilata durante un corso di formazione giornalistica tenutosi quest’oggi a Palazzo dei Celestini, non solo potrebbe vedere nazioni estere, specie d’Oltreoceano, quali occulti protagonisti della catastrofe abbattutasi sull’olivicoltura salentina, ma avrebbe anche il sostegno di certa parte del mondo politico e imprenditoriale nazionale e comunitario. E che non si stia parlando di aria fritta lo dimostra il fatto, certo, che sull’intera vicenda c’è un fascicolo aperto della procura della Repubblica leccese. E, a quanto pare, non solo.

A lanciare il sasso nello stagno Michele Bungaro, responsabile nazionale Unaprol, nonché relatore principale dell’incontro sull’olio extravergine di oliva organizzato dall’Ordine dei giornalisti. Ipotesi che dopo aver ammutolito l’auditorio di professionisti e pubblicisti leccesi, poco dopo, ha provocato un acceso dibattito sull’emergenza Xylella. Come non parlare, difatti, della catastrofica afflizione che si è abbattuta sugli olivicoltori del Leccese?

I dati e le preoccupazioni

Sarebbero i dati a presentare in maniera evidente l’idea che, poi, tanto strampalata non sembra. L’Italia genera 500mila tonnellate di olio, con un consumo di 750mila tonnellate, di media, ogni anno. Una produzione che, si vede chiaramente, è già inferiore al consumo interno. Cifre che costringono il nostro Paese a importare olio dall’estero, e a determinate condizioni economiche. La cosa paradossale è che ne esportiamo 400mila tonnellate.

Questo primo punto dovrebbe indurre a una riflessione seria non solo sulle politiche agricole in atto nella Penisola, ma anche su che tipo di prodotto s’immette sul mercato, spesso a danno dei consumatori.

“Evidentemente deve esserci qualche gioco di prestigio – esordisce subito Michele Bungaro – perché i conti non tornano. Come si può vendere all’estero un prodotto made in Italy che, stando ai dati, non dovremmo neanche avere?” Ma prima di rispondere a questa domanda il relatore di Unaprol apre una parentesi sui costi di produzione.

L’ultima rivelazione dei prezzi Ismea-Unaprol è di 6,03euro al chilo. Allora, se sulla piazza di Bari, dove si fa il prezzo nazionale dell’olio sfuso, si parla di 6 euro franco frantoio, come è possibile trovare sugli scaffali dei supermercati oli in promozione a 2,90euro? Secondo Michele Bungaro non basta spostare l’attenzione sulle date di produzione e/o di scadenza del prodotto per giustificarne il deprezzamento. È chiaro che a drogare il mercato concorrono altri fattori che, è cosa nota, fanno il paio con le politiche comunitarie in materia. Politiche che tendono a favorire non sempre la qualità, ma l’economia del “sistema Europa” e a sdoganare certi Paesi piuttosto che altri.

Un altro elemento che appare in contrasto con i dati è che, “guarda caso”, sottolinea il responsabile Unaprol, si tratta sempre di olio made in Italy. Un “marchio” che, di per sé, fa spuntare un 20 per cento in più sul prezzo di mercato in qualunque altra nazione comunitaria o estera.

Per chiarire: se già il prodotto non basta a soddisfare il fabbisogno nazionale, come può esserci una tale quantità di olio italiano in giro per il mondo?

A rispondere, stavolta, è il comandante dei Nas di Lecce, luogotenente Antonio Murrone il quale, in una dettagliata relazione sullo stato dell’arte dell’olio extravergine di oliva, ha illustrato le principali frodi compiute da individui senza scrupoli che per realizzare profitti indebiti e veloci hanno inferto in questi anni un duro colpo all’economia locale.

“Un danno che si ripercuote – ha detto il comandante Murrone – anche sull’immagine e sulla professionalità della parte parte sana della nostra imprenditoria.” Basti pensare che oggi un chilo di olio evo (si legga olio extravergine di oliva) in Spagna quota 3,28 euro; in Tunisia 3,10euro. Uno spread, per usare un termine che ci è noto, tra l’olio italiano e quello comunitario di circa 3 euro.

Il motivo va ricercato nell’attribuzione che il mercato internazionale riconosce al made in Italy, un valore aggiunto che risposa su specifiche caratteristiche geo-morfologiche della Penisola grazie alle quali, le oltre 350 varietà di olive differenti che insistono sulla lunga estensione del territorio nazionale, si ottengono ben definite proprietà organolettiche e nutrizionali uniche. E la Puglia, nel panorama nazionale, produce oltre il 40 per cento del prodotto. Messo a confronto con la Spagna, che di varietà di olive ne possiede meno di una decina, quest’ultimo dato dovrebbe far meditare su come l’Italia si sia fatta surclassare da politiche aggressive che si fondano sulla vera statalizzazione della produzione.

E, chiaramente, induce alla frode per realizzare facili e illeciti profitti. Proprio questa eccezionale varietà delle specie vegetali della penisola, peraltro, fa sorgere qualche domanda fuori dal coro.

“Come mai il caso Xylella è scoppiato proprio nell’estrema propaggine dello stivale?”, s’interroga Michele Bungaro, passando per le recenti affermazioni del professore Donato Boscia dell'Ivv del Cnr, il quale individuava il ceppo come proveniente dal Costarica, provando poi a vagheggiare la risposta. “Sarà forse stata qualche audace (priva di autorizzazioni, ndr) sperimentazione a provocare la catastrofe? O si può pensare a un’operazione d’intelligence straniera?”

È bene chiarire questi ultimi due passaggi perché proprio tali affermazioni faranno saltare più di qualcuno sulla seggiola. Secondo Bungaro, e non solo lui, dietro al caso xylella ci potrebbe essere qualcuno, ma si potrebbe dire di qualche nazione, che avrebbe tutto l’interesse a frenare il primato italiano sull’oro verde. E il batterio della Xylella potrebbe essere non solo il miglior sistema per disastrare il maggior produttore di olio di qualità, ma anche a farne un “laboratorio” a cielo aperto dove sperimentare nuove armi batteriologiche.

Il perché potrebbe vedere la sua triste risposta nell’affarismo spudorato di alcune multinazionali farmaceutiche che, un giorno o l’altro, tireranno fuori dal cilindro la tanto attesa cura. Del resto non sarebbe la prima volta.

“La xylella per gli ulivi potrebbe essere paragonata a ciò che è l’ebola per gli esseri umani”, ha avanzato il responsabile Unaprol, alludendo neanche tanto velatamente alle sperimentazioni illegali e segretissime del Governo Usa di armi chimiche e batteriologiche durante la Guerra Fredda. Armi che oltre ad avere il compito di abbattere un nemico avrebbero anche il precipuo scopo di controllare il fenomeno della sovrappopolazione mondiale, così come paventato dallo scrittore Dan Brown nel suo ultimo romanzo “Inferno”.

Un quadro degno delle peggiori teorie del complotto, dunque, quello emerso dall’acceso dibattito odierno che, purtroppo, promette di non estinguersi facilmente.

Olio d'oliva, sofisticazioni e batterio: dibattito a 360 gradi

Fino a dieci anni addietro, l’Europa deteneva circa il 90 per cento della produzione mondiale. Oggi solo il 64 per cento. Ciò significa che altri Paesi hanno raggiunto la soglia del 36 per cento. Ma occorre capire qual è il gioco di questi paesi e che cosa potrebbero richiedere, a livello intergovernativo, in ambito Onu. Il Consiglio oleicolo internazionale – o Coi – di Madrid regola tutte le norme a livello internazionale ed in seno all’Onu presiede la classificazione e le caratteristiche degli oli. Sono rappresentati 46 Paesi. Tra essi l’Europa con Spagna, Italia, Grecia, Portogallo e Francia. Cui s’aggiungono Croazia e Slovenia e, fra qualche anno, anche l’Albania. Tra quelli del Mediterraneo troviamo, invece, Marocco, Tunisia, Algeria, Giordania, Israele, Irak, Iran, Turchia e Siria.

A ciò si deve aggiungere che in California la produzione dell’olio sta galoppando a ritmi incredibili e che, più a sud, Cile e Argentina iniziano a fare numeri. Per non parlare delle più rinomate cultivar italiane che sono state impiantate sia in Sudafrica, sia in Giappone, Cina e non da ultimo in Australia.

Per rincarare la dose Bungaro cita i dati relativi alle giornate di lavoro che, stando ai dati Inps, occorrono per portare un ettaro di oliveto, ovvero ben 52giornate. Dato che fa il paio con la superficie stimata in questi giorni dall’osservatorio regionale e dal commissario straordinario per l’emergenza xylella, Silletti, che parla di un milione di alberi colpiti su 10milioni censiti sul territorio regionale e su 1 milione di ettari portati a oliveto. Numeri che fanno ben comprendere quale danno comporterebbe non solo alle casse Inps, ma all’intera economia locale e nazionale. Cifre che dall’Istituto di previdenza vengono redistribuite per i servizi alle imprese.

I controlli del Nas contro le sofisticazioni

Se la Xylella dilagherà, spezzerà le gambe all’Italia, con tutto l’indotto collegato alla tecnologia olearia, e al lavoro che ne deriva. Una situazione che si aggrava ogni giorno di più, come ha avuto modo di spiegare il comandante dei Nas di Lecce, anche a causa delle frodi alimentari che, proprio con l’accrescersi dell’emergenza, ha visto un crollo della quantità di prodotto e un forte incremento della domanda.

Aspetti che hanno portato il Nucleo antisofisticazioni ad intensificare i controlli presso le aziende scoprendo, con preoccupante frequenza, un giro di contraffazioni di oli che con l’eccellenza e la qualità non hanno nulla a che fare.

“Ci siamo accorti che l’olio di provenienza comunitaria, misteriosamente, diventava italiano sulle etichette e degli oli e dei silos all’interno dei frantoi (in un recente sequestro operato dal Nas di Lecce sono stati identificati 2mila chili di olio spagnolo e greco poi spacciato per italiano). Le frodi più frequenti avvengono utilizzando al posto di olio extravergine di oliva solo olio di semi successivamente colorato con clorofilla o betacarotene”.

Casi che nel solo anno precedente hanno portato a 39mila 308 controlli con 3mila 201 irregolarità penali. Numeri che devono far pensare a quanto l’olio rappresenti per questa terra, per la nazione e per l’immagine globale dell’Italia nel mondo. Dati che, sempre secondo Bungaro, dovrebbero spingere chi di competenza ad agire con perizia e immediatezza. O, almeno mcosì avrebbe dovuto essere.

C’è stata qualche nota curiosa quando il comandante Murrone ha illustrato alcune delle etichette utilizzate per introdurre in maniera fraudolenta oli di scarsa qualità nel mercato del settentrione, etichette che, evocando nell’immaginario collettivo antichi frantoi e sistemi di molitura tradizionali, promettevano al consumatore di lenire artite, dolori intestinali, acidità, difficoltà di digestione e, neanche a dirlo, in grado di prevenire e curare il cancro.

In chiusura un utile excursus tra le norme vigenti in materia di etichettatura e un gradito saggio in pieno stile “panel” condotto da Gianni Lezzi, esperto olivicoltura elaiotecnica e degustazione professionale oli da olive, il quale ha introdotto la degustazione dell’olio puntando sulla semplicità e l’immediatezza del prodotto informando i giornalisti sulle proprietà organolettiche e le qualità olfattive e gustative che un buon olio extravergine, nel caso una dop Terra d’Otranto, dovrebbe possedere e su come poterle riconoscerle. Il suo consiglio è quello di leggere sempre l’etichetta per verificare l’origine e le peculiarità del prodotto, e di effettuare più assaggi allenarsi, e allenare il palato.

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