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Economia Otranto

L’ex sindaco: “Otranto città che si interroga e sa rispondere se provocata”

Nel dibattito sulla città dei Martiri e alla luce delle riflessioni emerse pubblicamente anche col caso del progetto "InsideOut", s'inserisce l'ex primo cittadino, Francesco Vetruccio, che affida il proprio commento ad una nota

OTRANTO – Nel dibattito sulla città d’estate e sulle sue contraddizioni, dice la sua Francesco Vetruccio, attuale capogruppo consigliare di maggioranza ad Otranto, nonché già sindaco ed assessore all’urbanistica. Queste le sue riflessioni:

Sono stato colpito dalle  due riflessioni che in tempi successivi hanno avuto Otranto come oggetto: le immagini di alcuni otrantini dispiegate in grandi foto in bianco e nero sulle mura della città, e una riflessione di Rosaria Marella che con argomentazioni e non con immagini, tuttavia tendeva a sottolineare l'identico problema: la totale spersonalizzazione della città nella stagione estiva, la contemporanea sottrazione dello spazio urbano e territoriale alla stragrande maggioranza dei cittadini a vantaggio dei pochi che, da questa grande esclusione dei più,  traggono profitti.

L'aprire un dibattito culturale sulla città, sul suo senso civico, sulle sue prospettive di sviluppo, sulla conservazione dei suoi paesaggi e dei suoi beni culturali, sulla attenta custodia “tout court” della sua anima più riposta, è un esercizio che aiuta chi governa questa complessa stagione di cambiamenti in piena crisi economica, e di converso fornisce alla pubblica opinione, al contesto civico della città,  un’arma per meglio comprendere la propria importanza nella "economia totale" della città.

Questo mio intervento tende anche a garantireFrancesco Vetruccio-2 a chi ci osserva che l'attuale amministrazione cittadina, non è poi completamente avulsa dalle problematiche più "intime" del proprio territorio, che non è sicuramente convinta che tutto fili liscio ma  che esistano invece criticità ancora lungi dall'essere risolte. Uno dei banchi di prova è sicuramente il nuovo piano urbanistico generale che indicherà le linee di sviluppo del nostro territorio nei prossimi 10-20 anni. Piano teso, per volontà dell’amministrazione comunale, soprattutto ad una riqualificazione urbanistica della città e una attenta conservazione del territorio.

La difficoltà maggiore nella pianificazione di un piano urbanistico paradossalmente non sta nella sua ideazione, ma nella “sana” (intendo “non corrotta”) applicazione pratica delle idee che urbanisti ed architetti presentano. La “sana” applicazione sottintende inoltre, una economica, realistica, condivisa, direttiva di sviluppo che deve venire a patti con le iniziali scelte urbanistiche. Italo Insolera, grande urbanista morto pochi giorni fa, per moltissimi anni ha tentato di far valere le proprie idee con le più diverse amministrazioni comunali di Roma, invano... Nessuna delle amministrazioni romane, per ragioni che si possono facilmente immaginare, ha mai sposato  appieno le sue idee.

Siamo consapevoli che un miglioramento dei servizi, delle moderne infrastrutture ( un marina ben allocato e rispettoso del territorio ) la pianificazione di una “slow town” una città lenta, piena di verde, giardini, pedoni, è indispensabile per un modello di sviluppo economico diverso dall'attuale. Occorre non badare più al singolo progetto ma al disegno complessivo della città, non all'individuo ma alla collettività nel suo insieme in nome della quale immaginare una città e organizzare un territorio. La scelta urbanistica deve essere orientata al recupero della “linfa sociale” smarrita in questo mondo globalizzato, in cui si ritiene che la dispersione abitativa e il consumo del suolo sia inevitabile e irreversibile o al massimo mitigabile con degli accorgimenti.

Siamo consapevoli che solo una pianificazione corretta può consentire ai cittadini un “vero diritto” alla città, una vita meno in affanno e qualitativamente degna di essere vissuta. La scommessa è riuscire con realistica sagacia a realizzare quello che sappiamo e che ci viene proposto dai nostri tecnici e urbanisti ben accorti, nella generale resistenza esercitata da un'economia globalizzata di per sé già presente e operativa su tutto il territorio con tutti i guasti  che tende a produrre.

La vera provocazione allora non sta nel far riappropriare simbolicamente i soli otrantini della loro città, (provocazione positiva e interessante quella dei manifesti), ma nella capacità di far sentire tutti coloro che arrivano a Otranto, accolti come se fossero nella tranquilla comodità della propria casa, ma in realtà situati in tutta un'altra, bellissima parte di mondo”.

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