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“Bye bye precariato”, Cgil e Arci Zei s’interrogano sul futuro dei giovani

Nell'open space di Palazzo Carafa un incontro, promosso dal sindacato e dal circolo Zei, dedicato ai temi del lavoro: esperienze di giovani precari, un documentario e dibattiti per un'alternativa al precariato

 

LECCE – Sos mondo precario: da dove si esce? Nell’open space di Palazzo Carafa, Cgil e Arci Zei si sono date appuntamento per affrontare il problema da un’angolatura diversa, alla ricerca di soluzioni e proposte per restituire ai giovani la dignità del lavoro. E la prospettiva di un futuro che frana sotto i piedi.

A fare da apripista al dibattito, è il documentario “Bye bye Papi” della regista Paola Manno: un viaggio “nel viaggio” affrontato da cinque giovani donne che, come tanti italiani (30.000 solo a Bruxelles), hanno scelto di trasferire la loro esistenza all’estero. Un po’ per rassegnazione, un po’ per costrizione, la vita che ricomincia in un luogo straniero scorre negli occhi vagamente malinconici delle protagoniste femminili.

Ma senza voler andare troppo lontano, l’esperienza del precariato salentino è dietro l’angolo. Sul tema si sono confrontati ragazzi che non hanno abbandonato la speranza di ritagliarsi uno spazio nella vita produttiva del Paese: dall’Università ai call center, i nuovi templi della precarietà.  A Giulia Casamassima è andata bene. Il suo contratto in un call center è a tempo indeterminato: “Certo, le mie aspirazioni dopo la laurea erano diverse, ma uno stipendio stabile ti cambia la vita. Se non altro ho comprato casa”, è la sua risposta alla cosiddetta monotonia del posto fisso.

Una risposta alla fame di lavoro che urla da ogni angolo della società, prova a darla Ilaria Lani, segretaria nazionale Giovani Cgil. Con tre proposte: innanzitutto ridurre le 46 tipologie contrattuali che intrappolano i giovani nel mercato del lavoro, “quelle truffe come la prestazione a chiamata, per intenderci”, spiega lei. Poi una regolamentazione degli abusi e delle altre tipologie atipiche, perché “il lavoro discontinuo deve costare di più alle imprese, non di meno”. Infine attraverso l’estensione degli ammortizzatori sociali, cuscinetti di reddito per garantire una continuità nelle fasi di transizione, da un lavoro all’altro, ed in mancanza di un’occupazione.

Se crisi è, ed è incontestabile, non si può negare che “lo smantellamento dei diritti dei lavoratori sia iniziato già vent’anni fa”, sottolinea la segretaria Cgil Lecce, Antonella Cazzato. “Le politiche che hanno investito sulla flessibilità hanno permeato tutti gli Stati europei da molti anni, trovando nell’Italia un Paese a rischio”, spiega Antonella. Ma il pensiero liberista che si è fatto strada a passi larghi, per Antonella ha fallito l’obiettivo:”Il risultato non è stato un aumento delle opportunità di lavoro, ma un indebolimento delle tutele e del welfare sociale”.

E l’applicazione della flexsecurity (il modello danese che mischia flessibilità e sicurezza) potrebbe rivelarsi una trappola? “Questa formula ha funzionato in un Paese che ha impegnato risorse per sostenere il reddito. – chiarisce la sindacalista – Ma in Italia si continua a ragionare di riforme a costo zero. Il lavoro, invece, non è una merce”.

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